Rafforzare la filiera professionale, lanciare la carriera dei prof

da ItaliaOggi

Marco Campione* *esperto di politiche pubbliche scolastiche

«Vi è però un settore dove la visione di lungo periodo deve sposarsi con l’azione immediata: l’istruzione e, più in generale, l’investimento nei giovani». Sono parole di Mario Draghi di pochi mesi fa. Con premesse così è lecito avere grandi speranze su come il suo governo affronterà l’emergenza educativa che investe il paese. Nell’indicare cosa desiderare per la scuola non si può però non tenere conto dei limiti che condizioneranno il suo lavoro, a cominciare da quello temporale: al massimo un paio d’anni. Questo non vuol dire non pensare in grande, anzi: pensare in grande è un obbligo, visto che è la condizione perché le risorse europee vengano effettivamente erogate. Vuol dire però tenere presente che il tempo è poco e che ogni intervento dovrà essere nella cornice del recovery plan. Un piano che sarà in parte riscritto per aumentare la quota di debito buono (investimenti) a scapito di quello cattivo (sussidi), è vero, ma da questo l’istruzione non ha che da guadagnarci visto che è l’investimento per antonomasia.

Per agire con speditezza è necessario avere un’idea chiara di quali siano i dossier ai quali dare continuità e di quelli più urgenti. Oltre al fatto che si è battuta per garantire il più possibile la scuola in presenza, alla Azzolina va riconosciuto di aver ben instradato un paio di temi. Per l’infanzia si è lavorato per consolidare l’impianto pedagogico alla base della riforma del 2017, sono state incrementate le risorse e ne sono previste di ulteriori nel recovery. Per i precari si è scelta la via del concorso straordinario, resistendo alle richieste di sanatoria. L’urgenza riguarda invece il nuovo anno scolastico, visto che a causa del Covid non si è svolto il concorso ordinario e l’avvio rischia di essere drammatico. Tra gli interventi solo annunciati ma cruciali ne indico due. La riforma della filiera professionalizzante dell’istruzione secondaria e terziaria (dossier che sarebbe utile affidare a un sottosegretario ad hoc): il nuovo governo ha la sensibilità per raggiungere questo obiettivo, avvicinando finalmente l’Italia al resto d’Europa.

Il secondo è quello del cosiddetto middle management. Oggi l’unica possibilità di carriera per un bravo docente è quella di diventare dirigente scolastico, ovvero smettere di insegnare. Un paradosso che il nuovo contratto può superare se accanto al necessario adeguamento delle retribuzioni disciplinerà la possibilità per gli insegnanti di assumere anche responsabilità formative, organizzative e progettuali.

A fianco delle riforme, quelle qui richiamate e le altre del recovery, c’è il tema dell’impatto della pandemia. È cambiata la percezione che le scuole hanno della propria funzione, dell’autonomia di cui godono e della relazione con i territori, ma anche l’approccio generale verso l’innovazione didattica e tecnologica; è aumentata la consapevolezza delle famiglie del lavoro in classe: un rischio per molti, l’occasione per ridurre autoreferenzialità e sfiducia reciproca per chi crede in una scuola diversa.

La possibilità di convogliare tutto questo in energia positiva passa da alcune scelte. 1. Realizzare un’indagine su come le scuole hanno approcciato la didattica digitale, che consenta di individuare cosa ha funzionato e cosa no e contribuisca a deideologizzare lo scontro di questi mesi. 2. Rafforzare le alleanze educative tra scuole e tra scuole e territori attraverso strumenti quali le reti e i patti educativi di comunità. 3. Aggredire la principale emergenza della scuola, le diseguaglianze, che la pandemia sta aumentando. Alcuni esempi su come farlo: dare vita a un fondo per il contrasto delle diseguaglianze, gestito con contrattazione decentrata; svolgere le prove Invalsi, anche per poggiare su dati scientifici la riflessione sui ritardi dovuti alla improvvisa generalizzazione della Dad, una modalità per molti inedita; per gli studenti per i quali sarà possibile, purtroppo non sono tutti, immaginare tempi di recupero distesi su più anni scolastici.