AA.VV., Racconti di Natale

Racconti di Natale, un’opera da conoscere

di Antonio Stanca

   In allegato al quotidiano “il Giornale” è da poco uscito il breve volume Racconti di Natale (Autori della tradizione). E’ una raccolta non solo di racconti ma anche di poesie, di favole che si riferiscono al Natale, a quanto, presepe, Epifania, vi è connesso

e che risalgono ad autori del passato, quello compreso tra Ottocento e Novecento. Si va da Manzoni a Verga, da Deledda a Pascoli, da Pirandello a D’Annunzio, da De Amicis a Di Giacomo, da Collodi a Serao, da Alvaro a Gozzano e ad altri di quei secoli.

   Apprezzabile è l’opera poiché permette di cogliere come allora ovunque in Italia, nell’Italia della cultura, dell’arte, si tendesse a mettere in risalto la positività del Natale, a identificarlo con un’occasione, un momento di pace, di amore, di bene, con un invito ad aiutare chi non aveva possibilità, a provvedere ai bisognosi, soprattutto se donne o bambini.

   La raccolta fa vedere come diffuso fosse questo atteggiamento, come autori diversi, di diversa provenienza e formazione, di diverso ambiente geografico e culturale, convenissero nel fare del Natale un evento centrale della vita, della storia, nel vederlo come un messaggio da estendere, da far giungere in ogni posto perché utile, buono. Non c’era differenza, tutti, fossero autori maggiori o minori, la pensavano allo stesso modo, tutti sembravano simili ai bambini ai quali si rivolgevano e averli mostrati con questi loro scritti non può che far ammirare l’iniziativa.

   Sembra un tempo remoto quello degli autori della raccolta poiché oggi tanto è cambiato. Invece non è molto lontano, i suoi sono gli autori che venivano letti nella scuola elementare di qualche tempo fa, quelli che pure adesso potrebbero muovere a pensare, a fare, potrebbero valere.

  E insieme alla funzione di un richiamo a ciò che si è perduto e alla possibilità di recuperarlo, il libro ha anche quella di una testimonianza da tener presente, di una lezione da imparare. Leggendo gli scritti che contiene, osservando la lingua che li esprime ci si accorge di quanto ancora mancasse alla formazione dell’italiano, di come sia stata lenta. Accanto e dopo I Promessi Sposi molto altro è servito, molto altro si è dovuto scrivere per liberarsi di quanto di antico, di vecchio, di straniero, di regionale, di dialettale pesava sull’italiano. Questi scritti ne sono una chiara testimonianza: si era arrivati ai primi del Novecento e ancora l’italiano non si era formato, non si era completato nella sua funzione di lingua autonoma, di lingua di una nazione, ancora conteneva altro, dipendeva da altro, non lo aveva smaltito o assorbito, inglobato, fatto proprio. La cultura religiosa durata tanto a lungo, la lingua di questa, il latino, le diverse dominazioni straniere, le tante parlate locali, i diversi sostrati linguistici, tutto aveva contribuito a ritardare, frenare la formazione di quella lingua libera, nuova che sarebbe dovuta essere l’italiano.

   Il linguaggio dei racconti, delle poesie, delle favole della raccolta mostra i segni di questo processo, fa vedere che pur in tempi non molto lontani c’era ancora tanto di diverso nell’italiano, c’era ancora tanto da fare per raggiungerlo.

   Un valore morale ed uno culturale contiene l’opera ed entrambi sono motivi validi per conoscerla.