Il pensiero pedagogico di Loris Malaguzzi

Il pensiero pedagogico di Loris Malaguzzi

  1. Vita e opere

Il pedagogista/educatore, Loris MALAGUZZI, è nato a Correggio il 23 febbraio 1920 ed è morto a Reggio Emilia il 30 gennaio 1994.

La scuola è per MALAGUZZI un cantiere aperto e laboratoriale nel quale i processi di ricerca tanto dei bambini quanto degli adulti s’intersecano fortemente e, nello stesso tempo, si arricchiscono reciprocamente. Tutto ciò per il piacere di apprendere e per la nostalgia del futuro. La vita di MALAGUZZI è attraversata da passaggi straordinari a favore di progetti educativi per l’infanzia (asili nido, servizi educativi e scuole per l’infanzia). Già a venti anni incomincia, in un piccolo centro dell’Appennino reggiano, a Villa Minozzo, a lavorare, come insegnante, nelle scuole elementari. Nel frattempo, si laurea all’università di Urbino in Pedagogia.

MALAGUZZI ha, tra l’altro scritto:

–           Esperienze per una nuova scuola dell’infanzia (1971);

–           I cento linguaggi dei bambini (postumo – 1995);

–           In viaggio con i diritti delle bambine e dei bambini (postumo – 1995).

Nel 1945, MALAGUZZI, entusiasmatosi per un progetto che alcuni contadini e operai stavano elaborando in un sobborgo di Reggio Emilia, stabilisce di realizzare e gestire una scuola per bambini. Tale iniziativa influenza la nascita di scuole autogestite nella periferia e nei quartieri più poveri della città. Un corso di Psicologia, che frequenta presso il Consiglio nazionale delle ricerche, gli offre la possibilità, nel 1950, di operare anche al comune di Reggio Emilia, come psicologo, a favore dei bambini svantaggiati.

MALAGUZZI, mettendo insieme le due esperienze (scuole autogestite e psicologo a favore degli svantaggiati), organizza, negli anni Sessanta, a Reggio Emilia, una rete di servizi educativi d’impostazione rigorosamente laica per l’infanzia. Egli, a tal proposito, dice: “Una volta a settimana portavamo la scuola in città. Letteralmente, noi caricavamo noi stessi, i bambini e i nostri strumenti di lavoro su un camion e facevamo scuola e organizzavamo delle mostre all’aria aperta, nei parchi pubblici o sotto il portico del teatro comunale. I bambini erano felici. La gente guardava; erano sorpresi e facevano domande”.

Nel 1971, poi, su richiesta di madri lavoratrici istituisce anche un asilo nido, che, anticipando di molto il D.lgs n. 65/2017, poteva essere frequentato, dalle bambine e dai bambini di età dai tre mesi ai tre anni.

Nel 1980 è istituito, nella città di Reggio Emilia, il Gruppo Nazionale Nidi e Infanzia. Undici anni dopo, nel 1991, il Newsweek, rivista americana, parla di un asilo, denominato “Diana”, che si trova all’interno dei giardini pubblici di Reggio Emilia.

La rivista Newsweek definisce tale istituzione, come esperienza per la prima infanzia, la più avanzata nel mondo, infondendo, in tal modo, molto interesse soprattutto negli Stati Uniti. Per tale riconoscimento, il pedagogista riceve, nel 1992, il premio Lego, in Danimarca, e, nel 1993, a Chicago il premio Kohl. Nell’anno della morte di MALAGUZZI (1994) viene fondato a Reggio Emilia, un centro internazionale per la difesa e lo sviluppo dei diritti e delle potenzialità dei bambini (Reggio Children).

  1. Il pensiero pedagogico

Per MALAGUZZI l’acquisizione della conoscenza nei bambini non procede da un rapporto di causa-effetto tra l’insegnamento e l’apprendimento; essa è una costruzione personale di ogni bambino attraverso l’impiego delle risorse di cui è dotato. Per MALAGUZZI “i bambini costruiscono la propria intelligenza. Gli adulti devono fornire loro le attività e il contesto e soprattutto devono essere in grado di ascoltare”.

La pedagogia del costruttivismo diventa punto di riferimento perché i bambini operano con un ruolo attivo nella costruzione e nell’acquisizione della conoscenza e della comprensione della realtà. La teoria che ha messo in evidenza il valore dell’interazione sociale, nel costruire le conoscenze, e il carattere situato dell’apprendimento, in rapporto all’ambiente entro cui avviene, è stato soprattutto il costruttivismo, che si basa:

–           sull’attenzione al contesto di apprendimento;

–           sulla centralità del soggetto che apprende;

–           sulla costruzione sociale della conoscenza;

–           sulla diversità e sulla molteplicità delle strategie nei processi dell’apprendere.

L’apprendimento, di conseguenza, produttivo ed efficace solo con una pedagogia attiva. “Il piacere dell’apprendere, del conoscere e del capire è, per come sostiene MALAGUZZI, una delle prime fondamentali sensazioni che ogni bambino si aspetta dall’esperienza che affronta da solo o con i coetanei e con gli adulti. Una sensazione decisiva che va rafforzata perché il piacere sopravviva anche quando la realtà dirà che l’apprendere, il conoscere, il capire possono costare difficoltà e fatica. È in questa sua capacità di sopravvivere che il piacere può sconfinare nella gioia”. Il piacere di apprendere diventa, in tal modo, la nostalgia del futuro.

L’educazione deve, perciò, agevolare e favorire:

–           la progettazione e non la programmazione;

–           l’attenzione degli educatori e insegnanti, rivolto alla personalità delle bambine e dei bambini;

–           l’impegno degli educatori e insegnanti, indirizzato all’apprendimento e non all’insegnamento;

–           l’interesse degli educatori e insegnanti, diretto alla trasversalità del sapere;

–           la considerazione da parte degli educatori e insegnanti del processo di apprendimento;

–           l’osservazione sistematica e documentata, rivolte ai processi che si sviluppano a livello individuale e di gruppo delle bambine e dei bambini,

–           il confronto continuo sulle strategie della formazione e dell’autoformazione degli educatori e degli insegnanti.

MALAGUZZI è consapevole che ogni bambino, come creatore e portatore di conoscenze, è capace di costruirsi con le sue potenzialità l’apprendimento futuro. Non possono, allora, essere imposte, nei nidi e nelle scuole dell’infanzia, metodologie o strategie per far acquisire conoscenze. I bambini imparano la realtà che li circonda, agendo e facendo, in maniera spontanea e naturale, operazioni mentali di verifica, conferma o confutazione.

In tal modo, MALAGUZZI, attraversando il pensiero della MONTESSORI e, in parte, la teoria di PIAGET, ci conduce al pensiero della pedagogia costruzionistica di PAPERT.

Il bambino non può essere considerato come costruttore di apprendimenti isolatamente (PIAGET), ma, interagendo con l’ambiente circostante, è direttore e attore del proprio processo di apprendimento. Questo è attivato dall’interazione con le cose, con l’ambiente, con gli adulti e con gli altri bambini.

L’interazione sociale tra bambini deve, poi, essere facilitata dalle educatrici e dagli adulti, sollecitando la discussione sui problemi che essi incrociano nel quotidiano e che li motivano a fare riflessioni e scelte. In tal modo può essere ampliato il sistema di comunicazione interpersonale e sociale, permettendo a tutti i bambini di prendere confidenza con le diverse potenzialità comunicative e di favorire le azioni e le interazioni a livello individuale e di gruppo.

I bambini non smettono, secondo MALAGUZZI, mai di apprendere; perciò, bisogna operare, all’interno dei nidi e delle scuole dell’infanzia, con piccoli gruppi e progettare attività adeguate ai loro bisogni.

  1. I “cento linguaggi dei bambini”

Il bambino ha cento lingue, cento mani, cento modi d pensare e cento linguaggi; la scuola gli separa, invece, la testa dal corpo, insegnandogli a “pensare senza mani”, a “fare senza testa”, ad ascoltare e a non parlare, a “capire senza allegrie”. Tutti “gli dicono, scrive MALAGUZZI in I cento linguaggi dei bambini, che il gioco e il lavoro, la realtà e la fantasia, la scienza e l’immaginazione, il cielo e la terra, la ragione e il sogno sono cose che non stanno insieme. Gli dicono, in sostanza che il cento non c’è”. Il bambino risponde, al contrario, che “il cento c’è”. In questo passo si può rilevare che la creatività non divide né la fantasia dal processo cognitivo né le emozioni dalla razionalità ma che tutto il mondo percettivo dell’essere umano può alimentare rapporti di relazione intensi con il mondo circostante.

Il bambino deve, dunque, avere la possibilità di sognare cento mondi e di costruire cento diritti.

Il bambino non solo possiede immense potenzialità di apprendimento e di cambiamento, ma anche tante risorse affettive, relazionali, sensoriali, intellettive che vengono espresse in un’interazione continua con la realtà culturale e sociale in cui vive. Le une e gli altri sono soggetti di diritti e, a livello individuale e nella relazione con il gruppo, sono portatori di un’elevata sensibilità verso gli altri e l’ambiente in cui vive.

Il bambino è, poi, costruttore di conoscenze, che elabora attraverso l’esperienza e giocando. Egli, non possedendo, inoltre, ancora un pensiero codificato, esprime “cento linguaggi”: è un modo per dire che ha tantissimi modi di pensare, di comunicare, di comprendere le cose e di incontrare l’altro.

I “cento linguaggi” rappresentano metaforicamente le potenzialità che possiede il bambino nei processi cognitivi e nelle tante forme di creatività e di costruzione della conoscenza.

Loris MALAGUZZI affermava in L’educazione dei cento linguaggi dei bambini, in “Zerosei”, n. 4-5, dicembre 1983: “La parola s’irrobustisce e si amplia con i guadagni che vengono dagli altri linguaggi che tutti si costruiscono nell’esperienza (parliamo cioè di natura interferente dei linguaggi). Ma qui occorre prendere atto che anche i linguaggi della non parola hanno in realtà, dentro di sé, molte parole, sensazioni e pensieri, molti desideri e mezzi per conoscere, comunicare ed esprimersi. Sono anch’essi modi di essere, di agire, generatori di immagini e di lessici complessi, di metafore e simboli; organizzatori di logiche pratiche e formali, di promozione di stili personali e creativi”.

È compito dei nidi, dei servizi educativi, delle sezioni e della scuola dell’infanzia ottimizzare per gradi le potenzialità del bambino non solo per farlo esprimere creativamente, ma anche per renderlo capace, attraverso l’interazione dei “cento linguaggi”, di essere costruttore di conoscenza. Non c’è, in realtà, una modalità di comunicazione che non implichi tutte le altre.

Le modalità della comunicazione (verbale, non verbale e paraverbale) devono viaggiare in un processo armonico, per facilitare negli altri interlocutori tanto relazioni efficaci, attraverso una pluralità di linguaggi, quanto apprendimenti.

d, I diversi linguaggi e l’importanza della lingua inglese nell’infanzia

Un altro aspetto importante nei nidi e nelle scuole dell’infanzia, pensati da MALAGUZZI, è la declinazione dei saperi e, di conseguenza, delle competenze essenziali che le istituzioni sono impegnate ad assicurare fino al compimento del percorso che il bambino deve fare.

“I saperi che servono’’ – è scritto nella Circolare Ministeriale n. 98 del 1999 – ‘‘sono quelli che consentono al bambino di crescere secondo i suoi ritmi e che gli permettono di sviluppare gli alfabeti del vivere, del pensare, del comunicare, del riflettere insieme, dell’esprimersi e del rappresentare tramite diversi linguaggi”. Perciò, dopo aver definito gli obiettivi, la declinazione dei saperi avviene attraverso la fantasia, la creatività e l’ingegno.

Nel processo educativo e nel relazionarsi agli altri s’impara ad apprendere. In tal modo, si accende nel bambino e nella bambina la scintilla della curiosità e dello stupore a conoscere, declinando il sapere non solo, come appena detto, con la fantasia, con la creatività e con l’ingegno, ma anche mettendo a frutto le competenze acquisite, con una molteplicità di applicazioni.

Nelle sezioni delle scuole (asili nido, servizi educativi, scuole primavera e dell’infanzia) di Reggio Emilia, ispirate dalla pedagogia di MALAGUZZI e conosciute in tutto il mondo, è prevista anche la compresenza delle educatrici e insegnanti di madrelingua inglese. Il bambino parla e gioca impiegando la lingua inglese. In tal modo, le educatrici assicurano ai bambini il passaggio dal dialetto all’italiano e quelle di compresenza della madre lingua inglese anticipano suoni linguistici diversi, sviluppando già nella prima infanzia la consapevolezza del riconoscimento e dell’acquisizione di un’altra lingua, utile a comunicare con coloro che, non parlando l’italiano, devono essere ascoltati e accolti.

e. La cultura dell’atelier

L’atelier è un’ideazione, che dà forma e identità al progetto educativo di Reggio Emilia e alla filosofia dei cento linguaggi.

L’esperimento dell’atelier, con la figura dell’atelierista (insegnante con competenze di natura artistica), è stato introdotto dal pedagogista Loris MALAGUZZI nei nidi, nei servizi educativi e nelle scuole d’infanzia di Reggio Emilia negli anni Sessanta del Novecento.

L’atelierista è una figura che, operando in un luogo, costruito empaticamente per far esprimere tutti, accompagna i bambini nelle attività di scoperta, di ricerca e d’invenzione. Egli conduce, infatti, i bambini anche nel parco e propone, scegliendole, le tracce del lavoro dell’anno, come, ad esempio, acqua, aria, terra. L’atelierista che, come un’ostetrica, assiste e guida i bambini a circoscrivere le parole in uno degli altri novantanove linguaggi.

Gli atelier sono spazi accoglienti e vivi, dove i bambini e non solo, operando, ricevono continue sollecitazioni e stimolazioni, che, attraverso la ricerca di offrire risposte e di fare scoperte, favoriscono l’apprendimento. L’Atelier è, dunque, lo spazio dell’interazione empatica per far esprimere ogni bambino attraverso i cento linguaggi.

Le istituzioni educative devono avere, per MALAGUZZI, l’obiettivo di diventare comunità educative, fondate su un ambiente accogliente e creativo, dove i bambini, le famiglie, gli atelieristi e gli insegnanti possono condividere l’idea che il compito dell’insegnamento non è solo quello di produrre l’apprendimento, ma è anche quello di costruire le condizioni, affinché ognuno possa apprendere in uno spazio creativo e con un’elevata valenza etica. Egli ha, perciò, introdotto, lottando per diffondere sul territorio i nidi, i servizi educativi e le scuole dell’infanzia, la cultura dell’atelier, come insieme di valori, norme, concezioni e modalità comportamentali, adeguato ad assecondare le bambine e i bambini nel manipolare le cose, nel pasticciare, operando con le mani, e nel connettersi ai processi mentali. L’atelier è uno spazio in cui tutti i linguaggi hanno il diritto e la possibilità di essere accolti ed espressi.

Negli atelier non si producono apprendimenti ma si costruiscono le condizioni per apprendere. Essi, basati sul principio dell’attivismo pedagogico di DEWEY, sono spazi di sperimentazione innovativa e di relazione empatica, in cui i bambini sono visti come protagonisti attivi del loro processo di crescita cognitiva, sociale, emotiva ed etica.

Ogni atelier è funzionale a far esprimere i bambini con i cento linguaggi e a sviluppare in ognuno di loro forme di pensiero integrato e flessibile. Durante l’attività dell’atelier, l’educatore ha, come ruolo, il compito d’indirizzare e di facilitare la sperimentazione e la ricerca dei bambini, incoraggiandone, nel porre domande, le scoperte di apprendimento significativo.

“L’irruzione dell’atelier e dell’atelierista (insegnante con formazione artistica) perturbava – ha sostenuto Loris MALAGUZZI – volutamente il vecchio modello della scuola del bambino, già rimosso dalla compresenza di due insegnanti di sezione, dalla collegialità del lavoro, dalla partecipazione delle famiglie attraverso la gestione sociale.

La genesi dell’atelier coincideva, pertanto, con la genesi di un nuovo progetto educativo, sistemico, laico, moderno.

L’atelier (…) ha prodotto un’irruzione eversiva, una complicazione e una strumentazione in più, capaci di fornire ricchezze di possibilità combinatorie e creative tra i linguaggi e le intelligenze non verbali dei bambini, difendendoci non solo dalle logorree (…) ma da quella pseudocultura della testa-container che (…) è il modello che dà al tempo stesso la maggiore impressione di progresso culturale e la maggior depressione dal punto di vista dell’aumento effettivo della conoscenza”.

L’atelier è il luogo della creatività, dove i bambini hanno la possibilità di sporcarsi le mani con la creta, di colorarsi il viso con i pennelli, di conoscere e sperimentare gli elementi naturali (foglie, fiori ed ecosistemi), di capire come costruire un orologio solare e di apprendere praticamente che cosa sia il significato di riciclaggio dei materiali.

Nell’atelier chi guida i bambini a fare scoperte assume un ruolo rilevante, perché, ricreando ambienti di apprendimento e sperimentando attraverso la ricerca, induce quotidianamente a osservare, a fare esperienza, a riflettere, a documentare e a relazionarsi nella comunicazione.

La cultura dell’atelier è stata, infine, determinante nel fare acquisire fama e identità al progetto educativo delle istituzioni scolastiche di Reggio Emilia nel mondo.

Oggi, infatti, il Centro Internazionale Loris MALAGUZZI, in maniera ricorrente, propone, in Italia e a livello internazionale, atelier aperti e itineranti, per diffondere il messaggio a “pensare con le mani”, collegati a mostre.