Dad «proibitiva» per 6 bambini su 10

da Il Sole 24 Ore

di Eugenio Bruno e Claudio Tucci

Il tema Mario Draghi ce l’ha ben presente. E anche il nuovo ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi, dovrà tenerne conto. Undici mesi di didattica in gran parte a distanza, come nel caso delle superiori, hanno scavato un solco negli apprendimenti degli alunni che non va ignorato. E che, presto o tardi, va colmato. A dirlo non sono solo gli studi internazionali che evidenziano un gap formativo nell’ordine del 30-50% in matematica e lingue. Adesso arriva anche una ricerca dell’Invalsi, guidato da Anna Maria Ajello, che svela la condizione di partenza della scuola italiana all’arrivo della pandemia. Ebbene, per più di 6 bambini su 10 le lezioni da remoto sono state una prova proibitiva considerando che solo il 36% era in condizioni «accettabili» per affrontarle. Alle medie si sale leggermente al 48%, alle superiori al 66. Tutti gli altri, dunque, potrebbero essere stati danneggiati dalla Dad. Perché se è vero che dall’emergenza a oggi il governo uscente ha stanziato 500 milioni contro il digital divide è altrettanto vero che anche Paesi all’avanguardia come l’Olanda (che ha chiuso le scuole per 8 settimane nell’anno scolastico 2019/20 contro le 18 nostre) hanno subito un contraccolpo nel passaggio all’e-learning. Figurarsi noi.

L’analisi dell’Invalsi

Lo studio (realizzato su dati 2019 dai ricercatori Invalsi, coordinati dal responsabile Area prove nazionali, Roberto Ricci) è consistito in un doppio questionario volto a indagare – da un lato – se gli studenti di quinta primaria, terza media e seconda superiore disponevano di un collegamento internet a casa, di un device e di un luogo tranquillo dove studiare. E – dall’altro – se i docenti di italiano e matematica erano già avvezzi alla didattica digitale. Le risposte sono allarmanti: alle medie solo il 41% dei prof sondati, allo scoppio della pandemia, era abituato a farlo.

Questa fotografia di partenza, secondo l’Invalsi, non può che aumentare le diseguaglianze già esistenti nella scuola italiana. Sotto tre aspetti. Primo. Gli allievi che provengono da famiglie meno istruite sono svantaggiati rispetto agli altri. Ad esempio, in seconda superiore, dal 66% di studenti con un livello «accettabile» di Dad si scende sotto il 50% in presenza di genitori che hanno solo la licenza elementare. Un fenomeno che si osserva anche a medie e primarie. Il secondo divario riguarda i diversi indirizzi di studio delle scuole superiori, con un netto svantaggio per gli allievi degli indirizzi tecnico-professionali. Un dato su tutti: tra un liceale e un coetaneo del professionale ci sono 15 punti di differenza nell’indicatore di “accettabilità” a svantaggio del secondo. E veniamo alla terza differenza: la variabilità tra scuole e, in alcuni casi, tra le classi, specie nelle superiori. Dove al top ci sono allievi che, a parità di altre condizioni, hanno avuto migliori possibilità di apprendere in base all’istituto frequentato.

Le soluzioni allo studio

A questi nodi se ne aggiunge un altro, confermato da un recentissimo studio pubblicato da Unicef e università Cattolica, dal quale emerge che quasi uno studente su due ha ricevuto una quantità di didattica minore a quella erogata prima della pandemia. Due indizi che potrebbero già bastare a fare una prova. Ma per avere il riscontro definitivo dobbiamo ora attendere lo svolgimento delle prove Invalsi, in agenda a inizio marzo, e sperare che realmente si tengano. Visto che da alcuni leader sindacali è già arrivato l’appello ad annullarle anche quest’anno. Non farle significherebbe però rinunciare a una base dati attendibile per impostare il recupero degli apprendimenti a cui il governo Draghi punta. A prescindere che ciò avvenga prolungando le lezioni fino a fine giugno, come emerso nei giorni scorsi, oppure ricorrendo ai corsi di recupero pomeridiani. O magari adottando entrambe le soluzioni.