Verso il 7 gennaio, l’Iss: scuole sicure ma difficile valutare l’impatto sulla diffusione del virus

da Corriere della sera
di Gianna Fregonara

«Per un ritorno a scuola in presenza è necessario bilanciare le esigenze della didattica con quelle della sicurezza». E’ la conclusione dello studio dell’Istituto superiore di Sanità che ha analizzato che cosa è successo dal 24 agosto al 27 dicembre nella curva dei contagi e l’impatto che ha avuto l’apertura (e la richiusura) delle scuole sulla diffusione del Covid-19. Non c’è una parola definitiva nelle quaranta pagine del gruppo di lavoro dell’Iss che deve servire come base scientifica al governo per decidere che cosa fare nelle prossime settimane, perché gli esperti, pur fornendo dati e statistiche importanti, da un lato confermano che i bambini più piccoli sembrano essere meno contagiabili e dichiarano che le scuole «allo stato attuale delle conoscenze sembrano ambienti relativamente sicuri purché vengano adottate le precauzioni ormai consolidate» (mascherina, distanziamento, lavaggio della mani) ma dall’altro ammettono che «l’impatto della chiusura e della riapertura delle scuole sulle dinamiche epidemiche rimane ancora poco chiaro», anche perché i dati su cui misurarlo sono incompleti. La decisione dunque se e come riaprire il 7 gennaio resta politica, perché come spiega il rapporto le scuole non sembrano provocare un aumento di contagi significativo al loro interno ma possono a seconda del contesto esterno e della situazione epidemiologica contribuire a rallentare o accelerare la diffusione del virus: su questo le evidenze anche di studi in altri Paesi europei sono contrastanti. E gli esperti del ministero della Salute consigliano: «Le scuole devono far parte di un sistema efficace e tempestivo di test, tracciamento dei contatti, isolamento e supporto con misure di minimizzazione del rischio di trasmissione del virus, compresi i dispositivi di protezione individuale e un’adeguata ventilazione dei locali».

I consigli dell’Oms, una scelta complessa

Il documento fa propri i consigli dell’Organizzazione mondiale della Sanità, come elementi da valutare e su cui basare la decisione di riaprire: «Epidemiologia del COVID-19 a livello locale, poiché la trasmissione del virus può variare da un luogo all’altro; individuazione dei probabili benefici e rischi per i bambini e per tutto il personale scolastico derivanti dal mantenimento dell’apertura delle scuole; intensità di trasmissione nell’area in cui opera la scuola; impatto complessivo della chiusura delle scuole su istruzione, salute generale, benessere e sulle popolazioni fragili; efficacia delle strategie di apprendimento a distanza; capacità di rilevazione dei casi e risposta da parte delle autorità sanitarie locali; capacità delle scuole e istituzioni educative di operare in sicurezza».

Le scuole non sono focolai

Per quanto riguarda i dati analizzati, l’Iss evidenzia che dopo la riapertura delle scuole «l’andamento dei casi di COVID-19 nella popolazione in età scolastica ha seguito quello della popolazione adulta» e che la curva epidemica mostra a partire da metà novembre «un decremento che indica un impatto sicuramente limitato dell’apertura delle scuole del primo ciclo sui contagi». Inoltre, la percentuale dei focolai in ambito scolastico si è mantenuta sempre bassa. «Le scuole non rappresentano i primi tre contesti di trasmissione in Italia, che sono nell’ordine il contesto familiare/domiciliare, sanitario assistenziale e lavorativo». A metà ottobre la percentuale dei focolai in ambito scolastico era intorno al 3,7%, cifra che poi si è ridotta.

Gli effetti della chiusura e della riapertura

Nel dossier, che riporta tutta la letteratura esistente sul tema, si cita però uno studio eseguito su 131 Paesi che dimostra che la chiusura delle scuole da sola potrebbe determinare una riduzione di R del 15% in quattro settimane e la riapertura un aumento del valore di R del 24% . Un altro studio effettuato in Cina dimostra al contrario che la chiusura delle scuole potrebbe non interrompere la trasmissione tra i bambini.

I dati sulle aperture delle scuole

Ecco i dati riportati della rilevazione dell’Iss, si riferiscono a diagnosi effettuate tra il 24 agosto e il 27 dicembre. I casi in tutto il paese sono stati 2 1.783.418, di questi 203.350 (11%) in età scolare (3-18 anni). La percentuale dei casi in bambini e adolescenti è aumentata dal 21 settembre al 26 ottobre (con un picco del 16% nella settimana dal 12 al 18 ottobre) per poi tornare ai livelli precedenti. Le percentuali di casi in età scolare rispetto al numero dei casi in età non scolare oscillano tra l’8,6% della Valle d’Aosta e il 15,0% di Bolzano. La maggior parte (40%) si è verificata negli adolescenti di età compresa tra 14 e 18 anni, seguiti dai bambini delle scuole primarie di 6-10 anni (27%), dai ragazzi delle scuole medie di 11-13 anni (23%) e dai bambini delle scuole per l’infanzia di 3-5 anni (10%). Il picco di incidenza giornaliero nel periodo in esame è stato di circa 43/100.000 abitanti nella fascia di età 3-18 anni chiaramente inferiore a quello riscontrato nelle altre classi di età (>18 anni: 60/100.000 abitanti). In età scolare, si riscontra un aumento dell’incidenza con l’aumentare dell’età, i valori più alti si osservano per i ragazzi di 14-18 anni (57/100.000) e 11-13 anni (53/100.000), seguiti dai bambini di 6-10 anni (37/100.000) e 3-5 anni (24/100.000) I picchi di incidenza più alti sono stati riscontrati in Valle d’Aosta (circa 200/100.000) nella classe di età 14-18 anni e in Lombardia, Liguria, Bolzano (intorno a 100/100.000) nelle fasce di età 14-18 e 11-13.