Tra rischi e diritti

Tra rischi e diritti

di Rita Manzara

Questa ormai lunga parentesi legata alla pandemia da Coronavirus ha indubbiamente creato, per i giovani,condizioni del tutto imprevedibili per la gestione del tempo, per lo sviluppo delle competenze connesse agli apprendimenti, per la socialità in termini di efficacia delle relazioni.

Per esprimere un’opinione equilibrata in merito non è peraltro opportuno schierarsi nei confronti della didattica in presenza o a distanza senza aver prima approfondito le argomentazioni in materia, sia favorevoli sia contrarie all’una o all’altra delle posizioni.

La principale riflessione si impernia sul dissenso nei confronti della DAD espresso da gruppi più o meno consistenti di studenti e di genitori: la notizia, ovviamente, risulta di interesse pubblico ed è infatti veicolata da giornali e TV. I ragazzi che contestano il perdurare della DAD evidenziano gli indubbi effetti negativi sul rendimento scolastico, effetti che possono compromettere il futuro lavorativo.

Non viene, tuttavia, altrettanto sottolineato il disaccordo espresso nei confronti delle proteste in questione da 6 ragazzi su 10, ovvero la petizione lanciata su Change.org da Unsic (un sindacato di imprenditori e coltivatori), petizione che ha raccolto un numero elevatissimo di firme. Ci sono, quindi, anche persone che ritengono la DAD una valida alternativa o, quantomeno, la ritengono “il minore dei mali” rispetto al ritorno sui banchi dei nostri adolescenti.

Chiediamoci allora quali siano le motivazioni che stanno alla base dell’una o dell’altra convinzione.

Cominciamo col dire che nessuno può negare la maggiore validità dell’insegnamento/apprendimento in presenza. La Didattica a distanza è stata da tutti considerata una soluzione temporanea, che in tempi “normali” poteva essere comunque conservata o per rispondere alle esigenze legate a particolari situazioni (es. assenze per patologie prolungate), ovvero come una delle metodologie da impiegare nell’ambito di specifiche sperimentazioni (es. “flipped classroom”).

Ciò detto, deve essere anche reso noto il parere di alcuni docenti di scuola secondaria di II grado che, durante il periodo di lezioni a distanza hanno riscontrato non solo conseguenze negative (aumento della dispersione scolastica, difficoltà nel mantenere un buon livello di inclusione, ecc.) ma anche, in alcuni casi, un aumento del senso di autonomia e responsabilità da parte deglistudenti. Personalmente, posso dire di aver constatato la veridicità di quest’ultima affermazione in veste di Presidente di Commissione degli Esami di maturità 2020.

Proviamo adesso a capire perché, mentre gli alunni dai 3 ai 14 anni si recano comunque quotidianamente a scuola,far tornare adesso sui banchi i ragazzi dai 14 ai 18 anni costituirebbe senz’altro un rischio per un’ulterioreondata di contagi.

Escludiamo a priori la seguente (spiacevole) risposta che purtroppo sento dare da qualche persona, peraltroestranea alla scuola: “Perché docenti e Dirigenti Scolastici non hanno voglia di impegnarsi nell’organizzazione (difficile e complessa) del servizio nel rispetto dei protocolli igienici”. Che la scuola sia uno dei luoghi più sicuri è un dato di fatto, peraltro riconosciuto fortunatamente da molti.

In ogni caso, non possiamo ignorare che neppure i nostri ragazzi sono del tutto esenti dal timore del contagio. Ma non è questa certamente l’argomentazione principale.

Ricordiamo, invece, che molti ragazzi spesso, in realtà, finita la sessione di studio si affrettano ad uscire mantenendo in atto i propri rapporti sociali. 

Si tratta indubbiamente di un diritto (ora regolato dai DPCM), diritto che spesso però – proprio perché esercitato in piena autonomia rispetto ai bambini di età inferiore – rischia di venir gestito senza la necessaria attenzione alle norme (uso della mascherina, distanziamento, igienizzazione delle mani, ecc.)

Pur non volendo banalizzare il discorso, ritengo che i comportamenti “disinvolti” di una parte degli adolescenti al di fuori dell’ambiente scolastico (e di altri ambienti educativi, come quelli sportivi) costituiscono causa di rischi “portati” all’interno della scuola.

Qualcuno potrebbe correttamente obiettare che sono anche altre le cause di contagi, prima fra tutte il perdurante affollamento dei mezzi pubblici che, nonostante tutto, impedisce ancora oggi di mantenere il distanziamento a bordo.

E’ vero. E allora?

Non ci sono ricette, nessuno può fornirle.

Mi sono limitata soltanto a mettere sulla carta un elenco di fattori oggettivamente presenti nella nostra quotidianità per consentire un’ulteriore riflessione in merito alla difficoltà dei nostri giovani, intrappolati nell’antitesi tra bisogno di socialità e prevenzione del rischio.