L. Lanza, Donna Francesca Savasta, intesa Ciccina

Laura Lanza e la Sicilia dei racconti

di Antonio Stanca

   L’anno scorso da Astoria Edizioni è stato pubblicato il romanzo Donna Francesca Savasta, intesa Ciccina di Laura Lanza.

   La Lanza è nata a Roma e molto impegnata è stata nell’osservazione, nella valutazione dei fenomeni culturali della capitale e dei tempi moderni. Di essi ha scritto molte volte. Attualmente è caporedattore della rivista “Accademie & Biblioteche d’Italia”. Ha lavorato come bibliotecaria nella Vallicelliana ed ha curato la rubrica “Bibliografia di storia delle istituzioni contemporanee” per la rivista “Le carte e la storia”. Ha fatto parte della redazione di “Bibliografia Romana”. Molto si è mossa in ambito culturale e storico. Questo è il suo primo romanzo, è ambientato nella Sicilia di metà Ottocento, è scritto in una lingua che sta tra l’italiano e il dialetto siciliano, dice di vicende piuttosto comuni, quelle che si verificano in un piccolo paese di montagna, Monteforte, e che permettono di cogliere i modi di pensare, di fare, di vivere di un posto non solo arretrato ma anche isolato, lontano da quanto avveniva in centri urbani quali Palermo, Catania, Siracusa o nel resto della nazione.

   Protagonisti sono una levatrice, Francesca Savasta, detta Ciccina, e un giovane prete, don Peppino Gallo. Tramite uno zio vescovo che operava a Palermo questi aveva avuto l’incarico di provvedere alla piccola chiesa della Madonnuzza, situata nella campagna di Monteforte. Lo zio lo aveva fatto nominare parroco della Madonnuzza perché voleva allontanarlo da ambienti e persone che poco gli piacevano. In quel posto don Peppino aveva faticato a sistemarsi, aveva dovuto rimettere in sesto la chiesa, da tempo abbandonata anche a causa della sua distanza dal paese. L’aveva pulita, arredata, aveva suscitato, durante la messa, l’interesse di chi vi partecipava tramite interventi, discorsi mirati a incuriosire, coinvolgere. L’aveva rivalutata, aveva attirato l’attenzione dei paesani che erano tornati a frequentarla.

   Ciccina era la levatrice del paese e anche quella che aveva l’incarico di soccorrere i bambini abbandonati, provvedere ai loro primi bisogni e procurare loro un posto dove potessero crescere.

   Tra i due, don Peppino e la Ciccina, entrambi venuti da fuori a Monteforte, si stabilirà un’intesa che li porterà a vedersi, ad amarsi, a trascorrere insieme le notti. Nonostante tutto a loro si rivolgeranno le persone del posto per avere un consiglio, un’indicazione, un aiuto di fronte ad una circostanza insolita, ad un problema. Erano stimati, il loro giudizio valeva e così la loro presenza.

  Intorno a loro la scrittrice fa scorrere la vita di Monteforte, quella dei ricchi e dei poveri, dei grossi possidenti e dei contadini, degli onesti e dei briganti, delle signore e delle serve, degli amanti clandestini e dei matrimoni combinati, delle morti vere e di quelle finte. Sono tanti i modi di vivere che la Lanza fa vedere nel libro, sono tante le persone che si muovono in esso, le situazioni che si creano. C’è la vita degli uomini e quella delle donne, degli adulti e dei ragazzi, dei vecchi e dei giovani: a tutti la scrittrice ha dato un ruolo, una voce, tutti mostrano come si stava in Sicilia a quasi duecento anni di distanza, cosa si faceva in pubblico e in privato, in piazza e in famiglia, in chiesa e a scuola, nei campi e all’osteria. Ha scritto la Lanza dei rapporti che correvano tra i diversi posti, tra le persone che li vivevano, delle conseguenze che ne derivavano. E ovunque, in qualsiasi posto o circostanza, ha fatto vedere la levatrice o il prete del paese o entrambi dal momento che sempre erano chiamati o vi accorrevano, che a tutto si pensava potessero servire. E’ come se dai due fossero tirate le fila della vita dell’intera comunità, niente vi succedeva del quale non sapessero o non partecipassero.

   Ci saranno anche situazioni create, inventate, ci saranno momenti da favola che insieme a quelli veri contribuiranno a formare l’ambiente tipico di questi luoghi, l’ambiente del quale negli anni avvenire si dirà, si narrerà senza che si distingua con esattezza tra verità e sogno, tra vita e morte.

   Come si forma un ambiente simile, quello dei racconti dei nonni, fa vedere Lanza tramite la sua opera. A portarcela sarà stata la sua attività di bibliotecaria, la sua conoscenza di libri antichi. L’importante è che sia riuscita nell’intento, che l’abbia realizzato, che vi abbia dato un contenuto ed una forma espressiva tra i più autentici.