Etiopia 2001

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Etiopia 2001

di Maurizio Tiriticco

Venerdì, 3 agosto 2001, ore 0,30, Aeroporto di Fiumicino: il gruppo dei nove coraggiosi parte alla volta di Addis Abeba. Due cene: gnocchi al self service e lasagne in aereo! Perché il gruppo dei coraggiosi è e sarà sempre affamato. Scalo al Cairo. Si dorme sbragati ovunque e ci si sveglia alle 7 del sabato; un bicchiere di succo di mele. Sopra un gran sole e sotto nuvole. Si vola e si arriva ad Addis Abeba alle ore 9. La città è la capitale dell’Etiopia ed è anche la sua città più grande. La sua storia comincia nel 1878, quando il Re di Shewa, Menelik II, volle spostarsi a sud della vecchia capitale, Ankober. Operazioni di arrivo: io cambio 100mila lire in moneta etiopica. MI sembra di essere Paperon dei Paperoni Poi visita di cortesia e… di sicurezza all’ambasciata italiana. Poi si mangia: patatine e enjera (pane rotondo e spugnoso) con salsa. E si beve: birra e buna (una bevanda vegetale). Gran serata all’Ame Guset House: agnello piccante con ngera e cicoria: tutto con le mani.

Lasciamo poi l’hotel “Lido” e cominciamo a muoverci verso il nord, ovviamente tutti trasportati in più auto con autista presso. Paesaggi nebbiosi e tanti tucul. La prima sosta? Sosta pipì! E soste simili ci accompagneranno per tutto il viaggio. Molto più importanti di quelle culturali! Man mano che ci si allontana dalla capitale, le strade diventano sempre più meno agevoli. Giungiamo al Monastero di Debra Libanos, 13° secolo, ricostruito dopo il bombardamento dell’aviazione fascista (la campagna d’Etiopia – o meglio l’occupazione dell’Etiopia da parte dell’Italia fascista – si svolse dal 3 ottobre 1935 al 5 maggio 1936). E’ un edificio a forma di cubo, sormontato da una cupola Venne fondato nel XIII secolo  dal santo Tecckè Haimanot, capo abate del monastero stesso con la posizione di “Ichege”, la seconda nella gerarchia dopo quella di “Abuna” nel contesto della chiesa ortodossa etiope. Finalmente giungiamo a Djenné: da non confondere con un’altraDjenné, più famosa, del Mali.Ottima cena con enjerae pop corn. Al mattino, prima della partenza… cerimonia del caffè! Altro che i nostri espressi, una bevuta e via! Ci venne servito come fosse chissaccheccosa! Ed infatti era proprio un chissaccheccosa di buono! 

La domenica in marcia verso Bar Dar … ma, a un certo punto una vista mozzafiato: In un’ampia vallata un fiume: il Nilo Azzurro, l’emissario a Sud del Lago Tana, che, comunque, tanto azzurro non era! E poi a piedi verso le cascate, quelle famose che abbiamo studiato sui banchi di scuola! Uno spettacolo stupendo, concorrente con lo spettacolo delle cascate del Niagara! La linea delle cascate si estende per centinaia di metri ed il rumore è veramente assordante.

Poi si pernotta e il giorno seguente giungiamo sulle rive del lago Tana. Una tavola azzurra e tanti pellicani. Sulle rive una vegetazione lussureggiante e dai fiori multicolori. Nonché papiri. Il Tana – superficie di circa 3.600 km2 – è navigabile. Prendiamo un battello “statale” e facciamo sosta all’isola di Dek. Sembra impossibile! In un isolotto così fuori dal mondo esiste un monastero! E’ dedicato a Narga Selassiè E’ costruito con pietre e mattoni ed è circondato da un corridoio con archi. Fu costruita nel 1746 su ordine della regina Mentwab, ultima imperatrice di Gondar, che cercava un luogo solitario per pregare e meditare. All’interno le pareti sono riccamente decorate con affreschi molto belli e ben preservati. I soggetti sono scene della vita di Gesù e dei Santi. Sono dipinti di grande ingenuità, ricchi di tutti colori. Il monaco, un nero alto e carismatico, con un turbante e vesti fino ai piedi tutti di color bianco. Raggiungiamo poi una penisola, dove ha sede il monastero di Ura Kidane Meret, che contiene preziosi dipinti in gran numero, tutti di carattere religioso. Ricordo una stupenda “Dormitio Virginis”, una “Resurrezione di Lazzaro”. In un angolo è conservata una stupenda collezione di corone regali. Figurano anche libri sacri e dipinti preziosi. Sulle rive del lago vedo tra le altre barche una tankua, una barca costruita con foglie di papiro

Il martedì 7 agosto marciamo – ovviamente in auto – verso Gondar. Incontriamo un castello, cosiddetto di Guzzarà; e poi ancora una chiesa, Kiddus Michael. In serata giungiamo alla periferia di Gondar ed alloggiamo all’Hotel Fogeraho: si tratta di bungalow tukul, ma solo di nome: di fatto, sono accoglienti appartamentini circolari.

Mercoledì 8 agosto: raggiungiamo il Castello di Mentawab. Molto ben conservato. Mura di cinta con merli, torrioni ai quattro lati. Accanto a una scritta in etiope una scritta in inglese: “Birhan seghed kuregna iyasu and itege mintiwar castel, 1730-1755”. Neidintorni, rovine di altri castelli. E poi ancora i “bagni di Re Fasilladas”. Sono alimentati da un torrente distante ben 500 km. Nel nostro camminare ci incontriamo spesso con gente del posto. E notiamo che tutti, anche i bambini, tengono nelle mani un bastone, chiamato dula. Cammina cammina, giungiamo al “Felasha Village”, un antico villaggio ebraico.

Il web ci dice che fin dal XV secolo esistono testimonianze storiche e letterarie che parlano di “ebrei neri”. Secondo alcuni storici, essi deriverebbero dalla fusione tra le popolazioni autoctone africane e gli ebrei fuggiti dal proprio paese in Egitto ai tempi della distruzione di Gerusalemme nel 587 a.C. o in successive ondate della diaspora ebraica. Dal punto di vista religioso, sarebbero i frutti dell’unione tra Salomone e la Regina di Saba.

Giovedì 9 agosto; in viaggio per Axum.Pernottamento in hotel. Il salone delle colazioni è riccamente dipinto alle pareti con affreschi illustrati con scritte in inglese: while king fzana travelling by chariot – Makeda travelling by sea – Makeda meets Solomon, and presents him her countiers produce: diamond and gold.

Ed eccoci ad Axum: il grande parco delle stele, ovvero degli obelischi. Ce ne sono tanti, tra cuitroneggia la stele del Re Ezana. Per la cronaca, è bene ricordare che l’obelisco che noi Italiani portammo a Roma ad abbellire il Parco Archeologico dopo l’occupazione dell’Etiopia, venne restituito nel 2008 e rieretto ad Axum il 4 giugno alla presenza di migliaia di persone, delle massime autorità etiopi e della delegazione italiana guidata dal sottosegretario agli Esteri Alfredo Mantica. Tra gli obelischi ce n’era uno a terra spezzato in più parti. Si tratta della Grande Stele, del IV secolo d.C, mai eretta. Ad Axum visitiamo anche il cimitero. Bellissima la tomba “della finta porta”: una porta scolpita. E non manca la chiesa nuova di Hailé Selassié: una grande cupola, sormontata da una croce dorata. E non manca la Cattedrale, dedicata a Santa Maryam Zion. Al suo interno un museo che conserva un tesoro, costituito dalle corone dei re d’Etiopia e una serie di oggetti in oro e argento, tra cui calici, croci processionali e gioielli. Ma il reperto più importante è l’Arca Santa dell’Alleanza, una teca che contiene le Tavole di Mosè. Non la vede nessuno! Neanche il sacerdote guardiano! Indubbiamente Axum è un luogo particolarissimo, la cui sacralità è avvertita anche da un laico come me. Ci allontaniamo dal centro della città e poco distante ci imbattiamo in un ampio bacino idrico, detto, ovviamente, della Regina di Saba. E più in là i resti del palazzo del Re Kaleb (VI sec. d.C.).

Sabato 11 agosto, verso Adua! Sulla strada, a Yeah, il Tempio del Sole. Si tratta di una torre costruita in stile sabeiano e datata, grazie a comparazione con le altre antiche strutture dell’Arabia meridionale, tra l’VIII e il V secolo a.C. Nonostante non sia mai stata effettuata una datazione al carbonio 14, i test effettuati su alcuni campioni raccolti hanno permesso di datare la Grande Torre, e questa datazione è supportata dalle locali iscrizioni. La costruzione e senza malta! Ma poi, ma poi… un terribile temporale si abbatte su di noi: acqua a catinelle! Altro che Tempio del Sole! La vendetta di Giove Pluvio! E poi verso Debra Damo, nonostante una strada interrotta! Ma a noi chi ci ferma? Il monastero risale al VI° secolo ed è molto in alto. Ma Abune Aregawi, cacciato in esilio da Roma, trovò rifugio in Etiopia, venne tirato sul monte da un serpente generoso. Pare che la fondazione del monastero gli fosse stata commissionata dall’imperatore Gebre Mesqel di Axum. Ripartiamo. Breve sosta in un bar (?) sulla strada. Una fame! Mi faccio una facta, piatto tipico con verdure e non so che, e me la difendo dagli artigli dei miei amici. Si riprende la marcia e giungiamo ad Adigrat.

Domenica 12 agosto – le chiese rupestri: San Pietro e San Paolo. E poi fino a un’altra chiesa rupestre, dedicata a San Michele. Ed il richiamo per i credenti? La campana? Un vecchio bidone appeso ad un palo tra due alberi; ed il battacchio? I resti di una bomba. All’interno affreschi multicolori: Madonna col Bambino, Gesù deposto ed altre stupende immagini. Il soffitto? Splendidi bassorilievi geometrici. Altre chiesette; altre arche sante dipinte. Sulla via del viaggio verso Macallè uno splendido imponente sicomoro.

Lunedì 13 agosto, partenza da Macallè, ma viaggio faticoso: strada dissestata dalle piogge, autotreni bloccati… ma infine arrivo alla meta da me tanto agognata, Lalibela!!! Pernottamento all’Hotel Roma! Il giorno dopo ha inizio la visita. Bet Medhane Alem, ovvero Salvatore del Mondo. Di qui venne derubata nel 1997 la Croce di Lalibela, recuperata nel ’99, ma a suon di dollari: 25000! La costruzione del complesso sacro delle chiese rupestri fu iniziata a Lalibela alla fine del XII secolo dal re Gadla che, dopo la presa di Gerusalemme da parte dei musulmani con Saladino, decise di fondare una «seconda Gerusalemme» nella sua capitale, Roha, per dare ai cristiani una meta di pellegrinaggio alternativa rispetto alla vecchia Gerusalemme. Una storia davvero bella! Una Gerusalemme bis! E poi Bet Maryam. E’ una chiesa monolitica scavata nella roccia: fa parte della Chiesa ortodossa etiope di Tewahedo a Lalibela. Fa parte del patrimonio mondiale dell’Unesco. Vi figurano molte finestre. Noto che in una è scolpita la svastica: la croce uncinata, ovvero la croce rotante. Che ruota da sinistra destra, in senso orario, la rotazione positiva. Non è la croce rotante nazista, che ruota all’incontrario: la rotazione negativa, segno della magia nera. Soffitti e pareti di Bet Maryam sono ricchi di affreschi, soprattutto geometrici: abbondano cerchi e stelle; e un San Giorgio che uccide il drago. Monaci a iosa: neri altissimi con turbante e tuniche bianche e un bastone di circa due metri: ieraticissimi, anche nella postura e nel camminare.

Ma la cosa grandiosa di Lalibela ed unica al mondo è la Chiesa Bet Giyorgis E’ un edificio monolitico ipogeo di stile axumita a forma di croce scavato totalmente verticalmente nella roccia. nella roccia. Un edificio rovesciato! E’ una “cosa” unica al mondo. Secondo la leggenda, al Re Lalibela apparvero degli angeli che gli comandarono di far scavare ben undici chiese nella friabile roccia di quelle montagne. Il nostro gruppo vi scende! Una guida etiope – un sacerdote? – totalmente in tunica e copricapo bianco, ci accompagna, ci spiega ed alla fine… porge il palmo della mano destra con un sorriso largo così, di cui si vedono solo i bianchissimi denti. Non tanto per un saluto, bensì in attesa di un lauto birr, la mancia etiopica.

15 agosto, in viaggio per Dessié. Una breve sosta al Lago Hayk. Scorgiamo una penisola su cui sorge un monastero del XIII secolo. Attorno a noi una vegetazione rigogliosissima: piante di euforbia alte così! Ma il nostro viaggio ha un’ultima tappa nell’estremo nord del Paese: Adua! Nella hall dell’hotel ci si presenta… un grande manifesto. Il disegno, guerrieri etiopi che brandisco lance in sella a cavalli in galoppo. La scritta: Adwa – an African Victory – Centenary, 2 marzo, 1996, a cura dell’Ethiopian Tourism Commission. Ma il nostro viaggio è ormai alla fine. Dall’estremo nord si ritorna ad Addis Abeba.

C’è il tempo per una visita al Museo Etnografico, situato nel Geneté Le’Ul (alias giardino principesco) del Negus Hailé Selassié, quello che noi Italiani detronizzammo con la “campagna d’Etiopia”: si trattò di una vera e propria invasione di un Paese straniero. Fu voluta dal Governo fascista con una guerra di aggressione, assolutamente immotivata, che si svolse tra il 3 ottobre 1935 e il 5 maggio 1936. Non dico nulla su questa vicenda che disonorò noi Italiani agli occhi del mondo. E non fu un caso che la Società delle Nazioni (una sorta di Onu di quegli anni, istituita in seguito alla conclusione della prima guerra mondiale)l’11 ottobre del 1935 deliberò le sanzioni contro l’Italia, colpevole di avere aggredito l’Etiopia senza plausibili ragioni. Così per il nostro Paese niente più armi, niente crediti, niente materie prime, niente più importazioni di merci italiane. Il regime fascista dichiarò allora la cosiddetta “autarchia”: ovvero, avremmo dovuto fare tutto da soli. Parola d’ordine: oro e ferro alla patria! Ebbe allora inizio la raccolta di oggetti preziosi e di metalli utili alla causa bellica. Il regime diede il via alla campagna “Oro alla Patria” e fu proclamata la “Giornata della fede”, giorno in cui italiani e italiane diedero vita a una grandemobilitazione, per donare le proprie fedi nuziali e sostenere i costi della guerra. La cerimonia principale si svolse all’Altare della Patria a Roma. La prima a donare la propria fede unitamente a quella del marito fu la Regina Elena del Montenegro, moglie del Re Vittorio Emanuele III. A lei seguirono Rachele Mussolini insieme con numerose donne di Roma. Ricordo che anche mia madre donò la sua fede: ed un cambio ricevette una fede di ferro. Comunque, su quella guerra di aggressione, rinvio al bel libro di Angelo Del Boca, “La guerra di Etiopia, l’ultima impresa del colonialismo”.

Il tempo vola, come si suol dire! Ed anche noi volammo, il 17 agosto! Ritorno a Roma! In aereo tutti silenziosi e intenti soltanto a riordinare i ricordi e gli appunti di viaggio! E chi l’avrebbe mai detto che oggi, 19 marzo 2021 su quei ricordi, su quegli appunti, su quelle poche cose riportate, tre statuette, Menelik, la Regina Taitù e il Leone di Giuda, avrei scritto questi ricordi? Grazie al covid, che ci costringe tutti a casa.