M. Balzano, Resto qui

Balzano tra letteratura e storia

di Antonio Stanca

   Marco Balzano è nato a Milano nel 1978, qui insegna Letteratura Italiana negli Istituti Superiori e si applica nella sua attività di studioso e scrittore. Ha pubblicato saggi, poesie e romanzi: un intellettuale si può dire di lui ma anche un autore, un artista. Non è facile conciliare queste tendenze e riuscire a farlo, riuscire ad applicarsi in ambiti così diversi è segno di una sicurezza, di una capacità raggiunta e coltivata.

   Il suo esordio letterario è avvenuto con le poesie della raccolta Particolari in controsenso del 2007. Il primo romanzo è stato Il figlio del figlio del 2010. L’opera vinse il Premio Corrado Alvaro Opera prima e mise in risalto il tema dell’emigrazione, che sarebbe diventato ricorrente nella narrativa del Balzano, sarebbe stato mostrato come fenomeno dettato da necessità inevitabili, da particolari condizioni geografiche, economiche, come esperienza dolorosa, drammatica. Di una perdita, di una sconfitta avrebbe parlato Balzano: emigrare per lui significa partire, lasciare, abbandonare i luoghi, le case, le persone, gli ambienti che hanno fatto parte della propria vita, che l’hanno costituita, determinata, formata moralmente e fisicamente, significa venire a contatto con altri luoghi, altre persone senza sapere di loro, di quale sarà il rapporto, di come si starà, si vivrà con loro. E’ un cambiamento che può diventare definitivo, che può far abbandonare per sempre i posti d’origine, che qualunque forma assuma dallo scrittore viene sempre visto come un problema poiché lo identifica con una riduzione, una privazione.

   Nel romanzo Resto qui del 2018, ora ristampato dalla Einaudi nella serie “Super ET”, il motivo dell’emigrazione è legato a circostanze gravi, altamente drammatiche. Ci sarà, però, chi pur in quelle circostanze non emigrerà, chi “resterà” a costo di terribili conseguenze. Saranno Erich e Trina, marito e moglie, genitori di Michael e Marica, a scegliere di “restare” a Curon, il piccolo paese del Sudtirolo sulle rive dell’Adige, quando sta per scoppiare la seconda guerra mondiale e stanno per iniziare i lavori per la costruzione di una diga che avrebbe comportato l’abbattimento delle poche case che formavano Curon e i paesi vicini. E’ un momento grave, i lavori per la diga si fermeranno a causa della guerra e intanto la gente del posto se ne sarà andata, sarà fuggita in Svizzera, in Austria, in Germania o altrove perché spaventata da quanto sta succedendo.

   In quegli anni nel Sudtirolo ci si sentiva tedeschi, si parlava tedesco, si inneggiava al nazismo, si condannava il fascismo e tutto ciò che sapeva di italiano, lingua compresa. Hitler veniva visto come un salvatore, un restauratore dei danni che il fascismo stava arrecando con i suoi proclami, le sue chiamate alle armi e avrebbe arrecato con la costruzione della diga. C’era confusione, incertezza, paura, povertà, si viveva dei proventi di pochi animali, mucche, pecore, e di pochi campi, si temeva la guerra, non rimaneva che andarsene. Quasi tutti lo avevano fatto ma non Erich e Trina anche se senza figli erano rimasti: Michael si era arruolato volontario nell’esercito tedesco, Marica, che stava con gli zii, era stata portata da questi dove erano fuggiti.

   Quando scoppierà la guerra marito e moglie si rifugeranno in montagna, tra i boschi, i lupi, il freddo, le grotte, le capanne, vivranno di stenti, conosceranno la fame, la malattia, staranno soli per tanto tempo, si incoraggeranno, si aiuteranno tra loro, si riscalderanno con il loro respiro, il loro amore. Torneranno a Curon quando la guerra finirà e quando si sarà visto quanto crudeli erano stati quei tedeschi prima desiderati.

   Una volta a Curon Erich e Trina si sarebbero trovati di nuovo di fronte al problema della diga poiché erano ripresi i lavori e di nuovo i pochi abitanti stavano pensando di andarsene o cominciavano a farlo. Per ben due volte si fuggiva dal Sudtirolo, per ben due volte Erich e Trina non lo faranno e vi rimarranno fino ad assistere al loro paese, alla loro casa sommersi dalle acque dell’Adige quando deviate sarebbero state dalla diga completata. Intanto avevano trovato alloggio nelle baracche appositamente costruite dall’azienda che aveva condotto i lavori. Erich morirà da lì a poco, aveva tanto combattuto, si era tanto impegnato per salvare le sorti di Curon e dei paesi vicini, per impedire la diga che sfinito, stremato, morto ne era uscito. Trina rimarrà sola, addolorata, tormentata dai pensieri, dai ricordi, dei figli non saprà più niente ma convinta sarà ancora di dover continuare, di dover andare avanti, di dover fare, di dover vivere. Un esempio di forza, di coraggio, di amore è stato il suo, unico tra le donne di un tempo, di un luogo di rovina, di morte. In quel tempo, in quel luogo è andato Balzano col suo romanzo perché di essi voleva dire, perché di essi ancora poco si sa, perché anche della loro voleva fare storia d’Italia tramite la letteratura, tramite i modi facili, chiari della sua scrittura.