Scuola, bocciati smartphone e minigonne

da La Stampa

Gli istituti alle prese con i repentini cambiamenti che coinvolgono gli studenti

Scuola, bocciati smartphone e minigonne

I divieti del Garante della privacy e dei presidi: nel mirino nuove tecnologie e look
maria corbi
ROMA

Chiamatele se volete, semplicemente, regole. Anche se quando si tratta della scuola qualsiasi indicazione anche solo di bon ton viene vissuta dagli studenti come un divieto preistorico, un attentato reazionario. Una lista di cose da non fare nei corridoi e nelle aule scolastiche che si modifica negli anni, «ere geologiche» quando i protagonisti sono gli studenti. Certamente eravamo in un’era geologica diversa quando per telefonare ci volevano i gettoni. Quando baciarsi era una cosa intima.

 

Quando le ragazze non ritenevano le calze-fouseaux dei pantaloni. E così oggi è necessario ripensare ai divieti, alla lista delle cose ammesse e non ammesse. Tra i grandi imputati c’è lo smartphone, spesso usato per copiare le versioni, o la soluzione di un problema di matematica. Un grande motivo di disattenzione, protestano i professori che cercano di arginare l’uso dei cellulari. E le regole dettate dal Garante per la Privacy prima dell’inizio dell’anno scolastico non sono di grande aiuto. Il cellulare non è stato bandito. Ma devono essere le scuole a dover decidere modi e luoghi di utilizzo. Così come per i tablet (sempre più diffusi come contenitori di libri di testo). In generale l’uso di cellulari e smartphone è consentito, ad esempio, per registrare le lezioni, sempre nel rispetto delle persone. Mentre non si possono diffondere immagini, video o foto sul web se non con il consenso delle persone riprese.

 

Questione dibattuta è quella del sequestro. L’insegnante può sequestrare il cellulare, in caso di uso illecito (vedi versioni copiate) ma deve restituirlo al termine delle lezioni o affidarlo in custodia alla scuola per una successiva restituzione ai genitori. Non può portarselo a casa o in borsa così come non può assolutamente perquisire gli studenti in cerca, per esempio, dei bigliettini «salva compiti in classe»: tutti reati perseguibili penalmente.

 

Non lede, invece, la privacy l’insegnante che assegna ai propri alunni il classico tema: «parlami di te» dove si affrontano argomenti personali.

Problema complicato da risolvere quello del fumo che è vietato nei luoghi pubblici e quindi anche a scuola. Ma rimane il problema dei cortili dove gli studenti passano i momenti di ricreazione.

 

A volte i presidi sono chiamati a limitare i comportamenti troppo affettuosi dei loro alunni, che con l’ormone scatenato si lanciano in effusioni. Qualche anno fa la circolare del preside Rusconi del liceo «Newton» di Roma vietò i baci all’interno della scuola, ma solo per prevenire un’epidemia di influenza aviaria.

 

E c’è il dramma del look. Ragazze con pantaloncini filo-sedere, con calze al posto dei pantaloni, con gonne corte come cinte. Ragazzi con pantaloni a vita tanto bassa da mostrare troppo, infradito, canottiere. L’unica legge esistente in questo caso è quella del buon senso. Ma spesso fallisce per colpa di genitori troppo tolleranti, o semplicemente sfiniti. Alcuni istituti hanno messo, o tentato di mettere, delle regole. Al Convitto nazionale di Roma per esempio non sono tollerati pantaloncini corti e abiti succinti. Il rettore Fatovic ha cercato di imporre la divisa, riuscendoci solo fino alle medie.

 

I maggiori alleati degli studenti che protestano? I genitori, of course.

All’Istituto professionale per il commercio e turismo di Sanremo, il preside venne accusato addirittura di censura (con un’interrogazione parlamentare) per aver approvato un regolamento che vietava abiti sconvenienti: minigonne, ma anche magliette «nude look», pantaloni con gli strappi e scollature eccessive. Ma sono tanti i presidi che si oppongono alla moda balneare, spesso senza successo come accaduto l’anno scorso al liceo Tasso di Roma dove a un’indicazione in tal senso gli studenti hanno risposto con una potente alzata di spalle.

 

Alla Scuola Media Statale Palazzeschi di Torino un regolamento invita gli alunni a presentarsi a scuola vestiti in modo semplice e ordinato, conforme alla serietà dell’ambiente scolastico. Normale buon senso, direte voi. Ma non è così scontato.