Scuola, stop alle lezioni in zona rossa ma sull’arancione è lite nel governo

da la Repubblica

di Alessandra Ziniti e Corrado Zunino

ROMA — A far saltare il banco è stato il ministro Bianchi. «Eh, no, se vogliamo chiudere le scuole in arancione allora voglio vedere chiusi anche i centri commerciali. Non è pensabile non far andare i ragazzi in aula e vederli poi assembrati fuori». Posizione espressa in modo forte e risoluto che ha finito per risvegliare le due anime del governo: quella rigorista, il ministro della Salute Speranza su tutti, pronto a chiedere qualsiasi ulteriore sacrificio pur di arginare la terza ondata, e quella più morbida, che ritiene che il sistema di chiusure mirate, anche affidate a governatori e sindaci, sia sufficiente.

Davanti alla galoppata del virus e alle varianti che si diffondono in maniera esponenziale tra i più giovani, anche gli sponsor delle scuole aperte a tutti i costi hanno accettato di fare un passo indietro. Su una cosa il governo è unanime rispetto alla proposta del Comitato tecnico scientifico: nelle zone rosse tutte le scuole di ogni ordine e grado rimarranno chiuse. Ma su cosa fare in zona arancione o persino in zona gialla se i contagi dovessero raggiungere la soglia ritenuta limite dei 250 casi ogni 100.000 abitanti, è braccio di ferro. A tal punto che, ieri sera, quella che si sperava fosse l’ultima cabina di regia utile a licenziare il primo Dpcm dell’era Draghi si è conclusa con un nulla di fatto e un rinvio ad oggi per un ulteriore confronto con le Regioni. Un’impasse imprevista che rischia di rimettere in discussione un provvedimento praticamente già definito e che — primo segnale di discontinuità annunciato dal nuovo governo — avrebbe dovuto essere firmato con largo anticipo rispetto alla data di entrata in vigore, sabato 6 marzo. E invece, quando mancano solo quattro giorni, non si trova ancora la quadra tra la priorità dichiarata dal governo di tenere aperte le scuole e la necessità sottolineata con grande vigore dai tecnici di arginare la terza ondata.

C’è grande preoccupazione tra gli esperti del Cts per l’evolversi della pandemia e Agostino Miozzo e Franco Locatelli, convocati ieri dal premier Draghi a prendere parte alla cabina di regia, lo hanno detto chiaramente. «Il Cts è sempre stato del parere di mantenere le scuole aperte in sicurezza. Il nostro non è un cambio di rotta: è il virus che è cambiato », hanno spiegato per motivare la proposta di prevedere, nel Dpcm, un meccanismo automatico: scuole di ogni ordine e grado chiuse in zona rossa ma anche in ogni territorio (regionale, provinciale o comunale) in cui il contagio dovesse raggiungere la quota di 250 casi settimanali per 100.000 abitanti. Un parametro che è solo uno dei 21 presi in considerazione per stabilire il colore di una regione, ma che gli esperti ritengono segno di contagi fuori controllo.

Il fatto è che prevedere questo automatismo significa rimettere in discussione aperture e chiusure, non solo delle scuole, in tutte le zone. Per intenderci: ieri, ad aver superato i 250 casi ogni 100.000 abitanti erano Marche, Abruzzo, Emilia Romagna, le province di Trento e Bolzano. Ma di queste solo Bolzano (peraltro su sua richiesta) è in rosso . E la Campania, che è a un passo dalla soglia, è in arancione. Sette Regioni però sono già tornate con la didattica a distanza, ad Ancona ieri il sindaco ha chiuso tutte le scuole e solo il 16% dei docenti ad oggi è vaccinato. Che fare, allora? Considerare questa la soglia automatica per chiudere le scuole o per chiudere altro? Interrogativo complicato soprattutto se la risposta dovesse comportare una ridiscussione del Dpcm.

Tra i due schieramenti nel governo, Draghi è apparso ancora una volta prudente e sulle posizioni del Cts: «Se il Paese sta male, l’economia non può ripartire». Da Giorgetti l’invito a fidarsi completamente delle indicazioni dei tecnici che, peraltro, nella discussione generale avrebbero persino ventilato l’idea di prendere in considerazione un inasprimento delle regole in zona gialla, senza però avanzare proposte concrete. «Almeno smettiamola anche solo di parlare di riaperture», l’invito del ministro della Salute Speranza che stamattina tornerà, insieme a Maria Stella Gelmini, a incontrare i governatori per un’ulteriore valutazione. Con l’obiettivo di riuscire a chiudere in giornata con la firma del Dpcm.