Il matematico “Sarebbe un errore l’impennata è certa”

da la Repubblica

Giovanni Sebastiani è un matematico che lavora all’Istituto per le applicazioni del calcolo, Consiglio nazionale delle ricerche. Con il virologo Giorgio Palù il 20 novembre ha pubblicato su Viruses un lavoro in cui si sostiene che le scuole hanno avuto una centralità nella seconda ondata di Covid-19 nel Paese.

Sebastiani, ci dica subito: cosa pensa della riapertura degli istituti superiori giovedì prossimo?

«Un’ imprudenza. Il contagio ha ripreso a salire, e comunque da metà novembre non scende più. Questo nonostante ci siano state restrizioni dal 4 novembre. Potrebbe dipendere dalla variante inglese e la situazione non è sotto controllo. Non a caso, nel Regno Unito si riparte il 18 gennaio».

Il governo italiano ha chiuso le Regioni dal 20 dicembre proprio per abbassare i contagi.

«Sì, e adesso non può riaprire senza conoscere i risultati del suo e del nostro sforzo. Il vero lockdown è partito il 24 dicembre e inizieremo a capire quali risultati ha maturato proprio a ridosso del 7 gennaio. Oggi sappiamo che 7 regioni vedono una crescita dei malati in terapia intensiva e che, ancora il 2 gennaio, i positivi sui testati erano al 39 per cento. Sono numeri stratosferici, dieci giorni fa stavamo al 22 per cento. Serve un altro periodo di attesa, potremmo indicare lunedì 18 gennaio come giorno di rientro».

Ci spiega perché vi siete convinti che la scuola abbia avuto un impatto sull’esplosione dei positivi tra ottobre e novembre?

«Lo dicono i numeri. A 14 giorni dall’inizio dell’anno scolastico la crescita dei contagi era di tipo lineare, con l’apertura siamo arrivati al 3 per cento dei nuovi positivi sui casi testati. Quattordici giorni ancora e l’aumento è diventato esponenziale, simile a quello dei primi di marzo. I contagiati raddoppiavano ogni settimana, e così i ricoverati in terapia intensiva. Da cosa è dipesa questa impennata?».

Ce lo dica lei.

«L’unico elemento di novità presente è stata la riapertura delle scuole, con 9 milioni di persone in movimento. Possiamo escludere altre influenze: l’attività lavorativa era già iniziata agli inizi di settembre, e nelle prime due settimane i contagi erano bassi. Dopo l’apertura non si sono verificati fenomeni macroscopici: non c’è stato un flusso turistico rilevante, per esempio. Non possiamo che ipotizzare che la scuola sia stata la causa originante della rapida crescita dei positivi».

Altre indicazioni?

«L’età media dei contagiati in quel periodo era bassa e l’ipotesi scuola viene rafforzata dal fatto che successivamente il governo ha introdotto decreti che hanno limitato l’accesso alle classi e frenato la crescita. Non può essere un caso che il 15 novembre, dodici giorni dopo il Dpcm, si tocchi il picco della pandemia e i dati inizino a scendere».

Ci sono altri lavori che ritengono che la scuola, sul piano dei contagi, si comporti come il resto della società.

«Sul piano statistico sono deboli».

Da novembre in poi sono cresciute le ricerche che evidenziano un problema specifico negli istituti scolastici italiani.

«Due studi inglesi, commentati su Lancet, arrivano agli stessi risultati con un’indagine a campione sugli studenti, indagine che il nostro ministero non ha mai fatto. E un lavoro dell’Università di Modena e Reggio, realizzato su 36 scuole diverse, spiega che nella fascia di età tra gli 11 e i 18 anni la trasmissione è significativa. La scuola, no, oggi non è attrezzata per ripartire».