M.L. Iavarone – N. Trocchia, Il coraggio delle cicatrici

Maria Luisa Iavarone, Nello Trocchia, Il coraggio delle cicatrici,
Milano, UTET, pp. 223

di Maria Buccolo

Il volume “il coraggio delle cicatrici” è la storia di una madre Maria Luisa Iavarone, che racconta in prima persona la tragedia dell’accoltellamento di suo figlio Arturo, lasciato quasi senza vita da quattro ragazzi minorenni il pomeriggio del 18 dicembre del 2017 a Napoli. Attraverso un doppio registro, di narrazione autobiografica ed emotiva Maria Luisa, mamma e pedagogistaracconta la sua storia e quella di Artuto descrivendo le cicatrici ma anche le opportunità della battaglia sociale intrapresa, mentre Nello Trocchia, giornalista di inchiesta, si è servito degli atti giudiziari, delle intercettazioni ambientali e trascrizioni, dei colloqui in carcere per scandagliare la realtà che ha permesso a questa storia di bullismo e criminalità di essere conosciuta per essere combattuta.

Il volume si snoda in 13 passi che guidano il lettore nella vicenda ed offrono un quadro interpretativo multidimensionale dalla tragedia umana, alla visione sociale del fenomeno, l’asse si sposta ancora sul campo educativo, giudiziario, politico ed economico. E’ una schiacciante visione della realtà complessa, dalla quale non si può prescindere perché ciò che è accaduto possa far riflettere per attivare reali azioni di cambiamento. Quanto detto, emerge chiaramente dalle parole dell’autrice quando scrive: “le cicatrici di Arturo hanno dato a lui e a me il coraggio di trasformare una tragedia personale in una occasione di riscatto collettivo”. Tra le pagine del libro emerge sempre più chiaro il concetto di “resilienza”, come capacità di ricostruire la propria vita in seguito a cambiamenti difficili. Infatti, a p. 102 l’autrice scrive: “È qui, lo sento, che il mio ruolo di madre ferita inizia a riconciliarsi pian piano con l’altro mio ruolo, così lontano apparentemente, di studiosa di pedagogia. So che devo trovare il modo di portarla più avanti questa riconciliazione, di renderla un’arma. Perché dei ragazzini, praticamente dei bambini, a dirla tutta, si rendono responsabili di così atroci delitti? E che cosa stiamo facendo per salvare questi bambini da loro stessi e dalla nostra impotenza? Questa è la domanda da farci, che ancora oggi, a distanza di mesi, mi scuote”.

Sono questi gli interrogativi che spingono Maria Luisa a passare all’azione, lo si legge chiaro a p. 203: “Curare è a mio avviso un lavoro che deve riguardare l’attenzione alle competenze educative di chi accompagna la crescita e lo sviluppo dell’infanzia e dell’adolescenza”, dove si rivolge alle famiglie parlando di educazione alla genitorialità, ma ancora si riferisce al ruolo della scuola e delle istituzioni presenti sul territorio che devono lavorare sinergicamente ad un progetto di comunità educante. I temi che emergono trasversalmente all’interno del volume oltre alla violenza e al bullismo sono la povertà educativa, la dispersione scolastica e altre questioni alla base di una società complessa che si interroga su un futuro incerto delle giovani generazioni, proprio perché mancano riferimenti valoriali e solide basi di educazione emotiva.

Allora, come si può combattere tutto questo? 

La risposta si trova nella conclusione del libro dove, a distanza di anni dal dolore di Maria Luisa, attraverso eventi di sensibilizzazione su tutto il territorio nazionale sia dal vivo che suimedia e sulla stampa nasce un progetto che mette in campo azioni di prevenzione alla micro-criminalità, facendo educazione nei quartieri ad alto rischio. Nel 2018 si consolida l’impegno educativo, civile e sociale e viene creata dalla stessa, l’associazione ARTUR – Adulti Responsabili per il TerritorioUnito contro il Rischio. 

Questa storia ci insegna che da un evento traumatico possono nascere piccole azioni che porteranno ad un cambiamento che si realizzerà solo grazie ad un lavoro sinergico e costante di famiglie, scuole ed istituzioni.