Damnatio aeterna

Damnatio aeterna[1]

Ovvero delle storiche vicissitudini del nostro M.I. (Ministero dell’Ignoranza)

Perché, ci chiediamo, i governati dalla Repubblica italiana ed in particolare il popolo tutto della scuola pubblica è condannato da sempre a subire la presenza ai vertici ministeriali di politici o cosiddetti tecnici il cui titolo preferenziale d’accesso è stato, oltre all’appartenenza partitica, la laurea in giurisprudenza? Sono più del 50% dei 42 Ministri che si sono succeduti in 75 anni.

Con rare e brevi eccezioni in altri campi del sapere ed un solo ministro senza alcuna laurea.

Non un solo pedagogista, epistemologo, semiologo, esperto in didattica, psicologo dell’età evolutiva, esperto in programmazione curriculare o esperto in tecniche dell’apprendimento. In assoluta maggioranza accademici potenzialmente “Principi del foro” prestati alla politica. Direte che ci è andata già bene per non aver avuto Marcello Dell’Utri e Niccolò Ghedini ai vertici del palazzo di viale Trastevere.

Sospettiamo che tutto ciò si sia potuto realizzare per la profonda fede dei nostri governanti nelle pratiche omeopatiche. “Similia similibus curantur” ovvero “I simili si curano coi simili”.

Quale migliore strategia di cura dell’ignoranza (noi preferiamo parlare di lotta alla povertà educativa, alla dispersione scolastica, agli abbandoni e all’insuccesso scolastico), se non quella di porre alla guida del Ministero dell’Istruzione del Governo italiano, politici o sedicenti esperti che, mentre discettavano e discettano di “Competenze e Saperi” nulla ne sapevano e ne sanno?

Così, diacronicamente, dopo la parziale democratizzazione dell’accesso alla scuola pubblica e all’università negli anni tra il ’70 e l’80, tutte le riforme e contro riforme sono state proposte o messe in atto da esimi, teoricamente, esperti dell’area giurisprudenziale: Luigi Berlinguer, Letizia Moratti, Maria Stella Gelmini e da ultimo il capo-classe della “Buona Scuola” Matteo Renzi. Tra Berlinguer e la Moratti una sola eccezione. Quella del linguista e glottologo indipendente Tullio De Mauro che, ovviamente, non durò più di “Un gatto in autostrada”.

In verità negli ultimi anni sempre sotto la spinta del postulato: “L’uno vale l’altro”, se possibile, le cose sono anche peggiorate. Fino ad arrivare all’attuale ministro Patrizio Bianchi, anch’egli accademico laureato in giurisprudenza che, con vero sprezzo del ridicolo, dopo avere mostrato le sue incompetenze grammaticali e sintattiche nella lingua italiana in estemporanee dichiarazioni alla stampa, ha pensato bene, come primo atto, in piena pandemia e con la maggioranza delle scuole chiuse, di dare immediato  rilancio alle famigerate prove INVALSI e di minacciare l’utilizzo diffuso della DID/DAD anche dopo la l’emergenza Covid 2. Ma su questo torneremo.

Non possiamo nel frattempo, esimerci dal tessere gli elogi e ricordare le gesta di almeno uno dei nuovi sottosegretari di recente nomina: certo Rossano Sasso in quota Lega, naturalmente laureato anch’esso in giurisprudenza ed un fulgido esempio per tutti i nostri discenti.

Dopo una parentesi da sindacalista nell’UGL[2] si è distinto per l’organizzazione, nella sua Taranto, di ronde e flash Mob contro gli immigrati fino a definire, in pieno delirio xenofobo, un giovane marocchino accusato di stupro, e poi assolto con formula piena, <<Bastardo irregolare sul nostro territorio>>.

Né il Sasso, appena nominato, si è lasciato sfuggire l’occasione per mostrare ai nostri futuri maturandi le sue conoscenze letterarie nel citare Topolino pensando di citare Dante Alighieri: <<Chi si ferma è perduto, mille anni ogni minuto>>. Ipotizziamo che sia stato affascinato, sin da piccolo, dalla prima parte della pseudo citazione letteraria notoriamente pronunciata da Benito Mussolini in un suo discorso a Genova nel 1938.

Riflettendoci sopra, come consiglierebbe il madre lingua veneta presidente Zaia, tanti esperti giuristi al Ministero dell’Istruzione avrebbero dovuto rassicurarci almeno in relazione al rispetto delle più elementari norme del diritto amministrativo. Niente affatto. I tanti ministri in mancata toga non si sono mai dovuti preoccupare di questi dettagli. Fondamentalmente perché, parafrasando il motto delle monarchie parlamentari britanniche, i ministri “regnano” ma “non governano”. A questo compito sono deputati i c.d. “Boiardi di Stato”.

Direttori generali immarcescibili, esperti e consiglieri personali cooptati per chiamata diretta e relativi onerosi compensi, che saltano pervicacemente le prerogative del Parlamento e “legiferano” attraverso “linee guida”, “note” e “indicazioni” che puntualmente vengono messe in atto dagli ubbidienti amministratori periferici manco fossero editti di imperiale memoria. Nemmeno, dunque, la più elementare conoscenza e rispetto della “gerarchia delle fonti giuridiche” da parte dei ministri regnanti e loro “sottoposti” poiché infatti tutti questi “atti ministeriali” nella gerarchia del diritto equivalgono al nulla assoluto perché tali documenti non sono, ovviamente, fonti del diritto ma esclusivamente personali opinioni delle/degli estensori e, ciò nonostante, spesso vengono, incredibilmente, eseguite dalla “periferia” come se fossero norme vigenti.

Così, in questo anno di pandemica emergenza, per citare gli esempi più recenti, Capi dipartimento del M.I. quali Marco Bruschi detto Max, come si legge sul suo curriculum vitae, e Direttori generali come Maria Assunta Palermo, da 34 anni al ministero, “governano” la scuola pubblica e i suoi addetti con un profluvio di note e circolari tra il disinteresse generale ed il silenzio connivente dei sindacati scuola: CGIL, CISL, UIL, SNALS, GILDA e di recente i neo-concertatori dell’ANIEF. Il Bruschi ha fornito l’ennesimo esempio di note ministeriali con il suo ultimo atto da Capo Dipartimento del Ministero contro il quale vi è stata una levata di scudi. Ma tant’è.

Più volte inascoltati, abbiamo denunciato, insieme a pochi altri, l’inefficacia normativa di “atti amministrativi” che non tengono in alcun conto la disciplina pattizia dei Contratti Collettivi di Lavoro, gli obblighi realmente previsti dai mansionari per il personale ATA, gli effettivi doveri dei docenti, nonché i diritti, nell’esercizio della loro funzione, le norme sulla tutela della salute degli addetti. Insomma, abbiamo denunciato l’esistenza di un sistema abnorme di “indicazioni, note e circolari”, frutto dell’arbitrio di burocrati ministeriali che nulla sanno della realtà scolastica e della didattica. Un sistema che non offre le giuste garanzie né a chi lavora e studia né tantomeno alle famiglie. Un sistema fittizio che pretenderebbe di scavalcare le norme vere e proprie.

Eppure, in questo momento di rinnovata e preoccupante emergenza nazionale causata da focolai infettivi generalizzati e variabili Covid ad alta trasmissività che colpiscono sempre più i giovani, il ministro Bianchi, attraverso i suoi boiardi, ha ritenuto urgentissima la riconferma del Totem delle prove INVALSI.

Test che nulla hanno a che vedere con la tradizione didattica e l’offerta formativa della scuola pubblica. Un corpo estraneo incoerente rispetto ad una normale didattica in presenza.

Figuriamoci in una didattica svolta quasi totalmente on line che non ha mai garantito agli studenti pari opportunità di apprendimento in tutto il territorio nazionale e regionale.

Un demagogico e delirante approccio valutativo contestato, ed in parte abbandonato, oramai anche da coloro che lo avevano partorito negli Stati Uniti.

Confidiamo nel fatto che le/gli studentesse/i e le/i docenti vogliano dare un ulteriore segno di orgogliosa opposizione a questo ennesimo tentativo di negazione del diritto all’istruzione e alla libertà d’insegnamento, rifiutandosi attraverso l’esercizio del diritto di sciopero di farsi strumento di questa nuova (?) compagine di tecnocrati e politici cencellizzati che, con il “copia e incolla”, emulano in tutti i settori della vita pubblica quanto già fatto da altri in precedenza con l’aggravante della spocchia di coloro che innovano il nulla.  

Abbiamo evidenza che a viale Trastevere fossero da tempo decisi a blindare i Quiz INVALSI da eventuali flop attraverso norme più restrittive per l’esercizio del diritto di sciopero nel comparto scuola.

Così, con la colpevole acquiescenza e complicità dei sindacati della concertazione, i burocrati ministeriali, ed il baraccone Invalsi, hanno ottenuto, attraverso un accordo sindacale siglato nel dicembre 2020, un ulteriore giro di vite sul diritto di sciopero.

In particolare, tra le altre nefandezze, è stato allargato il c.d. “periodo di rarefazione” tra una iniziativa di sciopero e l’altra (aumentato a 12 giorni) e si è cercato di impedire, in prima battuta, l’indizione per più di una giornata di sciopero.

In tal modo si favorisce anche la possibilità da parte dei singoli dirigenti scolastici di scegliere le date per le prove INVALSI in un calendario esteso e flessibile che, scommettiamo, non coinciderà quasi mai con eventuali scioperi sul tema. 

Un vero imbroglio che i sindacati meno rappresentativi dei diritti dei lavoratori della scuola, hanno volutamente accettato perché il contrasto della deleteria propinazione dei quiz INVALSI non è mai stato un argomento di loro interesse.

Anzi si sono sempre distinti per favorirle con convinta condivisione.

Infine, come se tutto quanto già argomentato non bastasse, il ministro Bianchi ha annunciato, non sappiamo con quanta convinzione, che questo dilaniato anno scolastico, a differenza di quello precedente, dovrà concludersi con una tradizionale valutazione finale degli apprendimenti degli alunni con relative bocciature e debiti formativi.

Su quali basi normative e di buon senso, ci chiediamo?

Facciamo un po’ di formazione in servizio a favore del ministro Bianchi.

Il D.P.R. del 22 giugno 2009, n. 122, art. 14, comma 7, il relativo Regolamento recante il coordinamento delle norme vigenti per la valutazione degli alunni e la Circolare Ministeriale n° 20 del 4 marzo 2011 – prot. n. 1483, aventi per oggetto: la validità dell’anno scolastico per la valutazione degli alunni nella scuola secondaria di primo e secondo grado recitano espressamente che: “… ai fini della validità dell’anno scolastico, compreso quello relativo all’ultimo anno di corso, per procedere alla valutazione finale di ciascuno studente, è richiesta la frequenza di almeno tre quarti dell’orario annuale personalizzato”.

Naturalmente le norme vigenti perché mai abrogate, si riferiscono ad una frequenza in presenza.

Come se non fosse abbastanza chiaro, nelle Finalità della Circolare esplicativa si legge: “Le disposizioni contenute nel Regolamento per la valutazione degli alunni, che indicano la condizione la cui sussistenza è necessaria ai fini della validità dell’anno scolastico, pongono chiaramente l’accento sulla presenza degli studenti alle lezioni.  

La finalità delle stesse è, infatti, quella di incentivare gli studenti al massimo impegno di presenza a scuola, così da consentire agli insegnanti di disporre della maggior quantità possibile di elementi per la valutazione degli apprendimenti e del comportamento”.

E’ evidente, dunque, che nell’attuale annus horribilis per la scuola e per l’intera società, un’applicazione pedissequa delle norme citate, comporterebbe la “non validità dell’anno scolastico” per tutti gli alunni delle scuole di ogni ordine e grado. Si potrebbe eccepire che sempre l’articolo 14, comma 7, del Regolamento prevede delle deroghe. Tra quelle previste, naturalmente non potevano essere previste assenze indipendenti dalla volontà degli alunni e dei genitori, causate da una emergenza pandemica. Volendo comprendere queste nuove e fattuali motivazioni per una deroga, a chi spetta tale prerogativa?

Al Ministro? Assolutamente no.

Nel Regolamento si legge: “…Spetta…, al collegio dei docenti definire i criteri generali e le fattispecie che legittimano la deroga al limite minimo di presenza”. Pertanto, fu illegittima la decisione unilaterale della precedente ministra Azzolina che per l’anno scolastico 2019/2020 ammise tutti gli alunni all’anno successivo e agli esami di Stato purché “iscritti”, come sarà illegittima ogni nuova nota ministeriale che preveda valutazioni tradizionali, senza una specifica delibera dei collegi dei docenti.

Ipotizziamo con sufficiente certezza che, anche a fronte di delibere dei collegi che decidano per una valutazione ordinaria degli alunni con relative bocciature e debiti, dopo un anno di DAD e DID e di una sostanziale negazione del normale diritto all’apprendimento, si scatenerà un motivato Tsunami di ricorsi giurisdizionali da parte delle famiglie.

Gli esiti non sono prevedibili data la eterogeneità dei pronunciamenti dei nostri TAR anche sulla stessa materia ma ciò che può essere prefigurato è il fatto che tantissimi consigli di classe potrebbero essere chiamati, nei mesi estivi, a rivedere le loro decisioni a fronte di “sospensive” emesse dalla magistratura amministrativa.

Gli effetti sulla eventuale riformulazione delle classi, degli organici e del futuro anno scolastico che riteniamo presumibilmente non sarà anch’esso Covid-Free, sono terribilmente immaginabili.

Per queste ragioni, invitiamo tutte/i le/i docenti alla cautela e a non accettare illegittimi diktat ministeriali. 

Proponiamo una valutazione finale che tenga conto nella fase pandemica vissuta da docenti e discenti caratterizzata dalla effettiva limitazione del diritto allo studio e all’apprendimento in presenza che si è concretizzata nel corso di questo anno scolastico.

Noi COBAS Scuola Sardegna, intanto, abbiamo già formalmente indetto due intere giornate di SCIOPERO nazionale di tutti gli ordini di scuola e di tutto il personale Docente e Ata per il 5 e 6 maggio 2021, utilizzando i primi due giorni dei Quiz Invalsi nelle scuole elementari.

COBAS Scuola Sardegna


[1] Dannazione eterna. La traduzione è riportata solo in favore del nostro (?) Ministro e sottosegretario.

[2] L’UGL – Unione Generale del Lavoro. Sindacato di destra erede della CISNAL