Della DAD, come e perché

Della DAD, come e perché

di Maurizio Tiriticco

La didattica a distanza, come ho già scritto altre volte, non è una novità. Viene da lontano ed ha una lunga storia. Mi piace rinviare a quanto dice Mario Macaluso in un breve ma essenziale intervento pubblicato sul web (https://www.youtube.com/watch?v=q9ZrytWnK8Y). Io mi limito a un solo accenno. La DAD venne usata a iosaquando, negli anni venti del secolo scorso, in due grandi Paesi confederati, Stati uniti ed Unione Sovietica, si dovevano raggiungere lavoratori della terra e dell’industria impegnati in luoghi lontani dai centri urbani, al fine di istruirli e formarli in ordine a dati processi lavorativi, in larga misura anche innovativi. E venne usata in larga misura anche perché ritenuta più rapida e più efficace – nonché più economica – rispetto ad un insegnamento tradizionale, che avrebbe richiesto la presenza attiva di insegnanti ad hoc.

Ovviamente, le materie affrontate erano di tipo scientifico e tecnico, coerenti con le mansioni che i lavoratori dovevano svolgere; nonché curvate a tematiche specifiche. La strumentazione era semplice, ma efficace. Venivano inviate di volta in volta al lavoratore determinate dispense cartacee, relative a specifici argomenti, coerenti con una data disciplina di studio; ed alla fine del testo venivano somministrati – la parola a molti non piace, ma i fatti erano quelli – test a scelta multipla, ovvero proposizioni a quattro o a cinque uscite, di cui una sola era quella “vera”, mentre le altre erano “false”, cioè errate.

Il lavoratore doveva leggere, comprendere, valutare e poi rispondere semplicemente segnando una x sulla risposta considerata vera. Ecco un esempio più che banale. L’acqua è: a) il primo elemento della tavola periodica; in circostanze normali è un gas incolore ed insapore, formato da molecole diatomiche; b) un liquido prodotto dalla secrezione renale, di color giallo e odore caratteristico, ricco di sostanze organiche e inorganiche; c) un composto chimico di formula molecolare H2O, in cui i due atomi di idrogeno sono legati all’atomo di ossigeno con legame covalente polare; d) una soluzione composta con una data quantità di sali minerali e sostanze organiche disciolte in un insieme composto chimico; e) composto chimico trasparente privo d’odore e di sapore, la cui molecola è composta da tre atomi di idrogeno legati a quattro di ossigeno, ubiquo in natura sotto forma di fumo, liquido e solido. E’ un quesito a cinque uscite: a chi legge la soluzione!

In ordine a quanto ho ricordato, possiamo dire pertanto che oggi nelle nostre scuole… nihil sub sole novi! Ma i problemi veri, che assillano molti operatori scolastici, non sono la natura, la struttura, le finalità di questa modalità di insegnare ad apprendere, ma una sua pretesa scarsa efficacia. O meglio, molti di loro ritengono che si tratti di un insegnare ad apprendere di secondo ordine, di risulta. Lo capisco! La secolare abitudine è quella di pensare che l’insegnare ad apprendere sia unica e sola quella in cui, in presenza, in un’aula, un insegnante insegni – di fatto parli, se non chiacchieri – ed un certo numeri di alunni – di fatto – ascoltino e apprendano. E in perfetto silenzio! In tempi lontani si usava la frusta se un alunno osava distrarsi! Orazio ricorda le frustate infertegli dal “plagosus Orbilius”! I nostri bisnonni – non so se anche i nonni – ricorderanno la bacchetta dei loro maestri!

E a questo proposito mi piace quanto ci racconta Fernando Sparvieri (copio dal web): “Arrivavano certe bacchettate sulle mani!!! Alcuni scolari, per alleviare il dolore, già alla prima bacchettata si mettevano la mano colpita tra le gambe, altri ci soffiavano sopra. Spesso era solo l’inizio del supplizio perché il maestro, per niente impietosito, doveva completare il suo ciclo mentale di bacchettate che aveva stabilito per pena. Altre volte, invece, all’improvviso, da dietro le spalle, a tradimento, il maestro tirava a qualche alunno le orecchie che parevano elasticizzarsi sino al soffitto, per poi tornare, lasciata la presa, al loro posto, restando rosse per ore intere”.

Questo da noi allora! Ma oggi? Assolutamente no! Non avviene così! Ed è arcinoto! Come purtroppo è arcinoto che nelle scuole islamiche le “pene corporali” sono, invece, di norma. E tradotta anche in Italia!’ Copio dal web ciò che è accaduto qualche mese fa: “Seregno, bambini maltrattati alla scuola islamica: bacchettate e castighi, arrestato insegnante. Nel doposcuola frequentato dalla comunità senegalese i piccoli tra i 4 e gli 11 anni avrebbero dovuto imparare l’arabo, ma i due «educatori» usavano metodi punitivi. L’indagine è partita dai lividi sul corpo di un ragazzino”. Purtroppo ciò che avviene nel nostro Paese è norma nelle scuole dei Paesi mussulmani. E, quando si insegna picchiando, si insegna anche che picchiare è normale e legittimo.

Ma torniamo alla DAD. Va detto in primo luogo che oggi questa modalità è supportata ed arricchita dal PC e da tutte le possibilità che offre in materia di corrispondenza tra più persone. Oggi i Consigli Europei si realizzano vis à vis e in contemporanea! Niente più viaggi, tempi lunghi, soggiorni, spese! E ciò vale anche per la corrispondenza tra i “comuni mortali”. Si tratta di esperienze preziose anche per le ricadute che hanno sul quotidiano delle nostre relazioni a distanza! O meglio, una volta a distanza! Ora non più! Pertanto, per tutto questo insieme di ragioni, la DAD non può essere intesa soltanto come un’opportunità del momento, ma come un’occasione preziosa per un cambiamento radicale della didattica tradizionale. Meno ore sui banchi di scuola, più ore ai PC casalinghi.

Non credo di dire sciocchezze: Gli edifici scolastici saranno frequentati per un numero inferiore di giorni e di ore! Ed ancora! Mi sto domandando: che fine faranno quegli enormi e magnifici palazzi costruiti dopo la proclamazione di Roma capitale d’Italia per allocare i Ministeri del Regno? Concludo pensando… e scrivendo, che la DAD non è una “cosa dell’oggi”, che finirà dopo la pandemia. Assolutamente no! La DAD è già un segnale di una scuola “altra”. Non so bene quale sarà né come sarà, ma sarà! Ed a questo dobbiamo prepararci. Ruit hora, dicevano i nostri padri. E i tempi nuovi mandano sempre in soffitta, o in cantina, i tempi vecchi.