La scuola è una pubblica amministrazione da riformare?

La scuola è una pubblica amministrazione da riformare?

di Stefano Stefanel

            La scuola è una pubblica amministrazione da riformare?  Da un punto di vista teorico la risposta dovrebbe essere positiva, visto che nel complesso, tra dipendenti di ruolo e dipendenti precari, la scuola ha una pianta organica di circa 1.200.000 dipendenti. La sua composizione mista la porta ad erogare servizi di tipo non commisurabile, come sono quelli dell’educazione, della formazione e dell’apprendimento, collegati a quelli di carattere economico e fiscale, più simili alle altre pubbliche amministrazioni dello stato. Permangono però nel mondo della scuola alcune evidenti anomalie come quella di 8.000 dirigenti scolastici inseriti in una fantasmagorica Area V della dirigenza pubblica, ben lontana da quelle Aree I e II che contengono i dirigenti di altri segmenti della pubblica amministrazione. Ci sono, poi, molte alte incongruenze, che spesso fanno ritenere che la scuola non sia una vera e propria pubblica amministrazione. E infatti i dirigenti scolastici posti in capo alla scuola subiscono i carichi negativi delle pubbliche amministrazioni (responsabilità patrimoniali, qualifica di datore di lavoro al fine della sicurezza, responsabilità nella privacy, nella ricostruzione delle carriere a fini pensionistici, ecc.), senza beneficiare di quelli positivi (stipendi, mobilità tra pubbliche amministrazioni, middle management a loro disposizione con chiari compiti e responsabilità, ecc.).

            La domanda la si può proporre anche rileggendo il Decreto Brunetta di 11 anni fa (d.lgs 150/2009). Quel Decreto fece tanto discutere e tanto litigare sindacati e Ministero della funzione pubblica, con un esito, che sarebbe divertente se non fosse allo stesso tempo avvilente, di sentenze quasi tutte a favore del Decreto Brunetta e allo stesso tempo il suo lento sgretolamento, prima attraverso la legge Madia (legge n° 124/2011) e poi attraverso una serie di accordi sindacali che di fatto hanno derogato  a varie leggi (soprattutto alla “famigerata” ma pur sempre viva legge 107/2015), nonostante proprio il Decreto Brunetta dicesse che non si può fare. La questione non è, però,  solo “storica” perché Renato Brunetta è tornato allo stesso ministero ed ha subito siglato un accordo quadro con i sindacati  per una riforma della pubblica amministrazione.

            Il banco di prova relativo a tutto il ragionamento sarà ancora una volta la scuola, che il Decreto Brunetta escluse da alcune sue parti fondamentali, con l’idea che dentro la scuola è meglio mettere il naso il meno possibile. Dodici anni dopo, però, saltano agli occhi alcune storture, come quella che vede le segreterie scolastiche obbligate a gestire le posizioni pensionistiche dei dipendenti, quasi che al contempo l’INPS non fosse già pagato per farlo, ma anche come quella che vede il dirigente scolastico come un datore di lavoro responsabile della sicurezza che però non ha alcun potere sulle inadempienze dell’altro datore di lavoro, cioè il proprietario dell’immobile (che di solito è un ente locale, anche se in Italia vi sono tanti privati che sono proprietari di scuole date in affitto agli enti locali), che, invece, può accampare problemi di tipo economico anche in relazione alla sicurezza (mentre il dirigente scolastico questo non può farlo). Ci sono cioè dei veri e propri ossimori sulla pubblica amministrazione scolastica che una vera legge di riforma dovrebbe tenere nella parte alta della sua attenzione e non liquidare con commi che rimandano a tempi o procedure che non arrivano mai.

            Il Decreto Brunetta del 2009 è stato reso sterile da alcune gravi sottovalutazioni dell’esistente:

  • l’eccessiva indeterminatezza del ciclo della performance all’interno di una pubblica amministrazione che premia il lavoro svolto e non il risultato ottenuto da quel lavoro: tutto questo stava dentro una definizione molto “culturale” del ciclo della performance, che ha continuato a premiare dirigenti pubblici che hanno ottenuto i risultati individuali prefissati pur dentro risultati generali catastrofici del proprio ufficio;
  • l’eliminazione della scuola dal ciclo della performance ha scritto, nero su bianco, che la scuola non è valutabile e quindi i successivi tentativi di farlo (Sistema Nazionale di Valutazione, “bonus” premiante il merito nella legge 107/2015, valutazione dei dirigenti scolastici in rapporto all’indennità di risultato) sono apparsi tentativi “disperati” di invertire una rotta che il Decreto Brunetta aveva già delineato (nella scuola non si entra perché è una pubblica amministrazione atipica);
  • qualunque legge o norma può essere modificata per via sindacale anche con accordi o intese, visto che il Decreto Brunetta nel richiamare la priorità della legge sui contratti non ha al contempo abrogato tutte le norme vigenti che dicono il contrario.

In tutto questo ci può essere un punto di equilibrio? Io penso di sì solamente se la così detta “riforma della pubblica amministrazione” prenderà una direzione chiara che preveda alcuni assi portanti:

  1. la semplificazione necessaria e doverosa deve diminuire il carico di lavoro e di carta (oggi PDF) e rendere oggettivamente più snello il lavoro, mentre finora tutte le semplificazioni proposte ed attuate hanno portato a più lavoro e più carta;
  2. la dematerializzazione deve eliminare tutta la carta (anche dagli archivi fisici) con la sola eccezione di quella con valenza storica e culturale e deve portare ad un rapporto con piattaforme di semplice gestione e non con il caricamento di PDF;
  3. i dirigenti devono essere valutati in rapporto ad obiettivi misurabili e chiari, senza alcuna deroga temporale e il primo obiettivo da valutare sono le modalità e la trasparenza con cui il dirigente valuta il personale affidatogli;
  4. dirigenti valutati possono contribuire a valutare il personale in base all’oggettiva prestazione fornita, nel campo scolastico:
    1. per i docenti: apprendimenti degli studenti, precisione nello svolgimento del lavoro, gestione dei rapporti con le famiglie, trasparenza nella valutazione, attività di formazione svolta;
    1. per gli ata puntualità e precisione nello svolgimento degli incarichi assegnati, competenza reale sulle attività da svolgere, rapporto con l’utenza;
  5. il ciclo della performance può essere una buona cosa da riprendere solo se è strutturato in maniera semplice e sintetica, dentro macro obiettivi;
  6. l’organizzazione del lavoro deve stare in capo al dirigente scolastico senza alcuna ambiguità, nell’ambito dei diritti dei lavoratori e di procedure trasparenti sancite da una valutazione periodica e puntuale.

A questo punto una volta definito il percorso di riforma il punto focale è quello di definire il piano di formazione dei dipendenti, che non può avere solo carattere “uditivo” (il dipendente ascolta quello che gli viene trasmesso), ma deve prevedere un feedback sulle competenze acquisite. Se poi la scuola è pubblica amministrazione allora bisognerà cominciare a comprendere che benefici, come quelli previsti dall’art. 59 del Contratto collettivo nazionale di lavoro del 29 novembre 2007 che prevede che i collaboratori scolastici, anche senza alcuna competenza, possano transitare nei ruoli di assistenti amministrativi paralizzando una buona parte delle segreterie scolastiche italiane, non possono più essere accettati. Qualunque attribuzione di posto e ruolo pubblico deve essere preceduto dall’accertamento delle competenze per poterlo occupare (docenti e ata) perché altrimenti si tratterà ancora una volta la scuola come una “bizzarra riserva”  e non come una pubblica amministrazione.