Insegnando si impara

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Insegnando si impara

di Maurizio Tiriticco

In genere si dice che sbagliando si impara, anche perchéerrare è una delle condizioni umane. Ed anche i nostri padri lo dicevano: “errare humanum est”. Pertanto, se errare è una condizione ineliminabile della condotta di ciascuno di noi, dagli errori possiamo sempre imparare qualcosa. Anche perché, in effetti, è impossibile non sbagliare mai e, d’altra parte, non è neanche detto che sia sempre possibile imparare dagli errori commessi! Anzi! A volte i capoccioni – o meglio i testardi non molto intelligenti – insistono nell’agire scorretto e persistono così nell’errare. Lo so, in genere si dice che gli insegnanti sanno tutto; e poi ci sono certi professoroni che, quando parlano, sembrano degli oracoli! Sputano una sentenza dopo l’altra! E gli alunni… questi sempre attenti, altrimenti… fioccano i due!

Insomma, sbagliare ed errare! Ma, attenzione! Sono due operazioni diverse. La prima: prendere un abbaglio! Ritenere vero ciò che vero non è! La seconda: errare: sbagliare strada. Ed ancora: la prima operazione riguarda il pensare; la seconda il fare! Comunque, in realtà la nostra vita è sempre piena di abbagli e di strade traverse! Anche se poi, giocando con le parole, molti attraversamenti sono agevolati da apposite strisce bianche! Ora mi chiedo se non ci sia un altro adagio, che arricchisca e completi quello di sempre! Insomma, che lo “sbagliando si impara” non possa coniugarsi ed implementarsi con… l’“insegnando si impara”.Possibile?

Sembrerebbe un’assurdità, alla prima lettura: in effetti chi insegna, sa, è depositario di un sapere, quindi… ma in effetti non è sempre così, almeno per chi veramente sa. Il web mi dice che Seneca in una delle sue “Lettere a Lucilio” afferma testualmente: “C’è un duplice vantaggio nell’insegnare perché, mentre si insegna, si impara”. Ed io spesso, quando insegnavo, pur non sapendo nulla della massima di Seneca, in effetti imparavo! Perché un insegnante serio, la sera prima prepara la lezione del giorno dopo. Però avevo anche imparato io qualcosa! Che forse potevo ammorbare i miei poveri alunni… che di fatto erano costretti ad alimentarsi delle… mie chiacchiere! Già! Perché l’alunno – dal latino alumnus – è colui che viene “alimentato”! Anzi, deve essere alimentato!

E mi chiedevo spesso: che fare per non ammorbarli? Idea! E se dicessi loro una cosa per l’altra, un sacco di panzane? Che so, che la Germania è un Paese africano; che l’equatore passa per i poli; che il Sole gira attorno alla Terra; che New York è la capitale dell’America, come reagirebbero? E così fu! Cominciai a fingere di sbagliare! A fingere di non sapere! Ma ora mi chiedo: chissà quantevolte mi sono veramente sbagliato senza rendermi conto! Menomale che la pazienza degli alunni – ed a volte l’ignoranza – è sempre tanta. Insomma, avevo imparato a comportarmi così: esordivo col dire ai miei studenti che non sempre avevo una buona memoria, per cui avrebbero sempre dovuto controllare ciò che dicevo. E poi dicevo veramente qualche corbelleria: le guerre puniche sono state sette; i re di Roma otto; la Divina Commedia l’ha scritta Petrarca; Laura era l’amante di Dante; Londra è la capitate della Francia… e via con balle a volte anche stratosferiche!

E gli alunni un po’ cominciarono a stupirsi di fronte alle panzane più grosse! A volte pensavano di essere loro gli ignoranti! Come si deve a chiunque è costretto ad andare a scuola. A volte mi correggevano, ma erano sempre incerti se – come diciamo a Roma – io lo fossi veramente, scemo, o lo facessi. Comunque la cosa funzionava! E poi la attivammo anche nelle interrogazioni. Uno di loro riferiva, ed io dovevo accorgermi se, quando e come sbagliava! Anzi, errava! E tutti seguivano con attenzione! 

La cosa piacque e poi la trasferimmo anche nei compiti scritti! E in quel caso la cosa era più difficile e impegnativa! Anche perché entravano in gioco anche la punteggiatura, l’andare a capo, la paragrafazione e tutte le diavolerie che SI VEDONO nello scritto, ma che NON SI SENTONO nell’orale! Insomma, impararono che lo studio può essere anche un divertente passatempo: lo studium dei latini! A meno che non entri in gioco l’ira! Il vecchio detto: sine ira et studio! Perché, altrimenti, tutto cambierebbe.