Prof assolta: la libertà di pensiero vale anche per gli alunni che accostano le leggi razziali al decreto sicurezza

da ItaliaOggi

Carlo Forte

L’esercizio della libertà di espressione del pensiero da parte degli alunni, nel limite del rispetto delle norme penali e dei buon costume, non è censurabile dai docenti. Pertanto, è illegittima e va annullata la sanzione disciplinare ingiustamente inflitta alla docente che abbia consentito l’esercizio di tale libertà. Ma in ogni caso, per ottenere l’annullamento della sanzione, bisogna andare per forza davanti al giudice. Perché l’amministrazione scolastica non ha questo potere. È quanto si evince da una sentenza emessa il 14 dicembre scorso dal Tribunale di Palermo (3907/2020, Fabio Civiletti presidente ed estensore). È passato più di un anno dal maggio 2019 quando una docente di Palermo era stata punita per non avere impedito ad alcuni alunni di accostare le leggi razziali al decreto sicurezza. Per fare luce sulla questione era stata anche presentata un’interrogazione a risposta orale (3-00847) da parte di Bianca Laura Granato (M5S) che però è rimasta senza risposta (si veda ItaliaOggi del 28/05/2019, pag. 44). Dopo l’emissione della sanzione, peraltro, l’allora ministro dell’istruzione Marco Bussetti (Lega) e dell’interno Matteo Salvini (Lega) avevano anche incontrato i legali della docente ingiustamente sanzionata per tentare una composizione bonaria. E avevano anche dichiarato che la sanzione sarebbe stata revocata. La docente si era poi risolta ad impugnare il provvedimento disciplinare davanti al giudice. Anche perché, come spiegato da ItaliaOggi all’epoca dei fatti, l’amministrazione non ha il potere di revocare le sanzioni disciplinari (si veda ItaliaOggi del 21 maggio 2019, pag.38): il potere di revoca (cosiddetto potere di autotutela) vale solo per gli atti amministrativi. Le sanzioni, invece, sono atti negoziali di diritto privato e con avvento della riforma Brunetta sono stati anche espunti dall’ordinamento tutti i rimedi stragiudiziali di composizione delle controversie di lavoro. Comprese quelle per le sanzioni disciplinari.

L’amministrazione, peraltro, una volta convenuta in giudizio, aveva anche rifiutato di risolvere la questione in sede di conciliazione giudiziale. Ciò ha determinato la necessità di andare avanti con il processo. E ciò ha avuto come epilogo l’annullamento della sanzione disciplinare e la condanna dell’amministrazione a restituire alla docente la retribuzione ingiustamente trattenuta durante i 15 giorni di sospensione patiti. Il giudice però non ha accolto la richiesta di risarcimento danni avanzata dalla docente. E ha anche spiegato che l’adozione della sanzione, per quanto infondata, non comporterà alcuna conseguenza in capo al dirigente dell’ufficio per i provvedimenti di Palermo che l’aveva materialmente emessa. La sentenza, peraltro, dispone anche la compensazione delle spese. E quindi la docente interessata dovrà anche pagarsi le spese legali.

Quanto al merito della decisione, il giudice del lavoro ha spiegato che un elaborato di ricerca svolto dagli alunni durante l’attività scolastica costituisce una delle forme di esercizio della libertà di manifestazione del pensiero garantita costituzionalmente dall’articolo 21 della Costituzione.

I limiti dell’esercizio di tale libertà sono costituiti dal rispetto delle norme penali e dal buon costume. Pertanto, il controllo che il docente ha l’obbligo di effettuare, se non vuole incorrere in responsabilità, deve essere esclusivamente finalizzato alla verifica del rispetto di tali limiti. E solo qualora «si possa ravvisare ictu oculi» si legge nella sentenza « una violazione dei medesimi, perché le espressioni contenute nell’elaborato costituiscano reato o siano contrarie al buon costume, nella ristretta accezione recepita dalla giurisprudenza penale, può inibirne la divulgazione anche soltanto nell’ambito della classe o dell’Istituto, deferendo immediatamente la questione al dirigente scolastico per tutte le eventuali iniziative, anche di natura disciplinare». Ma nulla di tutto questo si era verificato.

«Il controllo della docente non poteva, quindi, superare tale ambito, pregiudicando l’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito». Il giudice del lavoro ha chiarito, inoltre, che il compito del docente è quello di verificare solo la correttezza dell’elaborati degli alunni, anche sotto il profilo della rigorosa osservanza dei principi di metodologia della ricerca storica. Ma questa attività di verifica è finalizzata esclusivamente alla valutazione del profitto dell’alunno nella relativa disciplina (costituendo uno dei parametri per l’attribuzione del voto finale nella disciplina di insegnamento).

Anche per predisporre strategie educative idonee a consentire agli alunni di acquisire consapevolezza degli errori commessi, confrontandosi, nell’ambito di una discussione all’interno della comunità scolastica con il docente e gli altri allievi sui punti fallaci della ricerca.