Conversando con Massimo

Conversando con Massimo

di Maurizio Tiriticco

Massimo Palozza è stato un mio alunno nei lontani anni sessanta, quelli della contestazione studentesca, attiva da Berkeley a Pechino, da Parigi a Roma! E gridavamo: “Ce n’est qu’un debut! Continuerons le combat”! E gridavamo anche: “Viva Marx, viva Lenin, viva Mai Tsè Tung”! La “lunga marcia” e la conquista del potere da parte dei compagni comunisti cinesi ci infiammava moltissimo! Ma non gridavamo soltanto nei cortei! Facevamo anche! Discutendo soprattutto, nelle sedi dei partiti, nelle piazze, nelle strade, davanti alle fabbriche e alle scuole. Insomma, se poi in quegli anni qualcosa è cambiato, nel costume, nei rapporti interpersonali, nel discutere, nei partiti financo, insomma io professore e Massimo studente un pezzettino di questo qualcosa lo abbiamo costruito anche noi! Senza superbia, senza millanteria. Con l’umiltà di chi la storia la fa, ma riflettendoci sopra, pezzettino per pezzettino, giorno dopo giorno! E troppo spesso per farla raccontare ad altri! Agli storici, che si avvalgono di documenti, non di fatti concreti, a cui non possono accedere. E allora, guai a dire “ai miei tempi”! Perché il tempo è sempre nostro, di ciascuno di noi, dal sorgere del sole di ogni mattino. Ed ogni giorno è diverso! E deve essere sempre una ulteriore conquista! Di pensiero e di azione. Ma… bando ai ricordi e, come si suol dire, torniamo a noi. Ebbene, penso che sul Sessantotto la ricerca storica non si sia molto diffusa! E vorrei che qualcuno mi smentisse. Io ho provato a scrivere qualcosa in merito, qualche decennio dopo. E penso che “Il mio Sessantotto” giri ancora sul web. E’ stato pubblicato nel luglio 2010 in un volume collettaneo, ricco di preziosi contributi, dal titolo ”Tutta colpa del ‘68”; sottotitolo: “la nascita del Sindacato Scuola della CGIL”, a cura di Dario Missaglia e Alessandro Pazzaglia; prefazione di Domenico Pantaleo.

Caro Massimo! Con il passar degli anni tante cose sono cambiate, anche le nostre teste, i nostri pensieri. Con nostalgia senz’altro, ma sempre con l’occhio critico sul passato, come si suol dire. E guai a dire “ai miei tempi”! Perché, come dicevano i Latini, “ruit hora”, e con le ore, passano i giorni, i mesi, gli anni e i decenni, le “cose”, le innumeri “cose” di questo mondo, i costumi, le idee, i sentimenti, gli atteggiamenti ed i concreti quotidiani comportamenti. Se io oggi, povero vecchietto malandato, mi lasciassi crescere i capelli, sarei solo ridicolo! Ma il capello lungo allora era il segno della contestazione! Uno dei tanti!Perché, oltre ai segni, c’era anche la realtà di una scelta di vita.

Torniamo a bomba! Con il corso degli anni io e Massimo siamo diventati amici e ci scriviamo costantemente su FB.Lui ha scelto l’insegnamento ed oggi è, come me, un felice pensionato. Nonché un esperto della immagine, del colore e della fotografia! E su FB ne pubblica sempre di molto belle! I soggetti? La ricca natura della splendida Ciociaria. Ebbene, oggi Massimo mi ha scritto quanto segue:

“Caro Maurizio! Non so se hai visto quella pubblicità in cui, in un prossimo futuro, i nonni raccontano ai nipoti di questa pandemia come se fossero degli eroi sopravvissuti a chissà quale cataclisma. Di tutto stanno facendo un dramma, dalla processione di bare che sfilava negli autocarri militari a Bergamo, fino ai poveri nonni costretti alla solitudine natalizia dal lockdown di queste festività. E tu vuoi parlare di valutazione, di promozioni garantite, di conoscenze, abilità e competenze non acquisite? Si sono fermati i cervelli della gente, amico mio, e non so più se ciò è da imputare alla paura di questa pandemia oppure al fatto che alla maggioranza degli esseri umani sta facendo comodo. Mio nonno, cavaliere di Vittorio Veneto, nacque per sua sfortuna nel 1899 ed è inutile che ti stia spiegando il perché gli fu conferita quella onorificenza! Aveva 17 anni quando fu chiamato al fronte e ne aveva 74 quando nel 1973 morì. La prima guerra mondiale l’ha vissuta in prima persona e dopo visse l’influenza spagnola, il ventennio fascista, la crisi del 1929 e la seconda guerra mondiale. Mi piacerebbe tanto sapere cosa penserebbe oggi di quest’Italia, che si spaventa per qualche migliaio di morti, che diventa compassionevole nei riguardi degli anziani soli, ma nello stesso tempo mette in ginocchio la cultura per favorire l’economia e la produttività!

“Ma questo lo possiamo capire tu ed io ed altri che hanno la nostra stessa visione del mondo e non so più cosa aspettarmi da questo… da un mondo dove la manipolazione delle menti crea falsi miti e falsi eroi e dove le nuove generazioni vengono educate al solo scopo di consolidare e riprodurre il consenso al sistema di vita capitalistico. Un sistema di vita e di produzione diventato prevalentemente digitale e dove le competenze sono ridotte ai minimi termini, competenze che per lo più non sono valutabili, dato che quelle richieste si modificano ad un ritmo tale da non permettere una loro regolamentazione. E allora? Dovremmo forse valutare la capacità di giudizio o la capacità di interpretazione scientifica della realtà, o meglio le conoscenze filosofiche o le abilità scientifiche? Ma chi le insegna queste cose ai nostri alunni?”

Caro Massimo! Che ne so? So solo che mia nonna Zenaide mi raccontava dei suoi due figli maschi – aveva anche quattro femmine, tra cui Jole mia madre – Dario e Decio, nati nel 1898 e nel 1899. Il primo fu spedito militare in Libia in quella assurda, infinita e inutile guerra coloniale, e lì fatto prigioniero ed in seguito scomparso. Come sai, i libici si opposero per anni all’occupazione italiana, guidati da quell’Omar Al Mukhtar, che in seguito fu catturato, processato – si fa per dire – e impiccato nel 1931 dai fascisti italiani occupanti come un volgare delinquente. il secondo, fu spedito al fronte insieme a tanti altri “ragazzi del ’99”, contro gli austroungarici e lì fu ucciso, nel suo primo giorno di quella stupida quanto inutile guerra, da una sventagliata di mitragliatrice, appena balzato fuori dalla trincea al grido di “avanti Savoia”!

Caro Massimo! Che cosa dirti? So solo che la storia non la facciamo noi, uomini e donne del giorno dopo giorno, ma uomini e donne che non sono guidati dagli interessi semplici di ciascuno di noi, ma da interessi “altri”, dettati dall’economia in primo luogo, ma non quella del pane quotidiano, quella del dollaro, del rublo, dello yen. E tutto ciò finché quell’agognato sol dell’avvenire non splenderà davvero sul nostro orizzonte! Utopia? Non so! Un forte abbraccio! Maurizio