I cento linguaggi e la cultura dell’atelier

I cento linguaggi e la cultura dell’atelier nelle esperienze educative di Reggio Emilia

di Pietro Boccia

Il bambino ha cento lingue, cento mani, cento modi d pensare e cento linguaggi; la scuola gli separa, invece, la testa dal corpo, insegnandogli a “pensare senza mani”, a “fare senza testa”, ad ascoltare e a non parlare, a “capire senza allegrie”. Tutti “gli dicono, scrive MALAGUZZI in I cento linguaggi dei bambini, che il gioco e il lavoro, la realtà e la fantasia, la scienza e l’immaginazione, il cielo e la terra, la ragione e il sogno sono cose che non stanno insieme. Gli dicono, in sostanza che il cento non c’è”.

Il bambino risponde, al contrario, che “il cento c’è”. In questo passo si può rilevare che la creatività non divide né la fantasia dal processo cognitivo né le emozioni dalla razionalità ma che tutto il mondo percettivo dell’essere umano può alimentare rapporti di relazione intensi con il mondo circostante.

Il bambino deve, dunque, avere la possibilità di sognare cento mondi e di costruire cento diritti, perché egli non solo possiede immense potenzialità di apprendimento e di cambiamento, ma anche tante risorse affettive, relazionali, sensoriali, intellettive che vengono espresse in un’interazione continua con la realtà culturale e sociale in cui vive. Le une e gli altri sono soggetti di diritti e, a livello individuale e nella relazione con il gruppo, sono portatori di un’elevata sensibilità verso gli altri e l’ambiente. Il bambino è, poi, costruttore di conoscenze, che elabora attraverso l’esperienza e giocando. Egli, non possedendo, inoltre, ancora un pensiero codificato, esprime “cento linguaggi”: è un modo per dire che ha tantissime modalità di pensare, di comunicare, di comprendere le cose e di incontrare l’altro.

I “cento linguaggi” rappresentano metaforicamente le potenzialità che ognuno possiede nei processi cognitivi e nelle tante forme di creatività e di costruzione della conoscenza.

Loris MALAGUZZI ha affermato in L’educazione dei cento linguaggi dei bambini, in “Zerosei”, n. 4-5, dicembre 1983: “La parola s’irrobustisce e si amplia con i guadagni che vengono dagli altri linguaggi che tutti si costruiscono nell’esperienza (parliamo cioè di natura interferente dei linguaggi). Ma qui occorre prendere atto che anche i linguaggi della non parola hanno in realtà, dentro di sé, molte parole, sensazioni e pensieri, molti desideri e mezzi per conoscere, comunicare ed esprimersi. Sono anch’essi modi di essere, di agire, generatori di immagini e di lessici complessi, di metafore e simboli; organizzatori di logiche pratiche e formali, di promozione di stili personali e creativi”.

È compito dei nidi, dei servizi educativi, delle sezioni e della scuola dell’infanzia ottimizzare per gradi le potenzialità del bambino non solo per farlo esprimere creativamente, ma anche per renderlo capace, attraverso l’interazione dei “cento linguaggi”, di apprendere e di essere costruttore di conoscenza. Non c’è, in realtà, una modalità di comunicazione che non implichi tutte le altre. Le modalità della comunicazione (verbale, non verbale e paraverbale) devono viaggiare in un processo armonico, per facilitare negli altri interlocutori tanto relazioni efficaci, attraverso una pluralità di linguaggi, quanto apprendimenti.

Un interessante esperimento pensato e agito nelle esperienze educative di Reggilo Emilia è l’atelier. Questo è un’ideazione, che dà forma e identità al progetto educativo e alla filosofia dei cento linguaggi. L’esperimento dell’atelier, con la figura dell’atelierista (insegnante con competenze di natura artistica), è stato introdotto dal pedagogista Loris MALAGUZZI nei nidi, nei servizi educativi e nelle scuole d’infanzia di Reggio Emilia negli anni Sessanta del Novecento. L’atelierista è una figura che, operando in un luogo, costruito empaticamente per far esprimere tutti, accompagna i bambini nelle attività di scoperta, di ricerca e d’invenzione. Egli conduce, infatti, i bambini anche nel parco e propone, scegliendole, le tracce del lavoro dell’anno, come, ad esempio, acqua, aria, terra. L’atelierista assiste e guida i bambini a circoscrivere le parole in uno degli altri novantanove linguaggi.

Gli atelier sono spazi accoglienti e vivi, dove i bambini e non solo, operando, ricevono continue sollecitazioni e stimolazioni, che, attraverso la ricerca di offrire risposte e di fare scoperte, favoriscono l’apprendimento. L’atelier è, dunque, lo spazio dell’interazione empatica per far esprimere ogni bambino attraverso i cento linguaggi.

Le istituzioni educative devono avere, per MALAGUZZI, l’obiettivo di diventare comunità educative, fondate su un ambiente accogliente e creativo, dove i bambini, le famiglie, gli atelieristi e gli insegnanti possono condividere l’idea che il compito dell’insegnamento non è solo quello di produrre l’apprendimento, ma è anche quello di costruire le condizioni, affinché ognuno possa apprendere in uno spazio creativo e con un’elevata valenza etica. Egli, lottando e impegnandosi attivamente sul territorio di Reggio Emilia per diffondere i nidi, i servizi educativi e le scuole dell’infanzia, ha, perciò, introdotto la cultura dell’atelier, come insieme di valori, norme, concezioni e modalità comportamentali, adeguato ad assecondare le bambine e i bambini nel manipolare le cose, nel pasticciare, operando con le mani, e nel connettersi facilmente ai processi mentali. L’atelier è uno spazio in cui tutti i linguaggi hanno il diritto e la possibilità di essere accolti ed espressi.

Negli atelier non si producono apprendimenti ma si costruiscono le condizioni per apprendere. Essi, basati sul principio dell’attivismo pedagogico di DEWEY, sono spazi di sperimentazione innovativa e di relazione empatica, in cui i bambini sono visti come protagonisti attivi del loro processo di crescita cognitiva, sociale, emotiva ed etica.

Ogni atelier è funzionale a far esprimere i bambini con i cento linguaggi e a sviluppare in ognuno di loro forme di pensiero integrato e flessibile. Durante l’attività dell’atelier, l’educatore ha, come ruolo, il compito d’indirizzare e di facilitare la sperimentazione e la ricerca dei bambini, incoraggiandone, nel porre domande, le scoperte di apprendimento significativo.

“L’irruzione dell’atelier e dell’atelierista (insegnante con formazione artistica) perturbava – ha sostenuto Loris MALAGUZZI – volutamente il vecchio modello della scuola del bambino, già rimosso dalla compresenza di due insegnanti di sezione, dalla collegialità del lavoro, dalla partecipazione delle famiglie attraverso la gestione sociale.

La genesi dell’atelier coincideva, pertanto, con la genesi di un nuovo progetto educativo, sistemico, laico, moderno.

L’atelier (…) ha prodotto un’irruzione eversiva, una complicazione e una strumentazione in più, capaci di fornire ricchezze di possibilità combinatorie e

creative tra i linguaggi e le intelligenze non verbali dei bambini, difendendoci non solo dalle logorree (…) ma da quella pseudocultura della testa-container che (…) è il modello che dà al tempo stesso la maggiore impressione di progresso culturale e la maggior depressione dal punto di vista dell’aumento effettivo della conoscenza”.

L’atelier è il luogo della creatività, dove i bambini hanno la possibilità di sporcarsi le mani con la creta, di colorarsi il viso con i pennelli, di conoscere e sperimentare gli elementi naturali (foglie, fiori ed ecosistemi), di capire come costruire un orologio solare e di apprendere praticamente che cosa sia il significato di riciclaggio dei materiali. In esso chi guida i bambini a fare scoperte assume un ruolo rilevante, perché, ricreando ambienti di apprendimento e sperimentando attraverso la ricerca, induce quotidianamente a osservare, a fare esperienza, a riflettere, a documentare e a relazionarsi nella comunicazione.

La cultura dell’atelier è stata determinante anche nel fare acquisire fama e identità al progetto educativo delle istituzioni scolastiche di Reggio Emilia nel mondo.

Oggi, infatti, il Centro Internazionale “Loris MALAGUZZI”, in maniera ricorrente, propone, collegandoli alle mostre, in Italia e a livello internazionale, atelier aperti e itineranti, per diffondere il messaggio a “pensare con le mani”.