“Così daremo un computer a ogni studente”

da la Repubblica

Ilaria Venturi

Ilaria Venturi

Chiamato tra gli imprenditori nella task force di Vittorio Colao, governo Conte, lanciò l’idea: diamo un computer a ogni bambina e bambino. Inascoltato, Federico Marchetti, classe ’69, presidente di Yoox Net-a-Porter, l’uomo che ha portato la moda nel web e costruito un impero, non si è dato per vinto. In effetti non è nel Dna di uno partito con una start up in un magazzino nel bolognese immaginando l’e-commerce agli albori del web: «Sono un sognatore, ma anche una persona molto concreta e penso che ora ci siano tutte le condizioni per agire». È il progetto “Digitali e uguali”, realizzato con il gruppo Gedi: una raccolta fondi per portare un pc o un tablet a tutti gli studenti.

Perché pensa che sia necessario, e non soltanto per fare scuola a distanza in emergenza sanitaria?

«Quando ho cominciato mancavano tante professionalità del digitale, non avevamo talenti e l’ho pagato sulla mia pelle, per questo abbiamo cominciato a formarli noi. Sono un uomo di lungo termine, che guarda oltre i budget e i piani quinquennali, ho puntato sempre molto sull’educazione dei giovani. Se davvero vogliamo diventare un Paese digitale dobbiamo dare loro la possibilità di avere un computer e di connettersi a una banda larga, ma anche l’opportunità di imparare il linguaggio informatico. Tim Berners-Lee, a 32 anni dalla nascita della sua creatura, Internet, dice che dobbiamo investire sui giovani e sul digitale per favorire la ripresa mondiale dopo il Covid. È una ricetta in linea con il Next Generation Eu e con il Recovery Plan che sta preparando l’Italia».

L’Italia parte in svantaggio: 850 mila studenti non hanno un device.

La colpisce questo dato?

«Dovrebbe colpire tutti. Non solo vuol dire che questi studenti non possono seguire la Dad, ma che non possono trovare le cose che ormai tutti i ragazzi cercano e trovano in Internet, non possono informarsi, studiare, giocare, connettersi con gli altri, viaggiare con l’immaginazione e fare ricerca. È qualcosa che va oltre la scuola».

Per colmare il digital divide occorrono anche connessioni veloci in tutto il Paese. Inoltre la scuola reclama formazione degli insegnanti.

«Un pc non basta, lo so bene. Ma non si può nemmeno sostenere che è possibile fare lezione su uno smartphone. Dunque partiamo dal computer o dal tablet, poi va colmato il gap delle connessioni e della formazione. E poi ci vogliono i contenuti. Anziché sui banchi, era importante investire su cosa insegnare con il digitale quando la scuola è stata costretta alla distanza.

Di recente Vittorio Colao, da neo ministro dell’innovazione tecnologica, ha ricordato che in alcune aree del Paese quattro studenti su dieci sono esclusi da una connessione Internet accettabile. È uno svantaggio di vita terribile che va colmato al più presto. E tutti dobbiamo fare la nostra parte. I problemi vanno affrontati e risolti.

Dare un aiuto concreto è oggi più che mai un dovere morale».

Il rischio è che le nuove tecnologie portino a un nuovo “far parti uguali tra diseguali”: urgente diventa porsi il problema dell’inclusione, non crede?

«La pandemia purtroppo ha aumentato le diseguaglianze e creato un divario sempre più profondo tra le famiglie che hanno bisogno d’aiuto e quelle che invece hanno non solo gli strumenti economici, ma anche quelli culturali per andare avanti.

L’inclusione è uno dei primi problemi che va affrontato e non riguarda solo la scuola, ma il mondo del lavoro: è il grande problema dei nostri anni e penso non solo agli studenti che, se sono esclusi all’inizio del loro percorso poi rischiano di esserlo per sempre.

Penso alle donne, agli stranieri, alle persone lasciate ai margini. Io mi sono sempre battuto perché nel gruppo che ho fondato l’inclusività fosse l’architrave della filosofia aziendale.

Comemembro fondatore del Champions of Change Coalition GlobalTechnology Group, ho sempre lavorato per promuovere l’uguaglianza di genere nel settore tecnologico, che purtroppo non brilla per presenza femminile. Sul divario di genere c’è ancora molto da fare, anche a partire dal linguaggio. A scuola, in tv li chiamano tutti e tutte “bambini”, perché? Per questo tengo moltissimo a riferirmi alle bambine e ai bambini».

Quanto conta nel fare impresa il valore sociale?

«Da quando è iniziata la pandemia mi sono occupato prima di tutto della salute dei dipendenti e dell’aiuto che potevamo dare alle comunità.

Abbiamo distribuito materiale sanitario, messo a disposizione i nostri van e consegnato device alle scuole. Credo nell’etica aziendale, non nel profitto fine a sé stesso. Le aziende moderne devono avere nel loro Dna il rispetto e l’attenzione per le persone che lavorano per loro».

Cosa vuol dire per un imprenditore investire nella formazione?

«Vuol dire investire nel futuro, credere che se dai ai giovani le giuste opportunità, saranno in grado di cambiare il mondo».

Che valore ha avuto per lei la scuola?

«Ho fatto le scuole a Ravenna, dove sono nato, poi sono venuto a Milano dove ho frequentato la Bocconi e successivamente un Mba alla Columbia University. La scuola ti apre gli orizzonti, ti dà la possibilità di osare, di credere in te stesso e di trovare la tua strada. Io ho scoperto e creduto in Internet molto prima che esplodesse. Ne ho capito le potenzialità e ho deciso da subito, nel 1999, che avrei creato una start up tecnologica quando tutto era ancora agli albori. Il tempo mi ha dato ragione».

Il filosofo Luciano Floridi invita ad usare il digitale in modo integrato nell’insegnamento: concorda?

«Si, ci sono insegnanti che hanno fatto lezioni straordinarie in remoto.

La tecnologia già adesso consente esperienze di realtà virtuale e aumentata, puoi vedere video, creare momenti di interazione che la sola presenza fisica non permetterebbe di fare. Io credo che il digitale sia entrato nella scuola e non ne uscirà più. Non auspico assolutamente la Dad a tempo pieno, mi auguro che la scuola a distanza sia una condizione temporanea. Ma ci sarà un’integrazione tra digitale e presenza».

Che consigli darebbe ai giovani dal futuro reso ancora più incerto dalla pandemia?

«Direi loro che ci sono due settori che insieme saranno la chiave per chi vuole innovare e creare iniziative utili in grado di dare sbocchi nel mondo del lavoro: la tecnologica e la difesa della natura».

Come è possibile immaginare ora ciò che ancora non esiste?

«L’immaginazione non s’insegna. Ma si può coltivare, si può crescere nell’immaginazione, il mio ispiratore è Federico Fellini, nato in Romagna come me. Ho cominciato a sognare da bambino e non ho mai smesso».

Come crede sarà il mondo dopo la pandemia?

«Diverso. Spero che faremo tesoro di questo terribile evento per cambiare i nostri comportamenti. La favola di Filelfo L’assemblea degli animali racconta che la natura si è ribellata all’uomo, che gli animali si sono coalizzati per spiegarci che dovevamo cambiare direzione, essere più rispettosi. Mi auguro che sceglieremo di agire in modo più responsabile. Possiamo essere connessi, produttivi, moderni, senza essere inquinanti. Facciamolo».