La gelida manina degli Organi collegiali

La gelida manina degli Organi collegiali

di Laura Bertocchi e Mario Maviglia

È il decreto delegato 416 del 1974 ad istituire gli organi collegiali della scuola. L’intento era quello di favorire la “partecipazione nella gestione della scuola” (art. 1) costruendo una “comunità educante” fondata sull’alleanza tra tutte le varie componenti. Confronto e collaborazione attiva sembravano essere gli strumenti che avrebbero disegnato il volto rivoluzionario della nuova scuola. Eppure le cose non sono andate proprio così. Senza pretesa di esaustività vogliamo mettere in luce alcuni problemi che gli organi collegiali si trovano oggi ad affrontare.

I consigli di classe

L’articolo 3 del suddetto decreto esplicita la composizione dei consigli di classe, sottolineando che “ne fanno parte:a. nella scuola elementare, per ciascuna delle classi interessate, un rappresentante eletto dai genitori degli alunni iscritti;b. nella scuola media, quattro rappresentanti eletti come sopra;c. nella scuola secondaria superiore ed artistica, duerappresentanti eletti come sopra, nonché due rappresentanti degli studenti, eletti dagli studenti della classe”. 

Al di là della terminologia ovviamente superata, è interessante soffermarsi su quelle che sono le funzioni di tale organo, che ha il “compito di formulare al collegio dei docenti proposte in ordine all’azione educativa e didattica e ad iniziative di sperimentazione e quello di agevolare ed estendere i rapporti reciproci tra docenti, genitori ed alunni. Le competenze relative alla realizzazione del coordinamento didattico e dei rapporti interdisciplinari spettano al consiglio con la sola presenza dei docenti”. 

Di norma, soprattutto negli ultimi anni, durante l’ora e mezza/due di consiglio, i docenti si trovano a dover gestire ordini del giorno infiniti. La burocrazia, pesante fardello tutto italiano, costringe alla compilazione di sempre nuovi documenti, caratterizzati da acronimi completamente sconosciuti a chi non appartiene al mondo della scuola: PEI, PDP, PFP, PAI, PIA, ai quali si aggiungono Piani formativi, moduli sulla sicurezza, pianificazione attività di Educazione civica, organizzazione PCTO… e chi più ne ha più ne metta. Non che queste attività siano superflue, ma la mole di documenti richiesti per programmazione-monitoraggio-rendicontazione è tale da impegnare gran parte del tempo e delle energie, sottraendoli di fatto a quel compito vitale e propositivo di “formulazione di azioni didattiche ed educative” e di “sperimentazione”. A talproposito, anche a causa della complessità di istituti con un numero notevole di studenti/docenti/personale ATA da gestire, i dirigenti scolastici tendono a promuovere metodologie uniformi su tutti i corsi, garantendo un certo ordine e una certa omogeneità, ma nel contempo penalizzando quello spirito vivo di sperimentazione che nasce solo da una condivisione sentita, convinta e partecipe. In un’epoca di individualità imperante, l’uniformità della scuola sembra garantire una certa sicurezza. 

Superato lo scoglio dei documenti da compilare, la maggiorparte del tempo, in molti consigli, è occupata dal confronto tra docenti sui comportamenti più o meno adeguati dei singoli studenti. Atteggiamenti poco corretti di solito implicano lunghi -talvolta anche molto lunghi – dibattiti sulle ragioni di tali comportamenti e sulle strategie da adottare per arginarli, su possibili sanzioni e sui conseguenti risvolti psicologici, emotivi ededucativi. Talvolta queste discussioni portano a sforare i tempi previsti per le riunioni, lo sanno bene i rappresentanti di classe e lo sappiamo bene anche noi docenti, che forse dovremmo imparare ad essere più efficienti – raggiungere l’obiettivo prefissato impiegando il minimo di risorse indispensabili – ma, probabilmente, in fondo è giusto così: siamo professionisti che educano, guidano, decidono il destino dei propri allievi e l’orologio alla mano non è lo strumento più appropriato per farlo coscientemente. 

Torniamo ora ai rappresentanti dei genitori; man mano che si passa dalla scuola dell’infanzia ai gradi scolastici successivi, la partecipazione diventa sempre più scarna, sia in termini numerici che di contributo. La rappresentante delle mamme nella scuola dell’infanzia (perché, ammettiamolo, la stragrande maggioranza dei rappresentanti, in questa fascia di età, è costituita da mamme) si prodiga cercando di aiutare le maestre a reperire materiali che saranno poi utilizzati per costruire, manipolare, inventare, mettere in scena o a coadiuvare gli insegnanti in vari progetti. A questa età quasi tutti i genitori sono ancora molto interessati alle iniziative che coinvolgono i propri pargoli, alla qualità del cibo che viene proposto dalla mensa, all’intensità dell’inserimento nel gruppo-sezione e partecipano con emozione alle prime esperienzerelazionali e di apprendimento del figlio al di fuori del nucleo famigliare. 

Passando ai gradi scolastici successivi, scema a mano a mano l’entusiasmo parentale per il coinvolgimento nella vita scolastica, tanto che in molte scuole secondarie si raggiunge a fatica il numero di rappresentanti previsto per classe. 

Da un lato forse questo è naturale: quando un figlio cresce, il ruolo dei genitori – anche al di fuori della scuola – diventa meno incisivo (e meno invasivo). In quest’ottica però il ruolo del rappresentante-genitore è individualista e utilitarista: “accetto questa funzione per mio figlio, per essere tempestivamente informato, per poter controllare meglio la situazione, eccetera”. Pare così offuscata la partecipazione intesa come impegno civile finalizzato a costruire quella che è l’istituzione per eccellenza chedovrebbe far crescere i cittadini di domani. 

Certo, un mea culpa andrebbe fatto anche da parte della scuola, che ha spesso percepito la partecipazione delle famiglie come un’invasione di campo e, incapace di regolamentarne le competenze e i limiti, ha preferito relegarle al ruolo di semplici uditori non considerandoli come interlocutori attivi. 

I genitori che hanno esperienza come rappresentati di classe, hanno probabilmente perso ogni entusiasmo già dopo il secondo o terzo anno. Passando dalla scuola primaria alla scuola secondaria, il contributo richiesto riguarda sempre meno momenti piacevoli e di convivialità, diffusi nei gradi scolastici precedenti (recite, festine, iniziative varie…), per cristallizzare spesso il ruolo del rappresentante in quello di ambasciatore, che raccoglie le lamentele generalizzate dei genitori e le riporta agli insegnanti e le lagnanze del consiglio da trasmettere alle famiglie. Un ruolo ingrato, ammettiamolo. Passando poi alla scuola secondaria di secondo grado anche questa mediazione viene meno, poiché le famiglie diventano sempre più latitanti, e forse frustrate da anni di rimostranze che – forse – si ripetono sempre un po’ uguali a se stesse. 

Il collegio dei docenti 

L’articolo 28 comma 3 del CCNL “Istruzione e Ricerca” 2016-2018, ribadisce quanto già previsto dall’art. 29 del CCNL 2007 e cioè che le attività funzionali all’insegnamento includono la programmazione, la progettazione, la ricerca, la valutazione, la documentazione, l’aggiornamento, la formazione e gli adempimenti a carattere collegiale, costituiti da: a- partecipazione alle riunioni del collegio dei docenti e sue articolazioni, fino a 40 ore annue; b- partecipazione alle attività dei consigli di classe, di interclasse, di intersezione fino a 40 ore annue.

Organo tecnico per antonomasia, il collegio dei docenti gode di numerose prerogative. Ricordiamo le principali: a. Delibera in materia di funzionamento didattico, cura la programmazione dell’azione educativa adeguandola, nell’ambito di quanto stabilito dallo Stato, alle specifiche esigenze ambientali;b. Formula proposte per lo svolgimento delle attività scolastiche;c. Valuta l’efficacia dell’azione didattica;d. Adotta i libri di testo, sentiti i consigli di classe;e. Promuove, nell’ambito delle proprie competenze, iniziative di sperimentazione e ricerca educativa e di aggiornamento.

Gli ostacoli ad una proficua partecipazione non sono molto diversi da quelli che, abbiamo visto, affliggono i consigli di classe. Ancora una volta è la burocrazia, con la sua mole spropositata di documenti da compilare, che rende lente e farraginose tutte le attività. Inoltre, se veramente si dovessero discutere approfonditamente i vari punti all’ordine del giorno previsti per ogni seduta, le riunioni avrebbero una durata inimmaginabile. (E per la verità qualche dirigente nutre dellevelleità di questo tipo…). Nella migliore delle ipotesi si delibera. E non può che essere così. Il problema semmai è quello di condividere il più possibile la documentazione riguardante i vari punti in discussione, anche attraverso abstract o schede illustrative, o altro materiale consegnato qualche giorno prima delle riunioni, in modo che ogni componente abbia modo di farsi un’idea dei vari argomenti e poter votare con cognizione di causa. 

In seconda battuta, il numero di partecipanti alle riunionirappresenta un oggettivo ostacolo alla partecipazione: il dimensionamento scolastico, ispirato a meri e rozzi criteri di contenimento della spesa con i conseguenti accorpamenti di scuole, ha dato vita a istituti monstre che possono contare anche 200 e più docenti. Difficile immaginare che questi piccoli parlamenti riescano a garantire una efficace gestione della scuola e infatti all’interno del collegio dei docenti vengono istituiti dipartimenti disciplinari e indirizzi, con il compito di creare raccordi e formulare proposte sul piano della definizione degli obiettivi, dei criteri di verifica e dell’impostazione metodologico-didattica. Allo stesso modo, tutti i documenti, dal PTOF al Piano delle attività, alle iniziative di aggiornamento, vengono preparatipreliminarmente da apposite commissioni ed arrivano pronti al collegio per la delibera.

Queste articolazioni consentono il confronto tra un numero contenuto di docenti e la concretizzazione delle proposte ma, innegabilmente, tolgono la possibilità di un dialogo di più ampio respiro: ognuno si occupa solo di ciò che è di propria pertinenza e si limita a recepire ciò che non lo è. In ogni caso, il vero approfondimento avviene non certo all’interno del collegio dei docenti, ma nei dipartimenti, nei gruppi di lavoro o nelle commissioni. In altre parole: la vera partecipazione, per i docenti, è al di fuori del collegio dei docenti.

Il più delle volte spetta così al dirigente l’onere e l’onore di tenere insieme il tutto, coordinando le varie esigenze e dando un senso a tutte le istanze. 

Il consiglio d’istituto

Soffermiamoci solo sulle principali funzioni che attengono al consiglio d’istituto: a. Delibera il bilancio preventivo e il conto consuntivo e dispone in ordine all’impiego di mezzi finanziari per quanto concerne il funzionamento amministrativo e didattico dell’istituto;b. Fatte salve le competenze del collegio docenti e dei consigli di classe, delibera l’organizzazione e la programmazione della vita e dell’attività scolastica;c. Adotta il regolamento d’istituto; d. Adatta il calendario scolastico alle specifiche esigenze ambientali;e. Definisce i criteri per la programmazione e l’attuazione delle attività extrascolastiche e parascolastiche; f. Promuove i contatti con altre scuole al fine di realizzare scambi di informazioni ed esperienze.

È evidente che le materie trattate dal consiglio di istituto sono di natura tecnica e derivano da precise norme di legge. Non sempre però i componenti di quest’organi hanno una preparazione tecnico-giuridica adeguata ad assumere le decisioni con cognizione di causa. Quando questa viene a mancare, i rappresentanti dei genitori possono affidarsi al parere più esperto delle altre componenti. Così facendo però viene meno l’equilibrio che nasce dalla partecipazione di tutti coloro che, a vario titolo, vivono la scuola e che portano in essa punti di vista diversi e istanze talvolta anche contrapposte tra loro. Oppure da qui possono derivare una serie di “incomprensioni” tra la dirigenza (che è chiamata a far rispettare la legge o comunque a far sì che le delibere assunte non vadano contra legem) e la componente genitori che spesso reclama forme di gestione più dirette, meno ingessate. Un altro problema che spesso si presenta è il possibile contrasto tra il presidente del consiglio di istituto e il dirigente scolastico. Com’è noto la norma assegna la presidenza di questo organo collegiale ad un rappresentante dei genitori. Questo riconoscimento è in realtà una concessione dal sapore fortemente demagogico in quanto il presidente ha il mero compito di governare le sedute dell’organo collegiale, non di governare la scuola (per questo c’è già il dirigente scolastico che, peraltro, è il rappresentante legale dell’istituzione scolastica). Ma, come spesso succede quando si viene insigniti di un  titolo”, non è raro il caso che il presidente del consiglio di istituto vada oltre quanto previsto dalla norma (ultra crepidam, potremmo dire, citando l’adagio latino), ponendosi quasi in competizione con il dirigente scolastico. Non è un caso che in qualche proposta di riforma degli organi collegiali la presidenza del consiglio di istituto venga attribuita al dirigente scolastico, allo scopo di porre fine ad una situazione alquanto confusa e tutto sommato disfunzionale rispetto al corretto andamento dei lavori dell’organo collegiale.

L’ultima riflessione che voglio fare, sentendomi parte in causa, riguarda il ruolo dei docenti che hanno figli in età scolare. Molti genitori, oggi sempre più colti e preparati, tendono ad invadere il campo di competenza degli insegnanti, suggerendo financo approcci e metodologie di carattere didattico. La situazione è ancora più rischiosa quando i genitori in questione sono anche docenti, poiché in possesso di tutte le competenze –anche pedagogiche – per giudicare l’operato altrui. Può allora capitare di dimenticare che le conoscenze e le competenze da sole non bastano, se manca la chiave di lettura dell’insieme, della specificità non solo del singolo allievo – magari nostro figlio -, quanto piuttosto del singolo in un determinato contesto e in rapporto con tutti gli altri. In fondo lo sappiamo bene: è proprio l’irripetibilità di ogni situazione a rendere impossibile eleggere una metodologia come la più efficace. 

Attenzione quindi a proporsi come rappresentanti dei genitori: separare i ruoli potrebbe rivelarsi una sfida più ardua del previsto! 

​Una crisi strutturale

L’impressione generale che si ricava è che gli organi collegiali siano organismi che vengono mantenuti in vita in modo quasi meccanico dalla macchina burocratica. Dal 1974 ad oggi, non hanno conosciuto di fatto alcuna modifica sostanziale e nel corso di questi cinquant’anni hanno assistito al loro lento ma inesorabile declino. Molte riforme hanno interessato la scuola nel corso di questo ultimo mezzo secolo: il processo di inclusione dei disabili a scuola, l’autonomia scolastica, l’innalzamento dell’obbligo scolastico, l’alternanza scuola-lavoro, la didattica digitale, ma gli organi collegiali sono rimasti fermi al palo, senza alcuna significativa evoluzione, come bambini condannati a rimanere tali.

L’attribuzione dell’autonomia alle istituzioni scolastiche doveva essere l’occasione buona per ricalibrare il ruolo degli organi collegiali all’interno di questa nuova e diversa dimensione operativa e culturale della scuola, ma le varie proposte di modifica sono naufragate per vari motivi politici o di tempistica o forse, più realisticamente, per una certa disattenzione della classe politica italiana verso i problemi della scuola. Di fatto, oggi questi organismi rappresentano dei simulacri di partecipazione, svuotati di significato, che trascorrono la loro vuota esistenza lungo un itinerario contrassegnato da rituali burocratici. Non è dato neppure sapere quale sia oggi la percentuale dei votanti, come se il fenomeno non avesse alcuna rilevanza sul piano sociologico. 

Certo va fatta una distinzione tra organismi “tecnici” (di solito composti da personale interno alla scuola, come il collegio dei docenti) e organismi di partecipazione sociale (come i consigli di interclasse/classe e i consigli di istituto). I primi non soffrono tanto di problemi di partecipazione e rappresentanza (la partecipazione è obbligatoria per il personale della scuola), quanto- come abbiamo visto – di funzionalità e incisività del loro operato. Va peraltro sottolineato che, a fronte dell’ampliamento delle istituzioni scolastiche come detto sopra, non è stata prevista sul piano formale una struttura intermedia che coadiuvasse il dirigente scolastico nella gestione della scuola, anche se pressoché in tutti gli istituti vi è uno staff di direzione, a composizione variabile,che collabora nella gestione dei processi organizzativi e nella condivisione delle scelte di fondo. Ancor più interessante appare la partecipazione di altre figure di sistema nella gestione della scuola (funzioni strumentali, coordinatori di dipartimento, referenti di aree specifiche come inclusione, digitalizzazione, valutazione ecc.). Queste strutture intermedie rappresentano forme di decentramento del potere o se si vuole forme di leadership diffusa (middle management) che tentano di andare oltre l’asfittico e burocratico concetto di partecipazione che gli organi collegiali si portano dietro.

E infatti uno dei problemi più rilevanti che nel corso del tempo gli organi collegiali hanno dovuto affrontare è stato proprio quello del loro impatto nella vita della scuola, soprattutto quelli a composizione mista (docenti e genitori) non investiti di alcun potere reale (pensiamo ai consigli di intersezione / interclasse / classe). Per riprendere una vecchia battuta, è vero che il potere logora chi ce l’ha, ma forse ancor più chi non ce l’ha. L’impossibilità di incidere realmente nella vita della scuola in parte giustifica il calo di appeal che gli organi collegiali hanno registrato progressivamente sempre più. Dovessero scomparire domani, pochi se ne accorgerebbero.

Alcune proposte

Si può uscire da questa situazione d’impasse? Al di là di alcuni aggiustamenti organizzativi che si possono fare per rendere più proficue le riunioni degli organi collegiali (e che è opportuno introdurre), se non vi sarà una profonda revisione di questi organismi il loro declino sarà inarrestabile (come in parte lo è già). Il cambiamento, se e quando ci sarà (i tempi della politica scolastica in Italia sono biblici…), dovrà riguarda composizione e attribuzioni degli organi stessi, in modo particolare dei due principali: collegio dei docenti e consiglio di circolo. 

Il primo ha ancora un senso se lo si vede come l’organo che esprime l’idea di scuola e di apprendimento che si vuole realizzare tenendo conto del contesto in cui si opera. In altre parole, il punto centrale di attenzione per il collegio docenti dovrebbe essere rappresentato dall’elaborazione e approvazione del PTOF che definisce la cornice educativa, organizzativa e didattica entro cui l’istituzione scolastica agisce ed effettua le sue scelte programmatiche, didattiche, valutative ecc. Le scelte operative vanno discusse e deliberate in organismi tecnici più ridotti le cui decisioni valgono per tutta l’istituzione scolastica (dipartimenti, gruppi di lavoro). 

Il consiglio di istituto (la cui presidenza dovrebbe essere affidata al dirigente scolastico, ponendo finalmente fine alla pantomima della presidenza da parte della componente genitori)oltre alla presenza dei genitori e delle altre componenti scolastiche, potrebbe contemplare anche la partecipazione dei rappresentanti delle istituzioni locali e del territorio (anche in forma non strutturale) e potrebbe a sua volta operare per gruppi di lavoro operativi. L’ambito di intervento del consiglio di istituto dovrebbe essere quello gestionale e di utilizzo delle risorse finanziarie, con una particolare attenzione alla cura del raccordo con il territorio.

Altri organismi intermedi che prevedano la partecipazione dei genitori possono essere decisi e definiti dalle singole istituzioni scolastiche e dunque fatti rientrare all’interno dell’autonomia delle scuole che in tal modo possono valutare forme e tipologie di questi eventuali organismi in relazione alle esigenze del territorio, mentre dovrebbero essere rafforzati (almeno sul piano della frequenza delle riunioni) i consigli di classe (a questo punto composti dai soli docenti delle classi interessate), che assumerebbero una funzione di coordinamento interdisciplinare, di raccordo degli interventi e di verifica e valutazione collegiale degli apprendimenti. Insomma, lo slogan potrebbe essere: meno collegio docenti e più lavoro in gruppi ristretti e definiti nei loro compiti. 

Forse queste proposte non serviranno a rivitalizzare gli organi collegiali, ma ciò che appare intollerabile è il protrarsi dell’accidiache caratterizza la classe politica su questa materia.