Scuola, un preside su due assunto fuori dalla propria regione “Agevolato chi sta nella parte bassa della graduatoria”

da la Repubblica

Salvo Intravaia

Sono stati assunti fuori dalla loro regione di residenza. E adesso protestano perché vorrebbero ritornare a casa il prima possibile. Sono i presidi del concorso bandito nel 2017, assunti tra il 2019/2020 e quest’anno: circa 1.250 in tutto. Uno su sei a livello nazionale. Lamentano una diversità di trattamento con i colleghi che si sono collocati nella parte bassa della graduatoria e che a settembre potrebbero essere immessi in ruolo nella propria regione. Insomma: gli ultimi saranno i primi. A spiegare i motivi di una protesta che sta montando settimana dopo settimana è Benedetto Lo Piccolo, siciliano, in servizio presso l’istituto comprensivo De Amicis di Busto Arsizio, in quel di Varese. “Non è un problema meridionale – ci tiene a precisare – ci sono emiliani in Lombardia, liguri in Piemonte. E non si tratta di una protesta per i disagi connessi con la condizione di fuorisede”. Il gruppo di dirigenti scolastici meridionali è comunque nutrito. Molti si trovano a oltre mille chilometri dalla famiglia.

Lo Piccolo ha organizzato un comitato per sensibilizzare la politica e le istituzioni. Tre le ragioni di questa mobilitazione. Per la prima volta, dopo circa vent’anni di concorsi su base regionale, nel 2017 la selezione dei capi d’istituto avviene su base nazionale: chi vince sceglie tra le sedi libere a livello nazionale, ovviamente in base alla propria posizione in graduatoria. I primi 2.416, poi incrementati dalle rinunce, ad essere assunti nel 2019/2020 furono inviati dove c’era posto: in tutte le regioni. Poi, i posti vennero estesi “e gli ultimi – spiega Lo Piccolo – potrebbero essere assunti nella regione di residenza”. “E’ in questo modo – si chiede – che viene riconosciuto il merito di esserci piazzati prima nella graduatoria?”.

Perché, stando al resoconto affidato ad una lettera aperta, “sono state cambiate le regole del gioco a partita in corso”. Ed ecco il secondo motivo della protesta. Con l’ultima legge di Bilancio sono stati modificati i parametri per il dimensionamento della rete scolastica: da 600 alunni, per avere diritto ad un preside in pianta stabile, il numero di alunni è sceso a 500. E da 400 a 300 per le scuole nei comuni montani e nelle piccole isole. “Questo darà luogo – continua Lo Piccolo – a circa 800 posti in più che, sommati ai 500 pensionamenti attesi, diventeranno mille e 300 posti che verranno assegnati ai vincitori del concorso”. Gli ultimi 886 in graduatoria che con una disponibilità così ampie potranno sperare di rimanere nella propria regione.

Ma non solo. I presidi fuorisede protestano per una terza ragione: il meccanismo della mobilità (i trasferimenti) resta sostanzialmente regionale mentre il concorso è stato su base nazionale. “Dopo un triennio di permanenza nella scuola dove siamo stati assunti, ai trasferimenti interregionali viene riservato il 30% dei posti che si riducono a pochi, con le riserve per i colleghi che hanno particolari esigenze”, conclude Lo Piccolo. Tra coloro che pressano maggiormente per un intervento politico, i dirigenti campani. Tutti assunti fuori regione perché nel 2019 in Campania ancora si dovevano smaltire i vincitori del concorso precedente. Si tratta di circa 400 capi d’istituto che, dopo avere saturato le poltrone delle regioni limitrofe, si sono sistemati in Lombardia, in Veneto e in Piemonte. La paura, per questi, è che passeranno ben oltre tre anni prima di riavvicinarsi a casa.