La storia come efficace elemento formativo

La storia come efficace elemento formativo
Un richiamo dalla Germania

Michael F. Feldkamp


Posso solo sostenere vivamente il manifesto del prof. Carlo Ruta in cui si reclama una maggiore importanza della formazione storica. Mi auguro inoltre che questo impegno venga promosso anche in Germania. Negli ultimi decenni i media non hanno prestato la dovuta attenzione al fatto che l’insegnamento della storia è stato progressivamente escluso dal sistema scolastico e che nel miglior dei casi è divenuto parte di materie quali le «scienze sociali» o la «formazione politica». L’insegnamento della storia ha dunque perso la sua importanza, unicamente finalizzato, com’è, a legittimare gli esistenti rapporti di forza nell’ambito della politica, della società e dell’economia.

Subito dopo la seconda guerra mondiale si verificò un’intensa pubblicazione di testi che si confrontavano in termini critici con l’ideologia del nazionalsocialismo e soprattutto se ne distanziavano con chiarezza.

Tra le pubblicazioni che ebbero il coraggio di volgere uno sguardo al futuro vi fu un breve scritto di Gerhard Ritter, professore di storia all’università di Friburgo. Portava il titolo: Storia come forza formativa. Un contributo alla riflessione storico-politica (1946) (in tedesco: Geschichte als Bildungsmacht. Ein Beitrag zur historisch-politischen Neubesinnung). Ritter analizzò in dettaglio la forza con cui in Germania sotto il nazionalsocialismo il passato venne riscritto, reinterpretato e soprattutto utilizzato indebitamente per finalità estranee, nell’intento di imporre l’ideologia nazionalsocialista. Il libro di Ritter intendeva porsi come segnale d’allarme per il futuro.

La storia non si ripete – l´insegnamento del raffronto storico


Il frequente ricorso all’affermazione che dalla storia si debba imparare è ovvio sia nella sua semplicità, sia nel suo nucleo di verità. Lo si può chiarire con il seguente esempio. Ove si prenda in considerazione il rapido processo di digitalizzazione che si sta oggi imponendo in tutti gli ambiti della nostra esistenza non vi possiamo cogliere, ad un primo sguardo, alcun elemento analogico con la storia. Ad una più attenta considerazione possiamo però rilevare che – per quanto concerne le tecniche della comunicazione – la digitalizzazione dispone e disporrà sempre d’un potenziale rivoluzionario paragonabile all’invenzione della stampa.

Nella storiografia tedesca vige la convinzione generalizzata che senza il libro a stampa la riforma di Martin Lutero non avrebbe ottenuto il successo che ebbe. Tenendo presente queste premesse noi storici abbiamo il compito di spiegare ai contemporanei che anche la digitalizzazione porterà a processi rivoluzionari di questo tipo. Essa comporta pericoli ed opportunità. Uno sguardo alla storia può essere utile perlomeno per comprendere tale evento nella sua specificità e nella sua potenzialità.

La cultura della memoria in Germania


A partire dalla metà degli anni Ottanta si è affermata in Germina una cultura della memoria, promossa soprattutto dalla politica e sottoposta a varie trasformazioni.
In un primo tempo l’attenzione venne prestata soprattutto al periodo catastrofico del nazionalsocialismo. La natura catastrofica di quest’epoca era costituita soprattutto al fatto che la Germania era una dittatura delinquenziale: al più tardi a partire dalla conferenza di Wannsee del gennaio 1942 il regime perseguì la finalità di sterminare gli ebrei in tutta l’Europa.

Dopo la cosiddetta riunificazione del 1990, cioè in seguito all’accettazione da parte della Repubblica Democratica Tedesca (DDR) della «Legge Fondamentale» e della sua integrazione nella Repubblica Federale di Germania la cultura della memoria si occupò d’altri temi.

I cittadini della DDR erano cresciuti in uno stato comunista privo dei diritti fondamentali e si erano trovati improvvisamente in una società in trasformazione e in una situazione minoritaria, sia pure dotata di una sua consistenza, all’interno d’uno stato democratico che aveva funzionato come sistema parlamentare per oltre quarant’anni.
Nella valutazione del periodo nazionalsocialista – soprattutto in seguito al processo di chiarimento provocato dal cosiddetto «Historikerstreit» (1986/87) – si era affermata una certa convergenza nella valutazione del sistema politico e della questione attinente la persecuzione degli ebrei; in riferimento all’evento della riunificazione e della precedente divisione della Germania nella cultura della memoria le posizioni sostenutevi erano nettamente contrastanti.
Invece di rallegrarsi per la fine della DDR comunista si diede avvio ad una disputa tra la sinistra ed il centro dei conservatori sul fatto che la DDR fosse stata o no uno stato di diritto. Si dovette ricorrere a nuovi narrativi per poter continuare a presentarla nell´ambito della sinistra come sistema socialista.
Nell’ambito della cultura della memoria in vigore in Germania il nucleo del dibattito verte ora sulla prevalenza della valutazione e dell’interpretazione attribuita a determinanti fatti storici. Nel caso specifico la sinistra intende legittimare nella Repubblica Federale di Germania un socialismo in contraddizione con la costituzione vigente onde poter ristrutturare lo stato nelle sue fondamenta.


Stato di diritto vs. politica dei generi


L’anno 2019 rappresenta un esempio particolarmente significativo del come la storia sia stata utilizzata per finalità promosse dallo Stato. Nella Repubblica Federale di Germania si sarebbe dovuto celebrare il centenario della Repubblica di Weimar. Negli ultimi decenni è significativo come i costituzionalisti tedeschi abbiano fatto presente quanto numerosi siano gli elementi sostanziali ripresi dalla Costituzione di Weimar in quella della Repubblica Federale («Legge fondamentale»). Contrariamente a tale tendenza vennero invece posti in evidenza a partire dalla fine degli anni Cinquanta le caratteristiche specifiche e gli aspetti positivi della Costituzione di Bonn. È una tendenza che si può sintetizzare nell’affermazione: «Bonn ist nicht Weimar» («Bonn non è Weimar»). Era nato così il mito fondativo della repubblica Federale di Germania. Anche gli storici hanno frequentemente valutato la storia della repubblica di Weimar e della sua costituzione unicamente come preliminari all’affermazione del nazionalsocialismo.

È questa la ragione per cui nel 2019 non si registrò una particolare disponbilità a celebrare solennemente il centenario della Costituzione di Weimar. È significativo che le principali istituzioni statali della Repubblica Federale abbiano sí festeggiato il ricordo della Repubblica di Weimar, ma in una celebrazione situata in un luogo di ridotta importanza, con uno stile dimesso e sovente in località che avevano del clandestino. La celebrazione centrale di quest’evento giubilare ebbe luogo nel Parlamento tedesco (Deutscher Bundestag) e venne abbinata in termini riduttivi soprattutto al ricordo dell´estensione in Germania del diritto di voto alle donne.
In altri termini: invece di occuparsi nelle manifestazioni celebrative degli aspetti positivi e di quei fallimentari della costituzione di Weimar del 1919, l’anno giubilare venne utilizzato per porre in particolare evidenza una politica dei generi impregnato dello spirito del tempo. Non si può non rilevare che anche in questo caso ad affermarsi fu una «damnatio memoriae» di tipo manipolatorio e omologata alle finalità oggi perseguite dal governo: è un orientamento che conosciamo già a partire dalla propaganda imperiale del tardo impero.

Quest’orientamento comporta il pericolo di preludere ad una «cancel culture» in Germania. Sia qui che negli USA questa «cancel culture» sta acquisendo le caratteristiche di una rivoluzione culturale d’ampie dimensioni. Studiare la storia sembra esprimere un gesto di sfida. Si tratta di promuovere la capacità di confrontarsi in termini differenziati con epoche storiche e culture radicalmente diverse da quella d’appartenenza e di valutare attentamente le fonti della storiografia. Sono attitudini che possono peraltro essere estremamente utili anche nel quotidiano.


* Michael F. Feldkamp, storico di Berlino, ha studiato Storia, Teologia cattolica e Pedagogia all’Università di Bonn e Storia della Chiesa presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma. Dal 1993 al 1995 è stato collaboratore scientifico presso l’archivio parlamentare del Deutscher Bundestag, nel 1995-1996 assistente di Storia della Chiesa presso la Facoltà di Teologia Cattolica dell’Università di Bonn e nel 1996/1997 collaboratore scientifico presso l’Istituto di Storia Contemporanea (Institut für Zeitgeschichte) di Monaco di Baviera. Dal 2000 è funzionario presso il Bundestag a Berlino. È autore di numerosi saggi pubblicati in riviste universitarie, prevalentemente nei seguenti settori: diplomatica dal XVI al XVIII secolo, storia della Chiesa in Germania, storia della diplomazia, storia del parlamentarismo in Germania. È un esperto di storia delle relazioni fra Santa Sede e Germania. Ha attirato l’attenzione a livello internazionale per essersi dedicato in particolare alle questioni del silenzio del Papa Pio XII sull’Olocausto, ponendosi in netto contrasto con le posizioni di Daniel J. Goldhagen. È considerato tra i massimi rappresentanti del cattolicesimo moderno in Germania.