Una favola per Natale
di Antonio Stanca
A Marzo di quest’anno aveva pubblicato, presso Einaudi, il romanzo Limbo, dove aveva narrato delle drammatiche vicende vissute in Afghanistan da una donna sottufficiale degli Alpini, a Novembre ha pensato ad una favola per Natale che è diventata Il bassotto e la Regina, comparsa pure presso Einaudi e composta da cento pagine con illustrazioni di Alessandro Sanna. La scrittrice è Melania Gaia Mazzucco di quarantasei anni. E’nata a Roma nel 1966 dallo scrittore Roberto Mazzucco, è vissuta a Roma durante l’infanzia e l’adolescenza e qui si è laureata in Lettere presso l’Università La Sapienza. Come scrittrice aveva esordito con il racconto Seval nel 1992, a ventisei anni. Il primo romanzo è stato Il bacio della Medusa del 1996. Sono seguite altre narrazioni e nel 2003 col romanzo Vita, dove ricostruisce in maniera fantastica l’emigrazione in America del nonno paterno e di suoi amici avvenuta ai primi del ‘900, ha vinto il Premio Strega. Altri riconoscimenti ha avuto la Mazzucco sia per le opere di narrativa sia per quelle teatrali sia per i radiodrammi. Molto operosa si è rivelata finora se si tiene conto che collabora pure con importanti testate giornalistiche.
Storico si potrebbe definire il genere nel quale far rientrare la sua produzione narrativa. A ricostruire eventi, ricordare personaggi del passato più vicino o più lontano tende spesso la scrittrice nelle narrazioni, a recuperare, ristabilire valori che le sembra non siano stati evidenziati, a ricavare messaggi morali, spirituali tanto utili in tempi come i nostri invasi da interessi soltanto mondani.
A questo intento ubbidisce pure la recente favola del piccolo cane Platone che s’innamora della giovanissima e bellissima levriera afghana Regina ma non ha possibilità di essere corrisposto per la sua condizione d’inferiorità. Il suo aspetto, il suo spirito di bassotto non sono all’altezza di quelli di Regina, è lei stessa a dirglielo quando Platone le dichiarerà il suo amore. Lui farà di tutto per conquistarla, userà le sue qualità di filosofo, poeta, cantore, le canterà canzoni d’amore, la salverà dalla grave situazione nella quale viveva. Era tenuta nascosta, insieme ad altri animali rari, nella cantina sudicia di un palazzo perché di proprietà di un trafficante che, tra l’altro, la maltrattava. Niente, nessuna delle parole, delle azioni di Platone farà breccia nell’animo di Regina e dovrà egli rassegnarsi a rimanere solo perché rifiutato. Così sarà anche quando le sue azioni lo avranno distinto al punto da renderlo degno di premi. Neanche allora Regina si piegherà. I premi da lei riportati saranno superiori, vincerà tutti i concorsi di bellezza, giungerà ad essere dichiarata il cane più bello del mondo. Ma quando crederà di essere l’unica, la migliore, scoprirà di essere stata soprattutto usata per la sua bellezza, per il suo corpo, di non aver goduto e non godere di nessun affetto, di aver bisogno di essere corrisposta nei sentimenti, essere amata. Si ricorderà, quindi, di Platone poiché era stato l’unico che lo aveva fatto. Lo cercherà, lo troverà e sempre insieme rimarranno. A dire di tutto questo, a raccontare la favola è un pappagallo sapiente che di tutto sa poiché di tutto ha visto, dappertutto è volato, si è fermato, si è adoperato affinché vincesse il bene.
Antico è il genere letterario della favola e nelle sue antiche caratteristiche lo ripropone la Mazzucco, nell’eterna lotta da essa sempre rappresentata tra il bene e il male della vita, nel loro interminabile conflitto prima di giungere alla vittoria definitiva del bene. Come in altre favole anche in questa ci sono animali che pensano, capiscono, sognano, parlano, amano, fanno. Qui la levriera Regina dovrà scoprire, nella sua superba bellezza, quello che il bassotto, il pappagallo e la tartaruga sanno già, cioè che nella vita bisogna impegnarsi, resistere se si vuole ottenere il bene giacché essa è percorsa dalla cattiveria, dalla malvagità, in essa il cattivo vuole valere più del buono, vuole sopraffare, annientare chi gli sta intorno. Era tanto sicura di sé Regina da credere di poter sfidare ogni pericolo. I suoi successi riempivano i suoi pensieri fin quando non si accorgerà di essere vissuta solo di esteriorità, soltanto della sua bellezza e di non essere stata mai appagata nell’anima, nello spirito. Correrà subito a colmare questo vuoto e la favola si concluderà con la vittoria di quel bene che il bassotto aveva tanto a lungo perseguito. E se il bene del cane è quello di sempre, di ogni favola, di ogni tempo, il male al quale allude la Mazzucco è quello dei nostri giorni, degli ambienti, dei costumi che oggi si sono diffusi e che continuamente traspaiono nel corso della narrazione, continuamente sono accusati e confrontati col bene che servirebbe per correggerli.
Un invito vuole essere, questo della scrittrice, a riflettere, resistere, lottare, a non rinunciare a sperare che si potrebbe star meglio.
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