Il ritorno dell’Orto Didattico

Scuola all’aperto
Il ritorno dell’Orto Didattico

di Bruno Lorenzo Castrovinci

Scuola all’aperto e orti didattici sono l’orientamento che con l’arrivo della bella stagione molte scuole italiane hanno scelto di sviluppare tenuto conto che la qualità dell’aria all’interno delle aule, nonostante il costante ricambio d’aria, e per i più attenti l’installazione di purificatori, non garantiscono la piena sicurezza dalla diffusione dal virus SARS COV2.

Se non fosse per questo motivo non si comprenderebbe l’obbligo, nonostante il distanziamento di un metro di tutte le rime buccali, d’indossare la mascherina da parte di tutto il personale scolastico e degli studenti per tutta la durata delle ore di lezione, ad eccezione del tempo dedicato alla merenda e alla mensa per ovvi motivi.

Infatti bisogna tenere conto che tutti gli ambienti di apprendimento sono stati profondamente modificati, con l’adozione dei banchi singoli e la disposizione degli stessi secondo layout ben definiti al fine di garantire il distanziamento e le vie di fuga, con un ridimensionamento delle aule che, alla vigilia della definizione degli organici da parte delle istituzioni scolastiche, comporta una deroga al numero massimo di studenti per classe prevista dal DPR 81/2009, dovuta al nuovo limite imposto dalla capienza in sicurezza delle aule.

In quest’ottica d’innovazione degli ambienti di apprendimento interessante la direzione che hanno intrapreso alcuni istituti di tutta Italia di costituirsi nella rete nazionale di scopo “Scuole all’aperto”, ispirata alla pedagogia della lumaca di Gianfranco Zavalloni, la cui finalità  è la sperimentazione e divulgazione di buone pratiche didattiche outdoor, in rinnovati ed interessanti spazi di apprendimento all’aperto, che vanno dalle aree di pertinenza degli edifici scolastici, ai parchi urbani, alle piazze e angoli di contesti urbani, fino a vere e proprie escursioni naturalistiche, con un apprendimento per esplorazione della natura, con la sua ricca varietà di biotopi che affascina ed arricchisce gli studenti.

Dal 2019, anno del primo accordo triennale in cui si sono avviate e sperimentate forme di  promozione e coordinamento della rete di scopo nazionale “Scuole all’aperto” e l’organizzazione delle prime attività seminariali, di disseminazione e di documentazione delle buone pratiche didattiche all’aperto, ad un nuovo protocollo in corso di revisione che tiene conto di un’espansione della rete in molte Regioni d’Italia e ne ricerca pertanto di fatto una nuova governance della stessa.

Una rete oggi estesa alle regioni dell’Emilia Romagna, con la scuola capofila, Toscana, Trentino, Sicilia, Piemonte e che verrà affiancata da uno staff tecnico che possa supportare e sostenere l’avvio e l’individuazione delle competenze utili per la formazione/facilitazione di tutte le attività di Learning outdoor.

Presupposto indispensabile per la buona realizzazione di ambienti di apprendimento negli spazi aperti delle nostre città, deve essere il fatto di Istituzioni che dialogano in una sinergia che consente di realizzare innovazioni, progetti e attività didattiche impensabili senza, se si pensa alle difficoltà di un sistema burocratico, come quello degli uffici amministrativi, e alla conseguente struttura normativa degli enti locali in Italia.

Occorre pertanto un’amministrazione degli enti locali attenta e in grado di dare risposte immediate alle richieste del mondo della scuola, che in alcune realtà particolari si traduce in un dialogo con istituti spesso aderenti al Movimento di Avanguardie Educative, in quanto vocati all’innovazione, ricerca e sperimentazione didattica.

Il ritorno alle tradizioni contadine, ai tempi lenti della natura, alla pedagogia della lumaca di Gianfranco Zavalloni, ad un tempo in cui nella cultura contadina il calendario di “Frate Indovino” scandiva le stagioni e affascinava bambini e adulti con la sua puntuale descrizione dei lavori da eseguire e delle piante da seminare e mettere a dimora.

La scuola dell’infanzia con i suoi campi di esperienza, con le sue routine, ma anche con i suoi piccolissimi plessi diffusi capillarmente in tutto il territorio nazionale, presenta le condizioni ideali per uno sviluppo immediato di questi nuovi ambienti di apprendimento.

I maestri si sa conservano quella limpidezza dell’anima che solo chi lavora con i bambini può avere, emotivi certo, impulsivi a volte, fantasiosi pure, ma indubbiamente dalla spiccata voglia di fare e soprattutto di far fare e far conoscere, ovvero acquisire quelle competenze che poi faranno la differenza nel successo scolastico successivo e nei processi di life long learning della  vita in generale.

Non è un caso che le politiche comunitarie negli ultimi anni stanno puntando sempre più sugli ECEC , “Early Childhoot Education and care, sui servizi educativi dell’infanzia, con l’Italia al posto di onore grazie a realtà come “Reggio Children” ispirata ai Cento Linguaggi dei Bambini di Loris Malaguzzi, ma soprattutto ad una scuola dell’infanzia italiana che dai muri colorati delle aule delle sue sezioni dei suoi piccoli plessi offre un servizio educativo che tutto il mondo ci invidia e che continua ad essere in continua evoluzione, basti pensare al D.lgs. 65 del 2017 e ai suoi “Poli dell’Infanzia”.

Tra le attività all’aperto più interessanti, il posto in prima fila spetta agli orti didattici che, in alcune realtà, sono spesso associate a servizi mensa innovativi i quali  utilizzano prevalentemente per la preparazione dei pasti, i prodotti coltivati dai bambini.

Un’educazione alla filiera corta, ma anche un contesto dove sviluppare nuove forme di dialogo con le famiglie e soprattutto con i nonni, spesso coinvolti in attività di volontariato, e ad un ritorno ad un rapporto con la natura, alla base dello sviluppo della civiltà.

In fondo si sa la conoscenza del mondo parte dall’esplorazione dello stesso, e cosa c’è di più affascinante per un bambino di veder nascere e crescere un essere vivente.

Per i bambini l’orto didattico è questo e non solo, un modo intanto per stare all’aperto, avvolti dai colori di una giornata di sole, con il celeste del cielo e il giallo del sole e il verde delle piante, che ci ricordano quanto è bella la vita.

Un modo per conoscere le piante, imparare a classificarle, apprendere sul campo le lavorazioni agricole di base, ma allo stesso tempo vedere come tutto in natura si trasforma in un armonioso e crescendo ritmo che solo la vita sa dare.

E se all’interno delle sezioni la vita prende forma nelle coltivazioni idroponiche con gli atelier botanici e scientifici, all’esterno l’orto didattico diventa l’ambiente di apprendimento dove i campi di esperienza trovano il contesto ideale per creare quello scaffolding caro a Jerome Brumer nei piccoli alunni, consentendo un naturale apprendimento e lo sviluppo di processi cognitivi che è impensabile ottenere in questa fascia di età attraverso il lavoro nelle aule e al chiuso delle sezioni.

C’è da dire anche che molti comuni sono fortunati ad avere dei plessi della scuola dell’infanzia progettate con un linguaggio architettonico naturalmente vocato per le lezioni e le attività all’aperto.

Non è un caso la rapida diffusione della rete di scuole all’aperto, oggi al centro di un ampio dibattito educativo dovuto dalla necessità di trovare ambienti di apprendimento adeguati alle limitazioni imposte dall’emergenza sanitaria in atto.

Certo, dietro le iniziative di successo ci sono sempre uomini e donne motivati e determinati, come i maestri, gli amministratori pubblici, le associazioni di volontariato, ma anche il mondo dell’impresa che in alcune regioni d’Italia è particolarmente sviluppato nel settore floro- vivaistico e nella coltivazione delle piante in generale.

E mentre nella scuola dell’infanzia, in molte realtà italiane, soprattutto al Sud favoriti dal Clima mite per la maggior parte dell’anno, sono già state avviate numerose attività didattiche, con l’emergenza sanitaria in atto il fenomeno si è esteso naturalmente anche ai bambini e ai ragazzi della scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado, sfruttando gli spazi esterni di cui molti istituti dispongono, ma anche quelli pubblici dei parchi e delle piazze adiacenti ai plessi scolastici.

E se per le scuole aderenti alla rete molto è già stato avviato, negli altri istituti si avverte un naturale tendenza ad aprirsi all’esterno. Certo andrebbe meglio regolamentato l’uso delle mascherine, in modo da poter usufruire del vantaggio offerto dalla purezza dell’aria rispetto ai locali al chiuso, che in alcune piccole realtà ed in particolare in quelle ubicate in territori montani e di collina è davvero notevole.

Scuola all’aperto dunque, e perché no, orti didattici, un coltivare per far crescere e crescere ad unisono, per una rinnovata sensibilità e rispetto per l’ambiente alla base dei Goal del programma dell’Agenda per lo Sviluppo Sostenibile 2030 che 193 Paesi membri dell’ONU hanno sottoscritto nel 2015. 

Pensare all’entusiasmo di molti amministratori comunali, alla notizia di adesione alla rete nazionale “scuole all’aperto” degli istituti ricadenti sul loro territorio, che già immaginano gli studenti immersi nei bellissimi e pittoreschi spazi urbani delle loro città.

Ma di fatto anche l’arricchimento di questi contesti dovuto dalla presenza dei bambini che da soli riescono ad animare il mondo.

Scuola all’aperto dunque, orti didattici, escursioni naturalistiche e urbane, percorsi di valorizzazione del patrimonio culturale, nuovi modi per fare didattica, ma soprattutto per rimettere al centro lo studente che apprende in un rinnovato rapporto con la realtà naturale, sempre più compromesso dall’avvento della didattica digitale.