La scuola italiana e il cappio del neoliberismo

La scuola italiana e il cappio del neoliberismo
Lettera aperta al Ministro della Pubblica Istruzione

di Pietro Boccia

Gentile Signor Ministro,

dovrei essere molto preoccupato per le sorti della scuola, non per il Suo profilo, ma perché la govenance dell’istruzione, nella storia italiana, non è mai stata attribuita ad un economista.

Tuttavia ho letto con attenzione non solo il Suo libro “Nello specchio della scuola” ma anche il Rapporto sulla scuola italiana che ha coordinato su nomina del Ministro Azzolina e in essi ho riscontrato spunti di notevole interesse.

Pertanto, Le rivolgo dimessamente per iscritto alcune considerazioni e riflessioni.

Alla scuola italiana, che è stata, negli ultimi anni, tradita e snaturata dalle forze economiche e politiche dominanti, deve essere restituita, per uscire dal cappio dell’ideologia neoliberista, la funzione sociale. Non si può, attraverso la scuola, tutelare l’interesse pubblico, conseguendolo con riferimento alle prestazioni. In tal modo tale interesse si smonterebbe e si sostituirebbe con la commercializzazione di un servizio. Con riferimento alla scuola, il diritto amministrativo prefigura che l’interesse pubblico deve manifestarsi tramite il diritto vissuto non come fine ma come strumento. Questo è un principio che nella seconda Repubblica è stato smontato meticolosamente.

Trasformare, poi, la scuola in azienda ha l’indiscutibile significato di forgiare le strutture che hanno come fine predominante l’attuazione, in contrapposizione alla “produzione” di un sapere critico, del profitto economico. Ciò avverrebbe, inoltre, in un sistema di spietata concorrenza ed emarginando, in tal modo, socialmente, economicamente e culturalmente i soggetti più deboli e svantaggiati.

La scuola, nella storia, ha sempre avuto un percorso lineare di democratizzazione dell’educazione, dell’istruzione e della formazione, mettendo, al proprio interno, in moto i processi di:

– educazione universale (nel Seicento, pedagogia di Amos COMENIO);
– scolarizzazione (illuminismo, rivoluzione francese e istruzione pubblica con CONDORCET);
– tendenza all’innalzamento dell’obbligo scolastico (legge Gabrio CASATI, in Italia, nel 1859 e così via);
– tendenza all’unificazione dei sistemi educativi e formativi (riforma dei programmi “Brocca”, in Italia, 1992/1993);
– tendenza all’individualizzazione e personalizzazione dell’insegnamento/apprendimento (riforma MORATTI, in Italia, nel 2003);
– educazione permanente e inclusione (strategia di Lisbona, nel 2000, Europa/2020, nel 2010 e Agenda 2030, nel 2015).

Con l’istruzione permanente e l’inclusione, il processo di democratizzazione dell’educazione, dell’istruzione e della formazione dovrebbe entrare nella fase della massima espansione e realizzazione.

Con la caduta del muro di Berlino e con l’avvento del neoliberismo economico, la scuola, pur con qualche trasalimento, ha subito un’inversione di marcia e di procedere. Oggi, a tale scopo, si deve, nella società globale e complessa, condividere ed edificare una scuola che, da un lato, sia adeguata a cogliere la realtà e a farla interpretare criticamente, e, dall’altro, aspiri a un presente proporzionato ai sogni delle nuove generazioni e che per loro immagini un futuro attendibile e verosimile. Una riforma, in tal senso, dovrebbe, allora, basarsi su alcune priorità, vale a dire:

• riorganizzare la pubblica istruzione in una fase non obbligatoria (nidi, micronidi e servizi educativi da tre a ventiquattro mesi); in un primo ciclo obbligatorio di otto anni (triennio della scuola dell’infanzia del diritto e dovere all’obbligo – unificando le sezioni/primavera e due anni delle istituzioni scolastiche dell’infanzia, nonché quinquennio obbligatorio della scuola primaria); in un secondo ciclo obbligatorio di otto anni (cinque anni – scuola secondaria di primo grado e primo biennio della scuola secondaria di secondo grado; tre anni – scuola secondaria obbligatoria di diritto/dovere all’istruzione del secondo biennio e quinto anno della scuola secondaria di secondo grado). In tal modo l’obbligatorietà e la certificazione delle competenze avrebbero un’intrinseca e coerente logica.
• abolire i carrozzoni ministeriali (i Dirigenti scolastici, i responsabili e gli Uffici degli ambiti scolastici provinciali), creando un diretto collegamento degli ambiti territoriali e delle reti di scuole con le Direzioni regionali e nazionali del Ministero della pubblica istruzione. L’autonomia delle istituzioni scolastiche e l’asfissia dirigenziale sono una contraddizione in termini;
• introdurre l’elezione diretta e democratica di un Coordinatore educativo da parte del collegio dei docenti, perché la scuola dell’autonomia esige democrazia e partecipazione. Nello stesso tempo rafforzare e fortificare, per qualità professionali e competenze, il profilo del Direttore dei servizi generali e amministrativi (laurea in economia aziendale, giurisprudenza o equipollenti) per la governance giuridica-amministrativa delle scuole. Con la scelta dei Coordinatori da parte del collegio dei docenti si potrebbe non essere più costretti all’accorpamento delle istituzioni scolastiche, finalizzate, nel compromettere ogni forma di didattica e nel sottrarre sedi di scuole alle piccole comunità, al risparmio. Anzi, si riconoscerebbe, così, lo status delle scuole sia a rischio sia di eccellenza;
• valorizzare il ruolo dei docenti sia riconoscendo l’insegnamento come una professione logorante e usurante sia equiparando i diritti e i doveri degli insegnanti italiani a quelli europei (compresi orario di lavoro e stipendio: in Germania, ad esempio, a fine carriera, i docenti percepiscono 80.378 euro annuali; invece, in Italia, a fine carriera, ne percepiscono annualmente appena 34.052);
• abolire il finanziamento (223.000.000 euro) delle scuole paritarie e private, rispettando l’art. 33 della Costituzione che recita: “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”;
• valorizzare e non abolire i titoli di studio. Il mercato e i poteri forti aspirano ad abolire i titoli di studio per emarginare le classi sociali più deboli;
• far acquisire alle scuole la funzione di palestra della democrazia per costruire, attraverso una cittadinanza attiva, una società aperta e interculturale;
• considerare gli studenti come soggetti di diritto e di doveri verso il mondo sociale e immaginare la scuola come un bene pubblico e condiviso. La scuola, in tutte le società democratiche, svolge, infatti, una funzione sociale;
• introdurre nella scuola primaria insegnanti per aree disciplinari. Non è umanamente immaginabile che un solo insegnante possa svolgere il ruolo di tuttologo;
• rendere il reclutamento del personale stabile e funzionale con concorsi biennali e doppio canale (all’espletamento del concorso tutti posti disponibili per le nomine in ruolo siano destinati ai vincitori ben posizionati in graduatoria; gli altri che hanno superato le prove entrino in una graduatoria permanente del doppio canale e soggetta al rinnovo ogni due anni. Da questa graduatoria attingere il personale, immettendolo in ruolo, durante l’anno che non è espletato il concorso ordinario;
• prevedere che ogni docente di una classe di concorso (ad esempio A019 – Filosofia e Storia) sia, dopo che la scuola si sia dato un rigoroso ed equilibrato Regolamento, assegnato a un’aula. Gli studenti dovrebbero, in tal modo, scegliere responsabilmente e liberamente l’aula da frequentare. Il docente sarebbe, così, costretto a formarsi e qualificarsi continuamente; in verità, bisogna attrezzarsi culturalmente e professionalmente perché ormai si sta andando verso questa prospettiva. Gli insegnanti, a livello globale, devono prendere coscienza e rendersi conto del rischio, che, nel futuro, le scuole saranno costrette ad essere, nella società totalitaria e neoliberista, controllate dalle piattaforme online. Oggi le imprese globalizzate sono i colossi delle reti informatiche (Google, Facebook, Amazon e Microsoft). Questi hanno, come sostiene Shoshana ZUBOFF in Il capitalismo della sorveglianza, costruiti sistemi per trasformare i comportamenti umani attraverso attività pervasive, messe in atto dal capitalismo totalitario, non sfruttando più soltanto la natura, come avveniva con la fase del capitalismo dialettico, ma, con i mezzi tecnologici, anche l’essere umano, asservendone l’anima e la mente.
• abolire l’insegnamento delle discipline opzionali e a scelta individuale. Gli studenti che intendono liberamente usufruirne dovrebbero con rette mensili pagarsi tali insegnamenti;
• aspirare, infine, a un Ministero dell’istruzione che si convertisse in un Dicastero delle future generazioni per una crescita intelligente e pubblica.

La scuola, in tal modo, potrebbe diventare un concreto luogo di formazione ricorrente e continua di tutti i cittadini ad acquisire conoscenze appropriate, per interpretare la società complessa, e a conseguire competenze adeguate, per governarne, in maniera autonoma e responsabile, i processi.