La laurea dipende dai genitori

da ItaliaOggi

Emanuela Micucci

Solo il 12% dei giovani arriva alla laurea se i genitori hanno la licenza media. In Italia l’ascensore sociale sembra essersi fermato. A certificarlo i risultati dello studio «Istruzione e mobilità intergenerazionale: un’analisi dei dati italiani», pubblicato nel nuovo numero di Sinappsi, la rivista dell’Inapp (istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche), che verrà presentato il 4 marzo con il ministro dell’istruzione Patrizio Bianchi. A differenza di altri che prendono come parametro di confronto il reddito dei genitori, lo studio si focalizza sui dati riguardanti il livello di istruzione che, sottolinea la ricerca, «forniscono informazioni altamente valide e stabili sulla scolarizzazione completata». Nonostante a seguito dell’innalzamento dell’obbligo scolastico e del libero accesso all’università, ci sia stato un aumento del livello di istruzione dei figli rispetto ai genitori, in Italia «esiste una relazione diretta tra il titolo di studio dei genitori e quello dei figli», spiega il presidente dell’Inapp Sebastiano Fadda. Un figlio di genitori con la laurea ha il 75% di probabilità di laurearsi, uno proveniente da una famiglia con al massimo il diploma il 48%, uno con genitori con la licenza media il 12%, scendiamo poi al 6% nel caso di individui i cui genitori non hanno alcun titolo di studio (in riferimento ad una classe di individui nati tra il 1977 e il 1986). Non solo. Per i figli delle famiglie più istruite la probabilità di ottenere lo stesso titolo di studio è in progressivo aumento: dal 60% dei nati nel 1947-1956 si passa al 75% dei nati nel 1977-1986.

Le riforme, quindi, hanno ampliato l’accesso a tutti i livelli di istruzione, ma, essendo rimaste immutate le differenze socioeconomiche e i loro effetti, dalla nuove opportunità hanno trovato vantaggio tutte le classi indistintamente, anche quelle superiori. La liberalizzazione dell’accesso all’università avvenuta nel 1969 sembra, infatti, aver favorito soprattutto i figli delle famiglie più istruite. Eppure, osserva Fadda, «generalmente i genitori desiderano per i propri figli un tenore di vita più elevato e con esso una vita migliore di quanto non abbiano avuto loro stessi. E la maggior parte delle persone aspira ad avere l’opportunità di raggiungere posizioni più elevate rispetto a quelle della famiglia di origine. Invece, lo studio Inapp dimostra che «in Italia l’ascensore sociale sembra essersi fermato. Sia per un problema legato alle risorse economiche che per un aspetto culturale: le evidenze dimostrano che un genitore poco istruito sarà meno propenso a investire nell’istruzione del proprio figlio». Del resto, il rendimento degli investimenti nell’istruzione è uno dei più bassi: le persone con titolo di studio universitario guadagnano in media solo il 40% in più rispetto a quelli con istruzione secondaria superiore, rispetto al 60% in più della media Ocse (2018).

Né livelli di istruzione elevati garantiscono maggiore probabilità di occupazione. «Sono necessarie», osserva Fadda, «politiche pubbliche volte a superare le diseguaglianze di origine non solo offrendo agli individui “capaci e meritevoli” ma “privi di mezzi” le risorse necessarie a proseguire gli studi, ma anche garantendo che le istituzioni di istruzione sappiano assicurare a tutti processi di apprendimento validi, incisivi e profondi». Non solo, quindi, ridurre le tasse d’iscrizione all’università o calibrarle sulla base del reddito. Ma anche, commenta Fadda, «superare il disallineamento tra domanda e offerta di competenze e stimolare processi produttivi innovativi capaci di assorbire forza lavoro altamente qualificata per indurre anche le famiglie meno istruite a investire maggiormente nel capitale cognitivo dei figli in vista di sicuri rendimenti futuri».