Fine primo quadrimestre al tempo del COVID

Fine primo quadrimestre al tempo del COVID

di Bruno Lorenzo Castrovinci

Anche quest’anno per molte scuole è il tempo di tirare le somme e raccogliere i risultati di metà anno.

Un anno particolare, con una didattica frammentata, resa difficile dalle continue sospensioni delle attività didattiche, dai servizi essenziali spesso non erogati o sospesi, dai continui adattamenti in itinere dei servizi di trasporto e da un clima generale che lascia poco spazio all’ottimismo.

A tutto questo si aggiungono le numerose novità normative, con il conseguente sovraccarico di lavoro per la dirigenza sempre più in difficoltà a presidiare tutti i momenti centrali della vita educativa e, di conseguenza, sempre più lontano da chi dovrebbe guidare e dirigere.

Se a questo aggiungiamo tutti i lavori e le misure che sono state realizzate, dai banchi singoli ai piani di emergenza, allo studio di misure per garantire un efficace distanziamento, a tutte le disposizioni emanate per prevenire il rischio biologico, al maggior numero di personale da contrattualizzare e di conseguenza da gestire, emerge una dirigenza stanca, che ha difficoltà a recuperare le energie necessarie per svolgere bene il proprio lavoro.

Inoltre tutte le procedure negoziali attivate per gli acquisti straordinari e l’introduzione delle nuove modalità di valutazione nella scuola primaria, oltre ai piani per la Didattica Digitale Integrata e l’introduzione dell’educazione civica con i suoi necessari adattamenti del PTOF, fanno emergere un quadro che vede una dirigenza sempre impegnata e in cui il tempo per la riflessione viene sempre meno.

Il tempo del presidio, del dialogo, della relazione, alla base della costruzione di una leadership educativa, che ponga al centro l’alunno viene a mancare.

Dalla ricerca IPRASE, Angelo Paletta aveva evidenziato questo aspetto, in quanto dalle osservazioni sistematiche fatte nelle scuole campione, il fattore comune per una dirigenza di qualità era rappresentato dall presidio di tutte le azioni e di tutti i momenti significativi della vita scolastica.

In un contesto fatto di scadenze, adempimenti, instabilità e imprevedibilità dovuta a soggetti esterni che in qualunque momento possono determinare la sospensione delle attività didattica, oppure da adempimenti amministrativi non programmabili ed inattesi, il presidio diventa un’utopia.

Eppure la storia insegna che è nel fronteggiare una crisi o un’emergenza che si consolida in senso di appartenenza, si creano spontaneamente le condizioni per fare squadra e, quindi, un’occasione per creare o consolidare quel senso di comunità che nella scuola diventa educante.

Scuola primaria, valutazione, una riforma necessaria, certo, ma che si presenta in un momento critico, dove i maestri sono alle prese con la Didattica Digitale Integrata, molti di loro con percorsi di formazione individuale finalizzati ad acquisire quelle competenze informatiche di base, per anni rimandate o trascurate.

Questo non per pigrizia, ma per un senso di inadeguatezza all’uso delle nuove tecnologie. Spesso i nativi digitali o gli immigrati digitali dimenticano che non è poi così semplice, come sembra, per chi non lo ha fatto mai accostarsi ad un computer.

Un senso di inadeguatezza vissuto in silenzio, che mortifica e di cui non è facile parlare, eppure diffuso, anche perché il nostro corpo docenti è costituito in maggioranza da personale prossimo alla pensione, stanco, con un lavoro che in determinate fasce di età è indubbiamente molto impegnativo e richiederebbe nuove energie.

La riforma era certamente necessaria, solo non fosse per il disallineamento e la confusione dovuti alla coesistenza di diverse modalità di valutazione, basti pensare ai voti in decimi dei risultati scolastici, e dei  livelli nelle prove standardizzate e nella certificazione per competenze del primo ciclo.

C’è da dire anche che la valutazione in decimi si porta dietro delle criticità dovute al fatto che spesso è lontana da un percorso formativo progettuale didattico, in quanto ormai il significato è automatizzato in tutto il personale docente e di conseguenza negli studenti e nelle famiglie.

10, 9, 8, 7, 6 hanno un valore che va al di là delle griglie di valutazione di ogni singolo istituto, in barba all’autonomia, e la media aritmetica dei voti delle verifiche un’ancora dove approdare per non avere problemi con la propria coscienza, ma neanche con i genitori, in quanto si sa, la matematica non accetta opinioni.

Pertanto, una riforma che sposta ulteriormente il focus sul valore formativo della valutazione, sulla progettazione delle unità di apprendimento, su una riscoperta delle indicazioni nazionali, faro indiscutibile della scuola italiana. Peccato che in fondo, fino ad oggi, verso quella direzione hanno guardato in pochi.

Nella cornice dell’art 4 del DPR 275/99, l’ordinanza n. 172 del 4 dicembre 2020, apre nuovi scenari per la scuola primaria, superando quel limite della coesistenza del giudizio globale descrittivo previsto dal D.lgs. 62/2017 con i voti numerici e riportando il focus sugli obiettivi di apprendimento e sui livelli di raggiungimento degli stessi, ottenuti attraverso criteri facilmente misurabili, allineati in parte con quanto previsto nella certificazione delle competenze e nelle prove INVALSI.

E se nella scuola primaria il tema della valutazione crea ansia e preoccupazione nel corpo docenti, nella scuola secondaria di primo e secondo grado, soprattutto per le zone rosse, i problemi sono ben più seri: una generazione di studenti cresciuti da ormai un anno con la Didattica a Distanza, livelli di competenza difficilmente misurabili a distanza, studenti privati delle relazioni sociali, almeno di quelle in presenza, ma per molti a tutto questo si aggiunge l’orientamento.

Ebbene sì! Gennaio è anche periodo di iscrizioni al nuovo anno scolastico, e per le classi prime un periodo insolito quest’anno, senza Open Day, senza incontri in presenza, con il virtuale a farla da padrone, video tour, videoconferenze, utilizzo dei social ai fini promozionali, con Dirigenti e Docenti impegnati in una competizione senza pari, per poter mantenere le classi e di conseguenza le dotazioni organiche.

Tutti contro tutti, ma in fondo vittime di un calo demografico che inevitabilmente porta al ridimensionamento, al riaccorpamento, e anche se le ultime misure adottate tranquillizzano un pò, di fatto le previsioni sono drammatiche.

Già nel 2018 una ricerca condotta dalla Fondazione Agnelli, “Scuola. Orizzonte 2028 – Evoluzione della popolazione scolastica in Italia e implicazioni per le politiche”, evidenziava una riduzione della popolazione scolastica che comporterà un minor fabbisogno e dunque una contrazione degli organici dei docenti, a partire dai gradi inferiori, per un totale di oltre 55.000 posti/cattedre che verranno persi in 10 anni (2018-28).

La scuola si racconta, dunque, in un mese di Gennaio che aggiunge anche le criticità della programmazione finanziaria, gli adempimenti legati alla redazione del programma annuale  e alla trasmissione dello stesso al collegio dei revisori e al consiglio d’istituto entro il 15 e che necessariamente dovrà essere approvato da quest’ultimo entro il 15 febbraio.

Ma è anche la scuola del lavoro agile, del POLA, delle modalità dello sciopero cambiate, e gli studenti?

Questa è la domanda che dovrebbe farci riflettere, serve il tempo per la riflessione, il tempo per il presidio, il tempo anche, perché no, di sbagliare e poi correggersi e rimediare, in una ritrovata umanità oggi sempre più compromessa dai processi in atto.