Didattica a distanza e sue dilatazioni improprie?

Nonostante l’avvenuta stipula, il 6 novembre u.s., dell’inerente contratto nazionale integrativo, la didattica a distanza continua a sollevare polemiche.

L’ultimo casus belli sembrerebbe ascrivibile a ordinanze emanate da alcuni sindaci nell’imporla allorquando le scuole sono chiuse, per più o meno brevi periodi, a causa del maltempo o per il ripristino delle condizioni di sicurezza in seguito a eventi imprevisti o anche per lavori di manutenzione ordinaria.

Inesorabili – ma largamente prevedibili – le diffide indirizzate dalle strutture sindacali territoriali a dirigenti scolastici che si erano peritati di corrispondere alacremente alle disposizioni delle autorità comunali, con pronte prese di posizione dei vertici nazionali a stigmatizzare “un’invasione dell’autonomia scolastica” e “la distorsione dello strumento della DAD per fini diversi da quelli per cui è prevista”, cioè per fronteggiare la sola emergenza sanitaria da Covid-19.

Liberi ovviamente gli enti locali di emanare ordinanze contingibili e urgenti, nei termini e nelle materie statuite dalla legge, non pare sussistere alcun dubbio sull’assenza di qualsivoglia loro potere sulle modalità di organizzazione della didattica. Sicché il discorso potrebbe chiudersi qui.

Pur tuttavia la circostanza è propizia per verificare –  o almeno per rifletterci un po’ su – se è proprio certo che la didattica a distanza non possa essere esigita dall’Amministrazione tutte le volte in cui, per le ragioni più varie, non sia possibile quella in presenza. O – come pure è stato detto – dalla stessa singola istituzione scolastica previa formale delibera dei propri organi collegiali.

E’ ben vero che concordemente legge e contratto precisano, alla lettera, che la didattica a distanza, in forma esclusiva o complementare, è impiegabile limitatamente e fino al perdurare della pandemia; come a distanza devono essere rese le prestazioni di lavoro agile del personale ATA, secondo le modalità convenute nel Verbale di confronto sottoscritto il 27 novembre tra Amministrazione e le medesime organizzazioni sindacali. Di conseguenza, in tutti gli altri casi di chiusura delle scuole, docenti e Ata sarebbero esonerati dalla prestazione in virtù dell’articolo 1256 del codice civile, al di cui tenore l’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, diventa impossibile.

Può però qui osservarsi, a mo’ di punto interrogativo, che:

  1. secondo una pacifica interpretazione attualizzante, tipica delle disposizioni giuridiche, la prestazione lavorativa non dovrebbe ritenersi più impossibile in seguito allo sviluppo tecnologico realizzatosi da quando – circa ottant’anni fa –l’articolo 1256 c.c. è stato scritto, oggi ben potendosi  – lo si è pure detto – attivare con un click l’insegnamento a distanza, anche da casa.
    La giurisprudenza giustamente rimarca come l’impossibilità, oltre che oggettiva (non dipendente dalla particolare situazione del debitore), deve essere assoluta, sì da escludere la minima possibilità di eseguire la prestazione. Ciò è a dire tale da non poter essere vinta neppure con uno sforzo estremo (Cassazione: 87/2691, 80/3844, 79/794), principio applicabile anche al contratto di lavoro (Cassazione: 91/2691, 59/855);
  2. pur assumendo che sia solo un surrogato della didattica in presenza, la didattica a distanza potrebbe ben integrare la fattispecie della prestazione divenuta impossibile solo in parte, regolata dal successivo articolo 1258;
  3. vale poi sempre il principio codicistico, ex articolo 1176, della normale diligenza, espressione dei più ampi concetti di buona fede e di correttezza, da pretendersi dalla parte che continua a ricevere la retribuzione. Normale diligenza, nel senso da non richiedere di farsi carico di difficoltà superabili solo con uno sforzo straordinario: e allo stato non è, obiettivamente, il caso della didattica a distanza.

Sono comunque solo ragionamenti, su una materia che dovrebbe trovare la sede di sua organica regolamentazione in un contratto collettivo nazionale di lavoro, non già – come avvenuto – in un contratto integrativo sottoscritto in una situazione stimata contingente, benché si sia traccheggiato per sei mesi, e – per definizione – compresso entro i vincoli del primo, inclusa l’impossibilità di prevedere e impegnare eventuali risorse finanziarie aggiuntive. Un contratto integrativo peraltro decisamente anomalo, posto sotto tutela interpretativa di note ministeriali stilate in perfetto burocratese, seppure ingentilito da dosi di retorica dei buoni sentimenti, con il corredo di FAQ in progress chiarificatrici e “concordate” dall’Amministrazione e dalle OO.SS.

Non sarà dunque dirimente – né per il caso che qui ne occupa, né per tutti i profili di problematicità che si rivelino in itinere – il richiesto “intervento urgente” del Ministero “al fine di fare chiarezza”, bensì il nuovo CCNL sostitutivo di quello da due anni in proroga.

E dovrà essere radicalmente innovativo, dal momento in cui la didattica a distanza, da improvvisato dispositivo di pronto soccorso è destinata, unanimemente, ad acquisire una valenza strutturale siccome essa normalmente integrante quella in presenza.

Nello specifico, si dovrà:

  • assicurare ai docenti una postazione di lavoro installata a domicilio e collaudata a spese dell’istituzione scolastica, inclusi i costi di manutenzione e di gestione, congiuntamente all’attuazione della normativa sulla sicurezza (e sugli infortuni sul lavoro: il proprio domicilio è luogo di lavoro), sulle malattie professionali, sulla tutela della salute in genere. Dunque, piattaforme affidabili anche a protezione della privacy, con predisposizione di puntuali protocolli, sì da non rimettere le responsabilità in via esclusiva al singolo docente e ai dirigenti scolastici;
  • prevedere la distribuzione dell’orario di lavoro nell’arco della giornata a discrezione del dipendente in base alle attività da svolgere e con diritto alla disconnessione, ma ferma restando la sua disponibilità per comunicazioni di servizio secondo concordate modalità;
  • puntualizzare che per effetto dell’autonoma distribuzione del tempo di lavoro non sono in radice configurabili prestazioni supplementari, straordinarie, notturne o festive, né permessi brevi o altri istituti che importino riduzioni di orario;
  • garantire specifiche iniziative di formazione in itinere sulle innovazioni tecnologiche e processi di informatizzazione, afferenti alle nuove modalità con cui la didattica a distanza deve essere direttamente erogata;
  • prevedere la sottoscrizione a favore del lavoratore di polizze assicurative per la copertura dei rischi concernenti i danni alle attrezzature telematiche in dotazione, con l’esclusione di quelli derivanti da dolo o colpa grave e i danni a cose o persone, compresi i familiari, rivenienti dall’uso delle stesse attrezzature;
  • verificare le condizioni di lavoro e l’idoneità dell’ambiente in cui è effettuato all’inizio dell’attività e periodicamente, concordando con l’interessato i tempi e i modi di accesso al suo domicilio;
  • non da ultimo, e soprattutto, definire gli standard qualitativi della prestazione e i termini con cui essa è apprezzata, necessariamente conseguenti all’autonomia e alla responsabilità nel raggiungimento degli obiettivi, in quella che diviene una tipica obbligazione di risultato, a differenza delle obbligazioni di mezzi dei liberi professionisti ma anche dei molto più garantiti ruoli impiegatizi.