Se anche Azzolina ripudia la sua DAD

da La Stampa

Chiara Saraceno

«La Dad non funziona più». «Oggi è difficile per gli studenti capire perché non si riapre: hanno ragione, capisco le loro frustrazioni e le loro difficoltà. La scuola è un diritto costituzionale, se a me l’avessero tolta probabilmente non sarei qui». A formulare questi giudizi non sono i ragazzi, o i loro genitori e neppure gli insegnanti, ma la ministra dell’Istruzione. Per quanto si possa essere d’accordo nel merito, si tratta di una affermazione devastante se fatta da chi ha la responsabilità di far funzionare la scuola e di garantire il diritto costituzionale all’istruzione a tutti, in condizioni di parità, a prescindere dalle condizioni personali e familiari. Lungi dall’essere, come era nelle intenzioni, una manifestazione di solidarietà con gli studenti e le studentesse, è una dichiarazione di impotenza che lascia scoraggiati e senza interlocutore.

Nel conflitto tra ministra e presidenti di Regione si è raggiunto il punto forse più drammatico di una governance impazzita, in cui a perdere sono i cittadini, in questo caso in primis gli studenti, ma anche la ministra, la sua autorevolezza, credibilità, quindi in ultima istanza legittimità. Perché il governo della scuola spetta a lei. A lei spetta trovare accordi tra tutti i soggetti coinvolti direttamente e indirettamente nella scuola, ricostruendo la filiera delle dimensioni necessarie non solo a farla funzionare, ma a renderla accessibile. Una ricostruzione che era già mancata nella preparazione della riapertura a settembre, quando ci si era concentrati su spazi e banchi, ma si era ignorata la questione dei trasporti. E di nuovo ora, quando si erano immaginati, in contrasto con il parere dei presidi, slittamenti orari e turnazioni che avrebbero richiesto una radicale riorganizzazione della didattica, più insegnanti, oltre che della vita quotidiana delle studentesse e degli studenti. Certo le responsabilità di queste mancanze, di questi fallimenti, al netto dell’andamento pandemico, sono distribuite su più soggetti, non sono solo dalla ministra. Ma in ultima istanza è lei che deve risponderne, perché è lei la garante del diritto costituzionale all’istruzione, che è stato troppo a lungo trascurato in questo lungo anno, anche da lei.

La ministra ha dichiarato anche di essere preoccupata «per il deflagrare della dispersione scolastica». Fa bene ad esserlo. Perché la Dad non ha lo stesso impatto negativo su tutti i ragazzi e ragazze. Certo, sta deprivando tutti gli adolescenti del normale scambio e confronto che può avvenire solo nella quotidianità di relazioni faccia a faccia. Impone a tutti una dose di affaticamento aggiuntiva nel processo di apprendimento, tanto più, come succede troppo spesso, gli insegnanti non sono in grado di adattare il loro stile didattico non solo allo strumento digitale, ma al contesto di relazioni, di classi, solo virtuali. Ma per le e gli adolescenti più fragili, o in condizioni materiali disagiate quando non difficili, la Dad ha costituito e costituisce un aggravamento inaccettabile, per le cause note e già più volte discusse, anche su questo giornale. Non risulta tuttavia che dal ministero siano state promosse azioni sistematiche per contrastare i danni che si stavano provocando, al di là del finanziamento per qualche strumento informatico da dare in comodato. Non è stato fatto questa estate e neppure alla ripresa delle lezioni a settembre. I corsi di “riallineamento” sono stati per lo più lasciati da parte ben presto in ogni ordine di scuola, tra mancanza di insegnanti (che continua a permanere, con molte classi che tutt’oggi non hanno insegnanti in materie fondamentali) e interruzioni dovute all’esposizione al contagio. Nella secondaria superiora sono stati cancellati dalla messa in Dad totale a poche settimane dall’inizio delle lezioni, senza che si sia pensato di promuovere in modo sistematico forme di tutoraggio, costituzione di piccoli gruppi di prossimità, magari in spazi con connessioni internet stabili, per sostenere i ragazzi/e più fragili o con maggiori difficoltà, coinvolgendo l’università, le associazioni civiche e di terzo settore. Non vi è neppure un vero monitoraggio delle perdite di apprendimento e degli abbandoni, così come della qualità della didattica a distanza. Certo, non tutto dipende dalla ministra e dal ministero, molto può e deve essere fatto a livello delle singole scuole. Ma, di nuovo, dichiararsi preoccupata senza fare nulla è una dichiarazione di impotenza che un ministro non può permettersi senza delegittimarsi. —