L’Età della ragione

L’Età della ragione

di Maria Grazia Carnazzola

“L’età della ragione è l’acquisto di senso della propria vita, l’appropriazione di sé dopo aver sconfitto l’estraneità di se stessi, quel sentirsi svuotato: c’era dinnanzi a lui un’immensa collera, una collera disperata, egli la vedeva, avrebbe potuto toccarla”. Così J. P. Sartre nel libro con lo stesso titolo, il primo della serie “Le vie della libertà”.

L’età della ragione è l’età del giudizio, del discernimento, dell’autonomia delle scelte e delle responsabilità. Ma quando inizia questa età? Cronologicamente a quale periodo della vita corrisponde? Non è una domanda oziosa se andiamo, ad esempio, all’episodio che ha visto coinvolti, nel corso di un esame in modalità a distanza, una studentessa di medicina al sesto anno, sua madre e un professore. Non intendo analizzare l’episodio, nè alcuni comportamenti decisamente fuori fuoco, diventati virali sui social e ripresi anche da alcuni giornali, ma parto da qui per provare a riflettere sul ruolo e sui problemi della formazione nel mondo di oggi. Se vivere significa anche fare i conti con le cose così come sono davvero, spesso non positive e molto lontane da come le vorremmo, la vita va vissuta con impegno tenendo lo sguardo fermo sull’orizzonte dei valori, delle regole, del rispetto di sé e degli altri nelle relazioni, nella professione…in tutte le situazioni. Questo è un periodo di malessere diffuso che attraversa tutte le fasce sociali e tutti gli ambiti, compreso quello della formazione che procede sulla linea di un’istruzione nominale, sfornando giovani forniti di certificazioni corrispondenti a livelli elevati di competenze che non sempre corrispondono ai livelli reali. Il tempo della formazione scolastica e universitaria è un bene prezioso quando viene impiegato per porre le premesse di uno sviluppo ulteriore che utilizza, conservandolo e tramandandolo, il patrimonio di cultura e di intelligenze accumulate dalle generazioni precedenti; se consente di scegliere e di comprendere le scelte altrui, le possibilità e i limiti dell’azione personale e collettiva collegata alla visione positiva di diritti e di doveri. Se questo non avviene, assistiamo allo spreco del tempo e delle intelligenze di bambini, ragazzi e giovani. Proprio qui si dovrebbe manifestare “l’età della ragione” della Scuola per rinnovare profondamente il sistema, a partire dalla formazione dei docenti, in ingresso e in itinere. Formazione che dovrebbe svilupparsi nei tre ambiti di competenza: quello relativo ai contenuti di insegnamento, quello delle discipline professionalizzanti e quello didattico-operativo, avendo chiare le distinzioni tra i tre settori e le loro necessarie interrelazioni.

2. Strategie e metodi per un curricolo che sappia orientare.

Ritengo che la capacità di orientarsi, nelle dimensioni sociali e private, nei contesti professionali e pubblici, negli ambiti intellettuali e affettivi, sia lo strumento di interazione con la realtà a cui il mondo della formazione tutto debba tendere come traguardo unitario, su cui far convergere istruzione ed educazione, competenze disciplinari e trasversali ed educazione ai valori, per la costruzione di identità personali e sociali forti.

Le conoscenze sono e rimangono uno dei fondamenti irrinunciabili di questo percorso: conoscenze relative alle discipline, alla realtà contemporanea, al sé.

  • Delle discipline, con modalità e approfondimenti adeguati all’età, si punterà alla conoscenza dei fatti, delle regole, delle categorie interpretative, dei metodi che ciascuna adotta per leggere e spiegare la realtà sulla base di principi e criteri scientifici che connotano l’azione delle professioni che attingono a quei saperi.
  • Rispetto alla realtà contemporanea, si farà in modo che gli allievi, gradualmente, conoscano gli eventi- e il loro evolversi- e problemi relativi ai mondi della cultura, della ricerca scientifica e tecnologica, del mondo del lavoro, della salute, della politica, dell’economia a livello locale e planetario, delle possibili soluzioni e dei principi diversi che portano a valutazioni di natura sociale, morale ed etica.
  • In relazione al sé lo studente, man mano che cresce, conoscerà il funzionamento e le dinamiche delle relazioni e delle modalità cognitive e comportamentali del suo stare con gli altri, maturerà la consapevolezza dei propri interessi, dei propri punti di forza e di debolezza, della propria gerarchia di valori e di ciò che si può fare o non si può fare; si confronterà con l’esistenza di criteri e modi diversi di guardare se stessi e di essere guardati. L’educazione costituisce la risultante di un gran numero di variabili e non bastano le ideologie e i buoni sentimenti per evitare lo spreco di cui ho detto più sopra. Le ideologie che raccolgono consenso abbastanza ampio in certe fasce sociali, orientano e giustificano comportamenti collettivi collegati al superamento di un disagio fondamentale. Nel campo dell’educazione i motivi di disagio sono riconducibili anche a incertezze e contraddittorietà delle linee generali di indirizzo e nella definizione del ruolo sociale, nella precisazione dei criteri di valutazione e rendicontazione del suo “prodotto”. Il continuo sostituire la conoscenza con la suggestione ha portato a un’attenuazione dei patrimoni culturali e scientifici necessari per costruire modelli di interpretazione e di approfondimento dei fenomeni, per intervenire su esigenze specifiche. Ragionare sui fenomeni più frequenti senza un’ipotesi di fondo, da validare o da respingere, è una semplificazione esattamente come accogliere apporti scientifici senza possedere i riferimenti concettuali adeguati. Non basta eliminare il vecchio per affermare il nuovo; tutto questo genera un senso di insoddisfazione diffusa sia tra i docenti sia tra gli allievi e le loro famiglie.

3. Valutare secondo criteri e recuperare il principio di autorità.

La valutazione, che è un momento strutturale del processo di insegnamento/apprendimento nella scuola e nell’università, rappresenta la sintesi di un’attenta ponderazione dei dati quantitativi e di quelli qualitativi, assunti con strumenti diversi -ma tutti con alto grado di coerenza e di affidabilità- e si concretizza nell’espressione di un giudizio che ha effetti di rilievo sulle azioni e sui percorsi successivi, sia degli allievi sia dei docenti. In forme diverse a seconda dei destinatari, ma sempre leggibili e utilizzabili per le azioni successive, la scuola e l’università danno conto delle scelte fatte, degli esiti conseguiti, dei problemi aperti a tutti i portatori di interesse, decisori politici e opinione pubblica compresa. Occorre quindi che la valutazione sia condotta secondo criteri: per l’apprendimento criteri riferiti ai livelli dei saperi formali, delle conoscenze possedute e delle conclusioni che vi afferiscono. Il dizionario Treccani definisce il significato del termine criterio “fondamento, norma per distinguere, discernere”. Nella scuola tali criteri sono intenzionalmente ed esplicitamente adottati da una comunità di professionisti: i docenti. Pensando ai processi metacognitivi, la valutazione condotta e restituita con criterio, su indicatori condivisi e descrittori trasparenti, favorisce la conoscenza e la fiducia in sé stessi e negli altri, fondamentali nelle pratiche di autovalutazione e di autonarrazione. Non si tratta però di una generica fiducia in se stessi né di un generale sentimento di competenza, ma della convinzione di poter dominare con efficacia determinate situazioni: sapere di “saper fare”, cioè, come ha indicato Bandura, di saper organizzare e gestire abilità cognitive, sociali, comportamentali e motivazionali in particolari domini di attività e di esperienza e alla tolleranza dell’errore, come sostiene Dehaene. I sentimenti di autoefficacia, proprio perché legati all’esperienza, variano in relazione all’età, alle occasioni di mettersi alla prova e al tipo di restituzione che il soggetto riceve dai genitori, prima, dai pari e dagli altri adulti, docenti compresi, poi. Questo per ribadire la funzione educativa e orientativa, oltre che di accertamento, della valutazione.

4. Gli esami.

Quando si studia per un esame, bisognerebbe farlo in modo “intelligente”, il che significa in prima battuta conoscere gli scopi degli studi che si stanno facendo, distinguendo ciò che è importante da ciò che è accessorio, ciò che si deve necessariamente sapere da ciò che si può tralasciare, scegliendo anche gli strumenti di rappresentazione delle conoscenze che sono più congeniali: mappe concettuali, schemi, tabelle….Limitarsi a memorizzare i dettagli può essere controproducente, meglio prima farsi un quadro generale delle situazioni: il caso degli ipertimesici e di Funes, l’uomo della memoria di cui parla Borges, ne sono esempi. Il nostro cervello gestisce la complessità astraendo e creando relazioni tra i dati. Occorre poi pianificare la gestione del tempo, sia in termini di collocazione temporale dello studio nella giornata sia di durata, insistendo sulle parti che creano maggiori difficoltà. Tutto questo per affrontare la prova con relativa tranquillità (un esame comporta di norma uno stato diffuso di ansietà), per rispondere in modo adeguato, coerente ed esauriente alle richieste, rimanendo costantemente in tema senza divagare, esponendo in modo logico e utilizzando un lessico specifico perché, come sosteneva anche Bertrand Russel, il linguaggio non serve solo a esprimere un pensiero, ma anche a rendere possibili i pensieri. Sono aspetti su cui i docenti intervengono con azioni di supporto nella scuola dell’obbligo, ma che dovrebbero essere gestiti in autonomia dagli studenti negli anni successivi.

5. Per concludere.

Torno all’episodio da cui sono partita. I social e la stampa sono intervenuti sul fatto parteggiando per il professore o per la madre, pochissimi hanno preso in considerazione la posizione della studentessa, vera protagonista e vittima dell’accaduto. Un esame scolastico, o professionale, vuole verificare il livello di apprendimento raggiunto e ha una funzione preminentemente selettiva. È una situazione complessa in cui le interazioni tra esaminando, esaminatore e organizzazione dell’esame stesso possono accrescere i livelli di tensione e di ansietà. I genitori non rientrano nel copione, mai, men che meno quando l’esaminando è un adulto che si avvia a concludere il proprio percorso di formazione in previsione di una futura professione. Trovo, inoltre, quantomeno curioso che chi non rispetta le regole faccia appello all’autorità (il Rettore) perché intervenga nei confronti di presunte mancanze di terzi. Non intendo, infine, sottacere che a un esame ci si presenta preparati, anche per il dovuto rispetto nei confronti dell’istituzione e del docente da cui si pretende speculare rispetto. Di questa infelice sua prestazione e degli strafalcioni, amplificati suo malgrado, alla studentessa ritengo rimarrà l’amarezza, unita alla consapevolezza che dell’accaduto resterà memoria nel mondo imprevedibile e incontrollabile della rete.

BIBLIOGRAFIA

Bandura A., Self-efficacy: The exercise of control, Freeman, New York 1997; Morin E., Insegnare a vivere, Raffaello Cortina Editore,Milano 2015
Sartre J.P., L’età della ragione, Bompiani 2001;
Dehaene S., Imparare, Raffaello Cortina Editore, Milano 2019;
Gattullo M., Didattica e docimologia-misurazione e valutazione nella scuola, Armando Editore, Roma 1975; Borges J. L., Funes l’uomo della memoria in Finzioni, Adelphi, Milano 2003;