Quattro anni per riprendersi quello che il virus ha tolto alla scuola

da la Repubblica

Ilaria Venturi e Corrado Zunino

I ragazzi lasciati indietro, parafrasando il premier Draghi, potranno tornare al passo. Il tempo questo governo, ma anche quello che lo ha preceduto e che ha fatto il grosso del lavoro sul Recovery Plan, lo daranno agli studenti italiani. Il Piano nazionale di ripartenza e resilienza (Pnrr), virato sull’istruzione e fatto proprio dal ministro in carica, sta costruendo un corridoio lungo quattro anni per seguire e portare a maturazione “almeno un milione di studenti” bisognosi di recupero didattico, culturale, di senso.

Cari lettori, e care lettrici di “Dietro la lavagna”, bentornati. Nella nostra newsletter, rivolta ai docenti che vogliono impegnarsi per non lasciare indietro nessuno, questa settimana apriamo un largo capitolo sul recupero post-pandemico: il ponte comunitario giugno-settembre con le scuole aperte, il rientro in classe, tutti in classe, il Primo settembre, e quindi vi srotoliamo il grande piano che è nella testa del ministro Patrizio Bianchi e che piace anche negli uffici dell’Unione europea.

Nella restante news, pubblichiamo una lettera del presidente dell’Indire, il braccio scientifico del ministero dell’Istruzione, a proposito della centralità dei buoni edifici scolastici per una buona didattica. Vi presentiamo, quindi, due libri e vi raccontiamo di una ricerca che rivela come sono stati scomposti i nostri ragazzi nel corso di un anno di Didattica a distanza.

Gentili amici, scrivete a questa mail le vostre idee e raccontateci storie di scuola: dietrolalavagna@repubblica.it. Ne daremo conto.

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Ponte estivo, rientro il Primo settembre
e un milione di studenti da seguire

di Corrado Zunino

Le fatiche di professor Bianchi, ministro dell’Istruzione in tempi di pandemia, sono molteplici. Le incertezze di dati, innanzitutto, minano le previsioni per il rientro dopo Pasqua. Ma ci sono anche idee lunghe, quelle che Patrizio Bianchi chiama “visioni”. E la prima che intende realizzare è una “stagione di recuperi” per gli studenti italiani, da innestare nell’architettura della “scuola per tutti, soprattutto per chi sta sotto” che guiderà il suo ministero sotto il Governo Draghi. Un milione di studenti bisognosi di recuperi è stato individuato oggi, ma il processo aggiornerà continuamente i “soggetti nel mirino” (così li definiscono le carte inviate il 12 gennaio all’Unione europea dal Governo Conte). Trovate un primo pezzo qui.

Saranno le scuole a scegliere gli alunni bisognosi dei recuperi. Per loro si prevedono raddoppi di docenti in Italiano, Matematica e Inglese, per un minimo di due anni e un arco possibile di quattro stagioni. Di questa corte di alunni rimasti indietro, centoventimila sono a rischio abbandono. I docenti che vorranno assumere l’incarico avranno una retribuzione aggiuntiva pari a 6 ore settimanali.

E questo è il progetto largo, portato in Europa per dare un luogo e un progetto ai molti soldi del Recovery Fund (13,4 miliardi per l’istruzione, ne abbiamo diffusamente parlato – riferendoci al precedente governo –, in questa newsletter). Bianchi ha fatto proprie quelle carte.

Poi ci sono le scelte a medio periodo. E se da una parte si è gradualmente spenta l’idea primigenia di far lavorare docenti e discenti fino al 30 giugno, sta invece prendendo corpo sia il progetto “scuole aperte” da giugno a settembre su base facoltativa (e organizzativa) delle singole scuole, sia il rientro in classe per tutti dal primo settembre 2021, come abbiamo raccontato qui.

Ecco, il progetto macro e quello micro trovano nuove pagine ogni giorno, anche se ci sono ancora margini di aleatorietà. Le intenzioni dei presidi saranno decisive. Uffici scolastici regionali importanti hanno già dichiarato di essere pronti a tenere, nell’estate che entra, i portoni spalancati per attività di laboratorio, ricreative, anche di studio. E per ridare ai ragazzi spazi di socialità. Il direttore dell’Usr del Lazio, Rocco Pinneri, spiega: “È stato già fatto anche nella nostra regione: le scuole non chiudono mai, interrompono le attività didattiche, che quest’anno da noi termineranno l’8 giugno. L’edificio, però, rimane aperto e si organizzeranno attività estive, di recupero”. Il direttore scolastico della Liguria, Ettore Acerra, dice che “l’apertura estiva delle scuole è cosa su cui lavoriamo ed è fattibile”.

La Flc Cgil ha aperto alla proposta: “L’idea del ministro dell’Istruzione di promuovere laboratori estivi non obbligatori nelle scuole di ogni ordine e grado è un’iniziativa di sicuro interesse. La proposta prevede che l’eventuale attivazione dei laboratori sarà deliberata dalle scuole, la partecipazione dei docenti sarà su base volontaria con risorse aggiuntive, il coinvolgimento delle associazioni di volontariato avverrà all’interno della progettualità e degli obiettivi educativi definiti dalle scuole. Sono convincenti le finalità: consentire alle istituzioni scolastiche di contrastare subito le differenze ampliate nel periodo dell’emergenza sanitaria, non aggravare il fenomeno della dispersione scolastica, recuperare la dimensione fisica e corporea dello stare insieme offrendo nuovi stimoli artistici e culturali”.

Sono favorevoli, con varie gradazioni, Cisl, Uil, Gilda. Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione nazionale presidi, chiede fondi adeguati: “Le scuole sono sempre aperte in estate, se si vuole utilizzarle per laboratori ed altre attività si può fare, ma bisogna reperire le risorse. Tutto questo non è a costo zero”.

Il ministro Bianchi ha pronti 250 milioni di euro.

Scuole aperte in luglio?
A Bologna lo facciamo dal 2012

di Ilaria Venturi

Scuole aperte in estate. Bologna sperimenta il progetto da nove anni. Partito nel 2012 con tre scuole medie, si è arrivati al 2020 a diciassette istituti aderenti, anche superiori. Quest’anno hanno alzato la mano per partecipare almeno venti scuole. Il padre fondatore dell’iniziativa è Paolo Marcheselli, ex provveditore. Ora rilancia: “Un modello che proponiamo a livello nazionale vista la necessità di restituire ai ragazzi esperienze educative e di socialità che la pandemia ha sottratto loro”.

Come è nato il progetto?
“E’ nato dalla constatazione che il lungo periodo estivo portava ad avere ragazzi in città soli, chiusi nelle stanze davanti a un cellulare o in strada. Isolati, anche se connessi. Non c’era una proposta educativa forte per la fascia degli adolescenti. Così abbiamo pensato di proporre, in accordo con l’allora assessora Marilena Pillati e oggi con l’attuale, Susanna Zaccaria, alcune settimane in cui potessero frequentare, nelle loro scuole, attività ricreative e socio-educative. L’obiettivo era cercare di ripristinare, con la mediazione di educatori, le relazioni fuori dal web. E far così tornare i ragazzi alla vita reale e non virtuale. Allora il problema più sentito era quello. Lo è rimasto, ma in questo periodo si è aggiunto l’isolamento imposto dalla pandemia di cui hanno sofferto tanto”.

In cosa consiste l’apertura estiva delle scuole?
“Si tratta di due settimane a giugno e tre o quattro a luglio. Un progetto partito con le medie, condiviso dal Comune e dalle singole scuole aderenti, che offre ai ragazzi attività ricreative, sportive, culturali, laboratori di arte e teatro, gite, visite ai musei. Non è prevista un’attività didattica di recupero, ma solo momenti di svago collettivo per consentire ai ragazzi di socializzare senza l’ansia di dover studiare. Quando andavo a visitarli, vedevo molte attività pratiche, come quella dell’artigiano che insegnava ai ragazzini a riparare una bicicletta. Negli ultimi anni si è aggiunta la scuola superiore e il modello per loro è cambiato. L’apertura è nelle ultime due settimane di agosto e le prime due di settembre. L’attività è rivolta in particolare ai ragazzi del biennio, quelli che incontrano maggiori difficoltà di inserimento. Alla mattina si fanno attività in aula di riallineamento e potenziamento in Matematica, Inglese e Italiano. Poi il pranzo e attività ricreative nel pomeriggio”.

Gli insegnanti partecipano?
“Gli insegnanti e gli amministrativi vengono coinvolti su base volontaria, con incentivi. In più il Comune mette a disposizione di ogni scuola un proprio educatore a tempo pieno. La proposta si affianca ad altre del Terzo settore sull’estate per i ragazzi, ma è qualcosa di più e di diverso da un campo estivo: è la scuola a progettare”.

Quali sono i costi?
“Le famiglie pagano dai 30 ai 40 euro a settimana, pasti inclusi o portati da casa. Ci sono quote di esenzione per chi è in difficoltà. Il Comune e le Fondazioni bancarie sostengono con contributi il progetto in modo da ridurre drasticamente i costi per le famiglie”.

“Intervenire sugli edifici scolastici
non basta renderli efficienti”

diGiovanni Biondi*

“Tutti sappiamo che lo spazio è un insegnante molto efficace in grado di cambiare la fisionomia di un’intera scuola attraverso il disegno degli interni, degli arredi e integrando anche le tecnologie nella progettazione complessiva di una nuova concezione della scuola. Una trasformazione che può dare visibilità e concretezza ad un nuovo modello pedagogico di scuola. Per progettare diversamente spazi ed arredi occorre però avere una concreta ed articolata idea del cambiamento dell’organizzazione del modello scolastico. Una progettazione innovativa degli spazi è in grado di cambiare la didattica molto più di tanti testi o corsi di formazione.

Se però, come sembra nel Recovery Plan, l’intervento trainante degli interventi sarà l’efficientamento energetico rischiamo di perdere un’occasione che difficilmente si ripresenterà. Certamente l’attenzione alla sostenibilità energetica è oggi fondamentale per ogni intervento edilizio e quindi anche per gli edifici scolastici, ma l’idea trainante deve essere l’innovazione del modello scolastico e quello che una vision sulla scuola di domani richiede. Intervenire solo sull’involucro significa lasciare inalterato uno schema architettonico ripetitivo fatto di corridoi e aule, funzionale alla lezione frontale e alla scuola che ci è familiare da decenni.

Naturalmente intervenire su edifici esistenti o costruirne di nuovi comporta soluzioni diverse e porta anche a risultati molto differenti, ma lavorare anche solo sugli arredi, le luci e i colori permette di realizzare ambienti che cambiano la fisionomia dell’intera struttura. E’ necessario, però, che la progettazione sia guidata dal cambiamento del modello scolastico, dalle necessità delle nuove metodologie didattiche, dalla riorganizzazione del tempo scuola e dalla necessità di inserire nel percorso di apprendimento le tecnologie che ormai vanno integrate nella pratica educativa e non relegate in luoghi speciali come i laboratori o, peggio, usate come soprammobili.

Per prima cosa dobbiamo eliminare i corridoi e pensare che anche l’ingresso a scuola sia un ambiente di accoglienza, arredato e funzionale, ma soprattutto che gli ambienti scolastici siano costruiti e arredati in funzione delle diverse attività, in modo flessibile e idoneo a essere trasformati. Nella scuola primaria ormai da tempo queste idee si sono fatte strada e la scuola come laboratorio diffuso, senza porte sbarrate, che utilizza tutti gli spazi per attività diverse di esplorazione, ricerca e lavoro di gruppo non rappresenta una novità così come gli atelier di Reggio Children sono un punto di riferimento consolidato.

Più complessi sono invece gli interventi sugli edifici che ospitano le scuole secondarie. Intervenire su edifici esistenti presenta numerose difficoltà non sempre superabili con gli arredi. L’obiettivo è di scomporre gli ambienti: creare piccole scuole da grandi scuole. Progettare per dipartimenti, dividere edifici pensati in modo uniforme in unità pensate per le diverse attività pluridisciplinari. In questo modo il Dipartimento scientifico, ad esempio, potrà avere aree laboratoriali, una agorà, spazi di lavoro di gruppo pensati secondo uno schema comune con gli altri Dipartimenti ma con soluzioni, tecnologie e arredi diversi. Il modello 1+4 elaborato da Indire può costituire un riferimento utile così come quello che la Banca del Consiglio d’Europa (Ceb) ha realizzato in vari Paesi europei.

E’ fondamentale ribadire come l’intervento trainante debba essere quello dell’innovazione del modello scolastico, del progetto educativo che dovrà poi essere realizzato con le soluzioni più attente alla sostenibilità e al risparmio energetico, ma non viceversa. Purtroppo non è quello che emerge dall’attuale testo del Recovery Plan”.

* L’autore è presidente dell’Indire (ministero dell’Istruzione)

STORIE DI SCUOLA

Didattica a distanza: aule chiuse,
però aprono le parrocchie

di Ilaria Venturi

Ragazzi e bambini senza computer e connessioni per seguire le lezioni a distanza? Le parrocchie di Bologna aprono loro le porte mettendo a disposizione i locali e i device. Dad solidale e di prossimità. Nel rispetto delle regole anti Covid, con gli scout e la protezione civile a seguire i bambini e i ragazzi della primaria e delle medie, quelli più in difficoltà e che non possono restare, diversamente dai più grandi, soli in casa. O che non hanno case adeguate, condizioni famigliari in grado di sostenerli. La chiesa guidata dal cardinale Matteo Zuppi va in aiuto alla scuola di nuovo chiusa da quando Bologna e (poi) l’Emilia-Romagna sono zona rossa. E se le aule chiudono, aprono le sale parrocchiali. Leggi l’articolo

STORIE DI SCUOLA

Dagli universitari un aiuto ai ragazzi
delle medie: è il progetto Compiti@Casa

Gli studenti universitari si collegano online con i compagni più piccoli delle medie per aiutarli a fare i compiti e a chiarire i dubbi. Poco conta che i primi si trovino a Torino e gli altri alla periferia sud di Milano, perché “gli ultimi dodici mesi ci hanno cambiato – spiega la professoressa Maria Petrocelli -, fino all’anno scorso sarebbe stato difficile far accettare alle famiglie un’iniziativa come questa, ora invece siamo tutti abituati all’uso della tecnologia”. È il progetto Compiti@Casa, che sfrutta i lati positivi della Dad, per rimediare alle mancanze che lo studio a distanza potrebbe aver lasciato.
L’articolo di Sara Bernacchia

“Che fine hanno fatto i bambini”:
il libro di Cuzzocrea tra biografia e dialogo

Ha scritto delle nostre paure, Annalisa Cuzzocrea, giornalista di Repubblica, nel libro “Che fine hanno fatto i bambini” (Piemme). Un libro che si dipana all’incrocio fra la biografia e il dialogo: la storia di una ragazzina calabrese, l’autrice, che diventa grande e poi madre, a Roma, e delle persone a cui chiede: come si fa? Perché non siamo più capaci di pensare che i bambini appartengono a tutti, non sono “dei genitori” ma della comunità.
La recensione di Concita De Gregorio

E gli studenti chattano in Dad
Un anno dopo la ricerca di Parole_Ostili

Dopo un anno di didattica a distanza, oltre il 40% degli studenti ha percepito un peggioramento nelle proprie attività di studio e il 65% fatica a seguire le lezioni. Il 96 per cento durante la Dad ha chattato con i compagni, l’89 per cento è stato sui social media, l’88 ha consumato cibo e il 39 per cento ha cucinato. È quanto emerge da una ricerca di Parole O_Stili e Istituto Toniolo, condotta con il supporto tecnico di Ipsos, su oltre 3.500 studenti della scuola secondaria di secondo grado e su  2.000 insegnanti della scuola primaria e secondaria.

Nelle mancanze più evidenti c’è la distanza relazionale tra i compagni di classe e tra studenti e professori: 1 su 4 ha sofferto un peggioramento del rapporto e del dialogo con l’insegnante. Oltre il 70 per cento ha beneficiato di un rilevante supporto da parte dei familiari, che però hanno dovuto compensare una carenza di competenze tecnologiche.

L’uso fatto a scuola degli strumenti digitali ha consentito di svolgere lezione a distanza (per il 79 per cento il giudizio è favorevole su questa funzione), ma molto meno ha invogliato a studiare (23 per cento) o ha consentito di apprendere in modo più efficace (35 per cento). Molti studenti hanno però sperimentato il digitale in modo spontaneo e creativo, non solo per confrontarsi tra loro durante le lezioni, ma anche per svolgere attività autonome fuori dall’orario di lezione (per ricerche e gruppi di studio a distanza).

Infatti, gli studenti dichiarano un incremento del tempo trascorso sui social del 73 per cento: sul podio WhatsApp, utilizzato dal 99 per cento degli intervistati, Instagram dal 94 per cento, YouTube dall’86 e, infine, Tik Tok, utilizzato dal 66 per cento degli intervistati. Soltanto il 17 per cento dei genitori ha imposto limitazioni sulle ore trascorse allo smartphone, il 14 per cento sui social, il 13 per cento sui videogiochi.

“Studenti, docenti e genitori sono stati un po’ abbandonati in questo lungo anno di didattica a distanza. Non basta avere gli strumenti digitali che funzionino: non c’è apprendimento significativo senza una relazione significativa, fatta anche di sguardi che sanno bucare lo schermo e arrivare al cuore dei ragazzi – afferma Rosy Russo, presidente di Parole O_Stili –. Vivere il digitale non si improvvisa, richiede educazione e cultura. È per questo che chiediamo al ministero dell’Istruzione di introdurre in tutte le scuole un’ora di cittadinanza digitale alla settimana a partire dal mondo dell’infanzia”.

Afferma Alessandro Rosina, docente di Demografia e Statistica sociale all’Università Cattolica e coordinatore scientifico di Laboratorio Futuro dell’Istituto Toniolo: “La didattica a distanza è stata vissuta con molta difficoltà e fatica dalla grande maggioranza degli studenti italiani. Non è questa la scuola che desiderano. La richiesta che arriva è di tornare in presenza, ma traendo dall’emergenza anche la spinta per un uso più positivo ed efficace degli strumenti digitali sperimentati. Sia studenti che insegnanti vorrebbero un maggior uso in futuro del digitale, non in funzione sostitutiva ma come arricchimento dell’attività didattica”.

Inoltre, gli intervistati dichiarano di aver compreso l’utilità e i vantaggi degli strumenti digitali (75 per cento) e addirittura il 50 per cento ha promosso con un “sufficiente” e “buono” il livello di digitalizzazione degli insegnanti, quota che sale leggermente quando valutano la capacità della scuola di fornire le infrastrutture digitali necessarie. Il 77 per cento in ogni caso vuole tornare in presenza.

Massimo Bray: “Studiamo per salvarci”
Il libro “Pubblico è meglio”

E’ appena uscito il libro “Pubblico è meglio (La via maestra per ricostruire l’Italia)”, curato per Donzelli Editore da Roberta Lisi e Altero Frigerio. È una raccolta di saggi (in forma di intervista) che riflette intorno ai temi più urgenti sui quali lo Stato è chiamato ad agire alla svolta del Recovery Fund. Proposte concrete e sedici pagine sulla scuola affidate a Massimo Bray, già ministro dei Beni culturali. “Studiamo per salvarci”.

IL FESTIVAL

Docenti e cittadini di domani. La scuola?
E’ una professione meravigliosa

Festival di DeA Scuola (De Agostini Editore) per i docenti di oggi e i cittadini di domani. Iniziato l’8 marzo, continuerà fino al 22 aprile. Oggi alle 17 c’è stata la tavola rotonda “La scuola è una professione meravigliosa”. Con la moderazione di Federico Taddia, hanno parlato Maurizio Molinari, direttore di Repubblica (“Lo studio come risorsa strategica e la funzione sociale del docente”); Daniela Lucangeli, psicologa dell’Università di Padova (“Educazione alle emozioni, benessere psico-fisico, educare alla felicità”); Lucia Suriano, docente (“Le Ali per insegnare”); Marina Imperato, dirigente ministero (“La professione docente: una scintilla per il nostro futuro”).