Un recovery plan per recuperare le ore perse in presenza

da Il Sole 24 Ore

di Daniele Checchi

La proposta del premier Draghi di estendere il periodo di insegnamento per provare ad arginare i danni inflitti agli studenti dalle ripetute sospensioni delle lezioni frontali ha suscitato reazioni vivaci nel mondo degli insegnanti, provati come i loro studenti dalla continua variazione delle modalità d’insegnamento. Prima di schierarci a favore o contro tale proposta, proviamo a inquadrare questo dibattito in un confronto con la situazione di altri paesi europei. In periodi normali gli studenti italiani ricevono un ammontare annuo di ore di lezione superiore alla media europea: 891 contro 767 nella scuola primaria, 990 contro 886 nella scuola secondaria di primo grado (dati 2019 tratti da OECD Education at a glance). Questo monte ore viene tuttavia ripartito su una platea mediamente più ampia di docenti in rapporto agli studenti, perché l’Italia ha un rapporto di alunni per docente tra i più bassi a livello europeo. Ne consegue quindi che l’orario contrattuale di insegnamento frontale annuo sia tendenzialmente nel nostro paese più basso dei principali paesi europei, in particolare nelle scuola secondaria: 766 ore nella scuola primaria, 626 nella scuola secondaria di primo grado e 626 nella scuola secondaria di secondo grado. La media europea è rispettivamente 738, 663 e 645; a titolo di confronto gli insegnanti francesi insegnano 900, 684 e 684 ore e quelli tedeschi 698, 651 e 622. Vale sempre la pena di ricordare che ad un minor orario di insegnamento si accompagnano altresì livelli retributivi inferiori alla media, tali per cui la retribuzione oraria della didattica frontale colloca l’Italia in una posizione intermedia: 49, 65 e 67 sono i dollari US (a parità di potere d’acquisto) pagati orariamente rispettivamente ad un insegnante elementare, della scuola media o delle superiori. I colleghi tedeschi ricevono rispettivamente 111, 129 e 143, quelli francesi 42, 58 e 58 e quelli spagnoli 56, 81 e 81. Ovviamente la didattica frontale non esaurisce il carico di lavoro di un insegnante, ma in assenza di migliori indicatori questa è la misura migliore per un confronto internazionale. Questi numeri suggeriscono quindi che un ampliamento straordinario e temporaneo dell’orario didattico non sia una proposta irricevibile, specialmente in un periodo eccezionale quale quello della pandemia, dove i danni si sono prodotti sulle generazioni oggi a scuola. Anche se non si dispone di informazioni quantitative sull’abbassamento delle competenze acquisite dovuto alla pandemia, vi è evidenza accumulata in periodi normali che la lontananza da scuola (per esempio durante le vacanze estive) produce riduzione dei livelli di apprendimento, in particolare nei figli di genitori non istruiti. La pandemia e la conseguente didattica a distanza per ormai un anno è paragonabile ad una riduzione della didattica erogata, nell’ordine del 50-70%, a seconda dell’ordine di scuola e della regione. Gli studenti italiani hanno perso l’equivalente di due terzi di un anno di scuola, e questo è un danno permanente, che si trascineranno negli anni di scuola successivi se non recuperato. Gli insegnanti italiani si trovano di fronte ad un bivio: insegnare nei prossimi anni ad una platea di studenti “ripetenti” (in quanto non hanno potuto assimilare i contenuti didattici corrispondenti ai curricula degli anni di scuola a cui erano iscritti), con la conseguente frustrazione reciproca; oppure intraprendere un recovery plan degli apprendimenti, un piano di recupero nazionale teso al minimizzare i danni sulle competenze che siano fondative dei saperi successivi. Questo richiederà l’esercizio effettivo di una autonomia didattica nella scelta dei contenuti da recuperare, preso atto che tutto l’aspetto nozionistica non sia recuperabile. Ma può rappresentare una sfida nel recupero di un ruolo di protagonismo sociale, che rimane sotterraneo da diversi anni. Nei fatti si tratta di un intervento per migliorare le proprie condizioni di lavoro (studenti meno ignoranti permettono una didattica migliore) contribuendo nel contempo a ridurre il danno che la pandemia ha prodotto.