I have a dream

I HAVE A DREAM

di Maria Grazia Carnazzola

1. Per cominciare

Il 25 settembre milleduecentosessantaquattro, sul far del giorno, il Duca d’Auge salì in cima al torrione del suo castello per considerare “un momentino” la situazione storica. La trovò poco chiara.

Se facessimo come il Duca d’Auge e ci soffermassimo “un momentino” a considerare la situazione della Scuola oggi, la troveremmo decisamente poco chiara, anzi decisamente confusa e caotica. La rapidità con la quale mutano gli scenari sanitari, sociali, economici, culturali determinano i livelli di complessità moltiplicandola. Sono complesse le esperienze di lavoro, ma forse ancora di più quelle di non lavoro; sono complesse le relazioni interpersonali, ma forse ancora di più la loro mancanza o limitazione ; sono complessi i processi di acquisizione delle conoscenze – perché gli ambiti dei saperi si allargano, si sovrappongono, si contraddicono e a volte si svuotano- ma lo sono ancora di più i vuoti di saperi e di paradigmi su cui fondare una conoscenza personale, strutturata, che permetta di modificare il proprio sapere e saper fare. E’ questa moltiplicazione di complessità che occorre comprendere per riuscire a decifrare i diversi fenomeni che la compongono, individuando idonei strumenti di lettura, di analisi, di valutazione senza i quali si continuerà a stare a guardare e a prendere atto, subendola, della confusione del tutto. Dal torrione del castello il Duca osserva i resti del passato che si presentano alla rinfusa: gli Unni che cucinano carne alla tartara, i Gaulois che fumano gitane, i Romani che disegnano greche, i Normanni che bevono calvados…Guarda, non capisce e si chiede “Non si troverà mai una via d’uscita?”. Per non trovarsi nella condizione del Duca d’Auge, e non restare a guardare senza capire, occorre trovare una prospettiva d’insieme che consenta di focalizzare i nessi, gli intrecci, le interconnessioni della situazione. Per la scuola, si tratta di tenere insieme istruzione in presenza o a distanza, esiti in uscita, modalità di valutazione, saperi fondanti e accessori, contenuti e processi, cambi di prospettiva.

2. Lo stato dell’arte.

La pandemia ha precipitato la scuola, e chi la frequenta direttamente o indirettamente, in una situazione di precarietà legata da una parte alla frammentarietà dei percorsi, conseguente all’alternarsi di attività in presenza e a distanza, dall’altra alla perdurante incertezza circa le modalità e i tempi del ritorno alla “normalità”. L’utilizzo massiccio delle tecnologie dell’informazione per la didattica, e per l’istruzione a distanza in particolare, è riconducibile più a fatti contingenti, legati alla diffusione del coronavirus e al radicale cambiamento del modello di vita, che a una scelta pedagogica ponderata dell’effettiva utilità e del miglioramento degli esiti dei percorsi di apprendimento. Le tecnologie modificano il setting dell’insegnamento/apprendimento che continua, però, ad essere un setting educativo/ istruzionale anche a distanza, se si rispettano la normativa vigente e il quadro antropologico culturale attuale. Si impone una seria riflessione a tutti i livelli per comprendere se, in quale misura e in quali gradi scolastici l’insegnamento a distanza potrà surrogare o integrare la didattica in presenza, ricordando che i cambiamenti non li fanno i provvedimenti legislativi ma le scuole che li praticano. L’addestramento è una cosa, la promozione della metacognizione è altra cosa. Nella società dell’informazione e della conoscenza, quale scuola, quale organizzazione del tempo, dello spazio, dei saperi, delle azioni didattiche? Quale valutazione per l’apprendimento, degli apprendimenti, dell’insegnamento, del servizio?

3. Il futuro della scuola: scenari condivisi, responsabilità individuali, forme flessibili

Provo a riassumere così il compito della scuola, intendendo con questo termine il fine etico dell’educazione: contribuire a formare persone, cittadini, capaci di comprendere la complessità del mondo in cui vivono e di preservare la propria possibilità di libere scelte di vita, utilizzando la conoscenza in modo consapevole e finalizzato. Sappiamo che le conoscenze non si acquisiscono solo a scuola, ma sappiamo che questa può

essere un ambiente particolarmente favorevole, per la presenza di un gruppo di pari e di un adulto mediatore che aiutano a comprendere il significato di quello che si sta facendo, per un apprendimento veramente riflessivo che metta in evidenza sia l’apprendere sia il conoscere.

A volte i due termini vengono utilizzati come sinonimi, ma si riferiscono a oggetti diversi. L’imparare, l’apprendimento, è un fatto proprio dell’individuo, influenzato dai pensieri, azioni, emozioni che gli sono peculiari. Il conoscere, la conoscenza, è un fatto pubblico, perciò condiviso, attiene alla cultura. L’insegnante, con la sua azione che sta a metà tra arte- o mestiere-e scienza, struttura ambienti, individua il percorso in cui impegnare gli allievi e sceglie le strategie didattiche più adatte perché ciascuno costruisca la propria conoscenza, attingendo ai saperi della cultura di appartenenza veicolati attraverso le discipline. Che si scelga di farlo con lezioni in presenza o a distanza, utilizzando le tecnologie nuove o tradizionali, l’importante che sia chiara a chi insegna la differenza tra apprendimento meccanico/ significativo – da un lato- e tra apprendimento ricettivo/per scoperta guidata/per scoperta autonoma dall’altro – secondo la distinzione che ne ha fatto D. Ausubel- per non essere condizionato dalle metodologie e dagli strumenti disponibili piuttosto che dai risultati da raggiungere. E’ mia profonda convinzione che la differenza la fanno gli insegnanti, la fa la competenza didattica degli insegnanti che, forti di una solida formazione disciplinare, metodologica e psicopedagogica, affrontano le richieste della società con la consapevolezza di ciò che c’è e di ciò che manca, di ciò che deve essere mantenuto e di quello che è necessario cambiare, ricercando significati nuovi e diversi del proprio fare scuola, anche quando si cerca la soluzione tecnica di problemi contingenti, attraverso percorsi che escludano il vagare tra le mode e pongano in evidenza la riflessione condivisa sui temi fondamentali dell’insegnare/apprendere. Facendo memoria di quello che siamo e ipotesi su come potremmo essere, partendo dalle attività e azioni praticate, supportate dagli opportuni riferimenti e approfondimenti teorici come già indicava Dewey, la formazione dovrebbe diventare strutturale e continua, perché continui sono i cambiamenti del contesto sociale a cui la scuola deve rispondere: è un compito etico. Naturalmente bisogna che ciascuno colga la necessità e l’urgenza del cambiamento e si attivi di conseguenza. In presenza o a distanza, il centro dell’azione didattica rimane l’apprendimento che si fonda sui processi cognitivi/ operazioni mentali che vengono sollecitati, monitorati, valutati, per ciascuno studente, nei setting progettati e costruiti dai docenti. Mettere a fuoco l’incidenza che le diverse modalità di fare scuola hanno sull’attenzione, la percezione, la memoria, il linguaggio…sul grado di astrazione che permettono o richiedono, sulla ricaduta che hanno sul pensiero riflessivo e critico, sono alcuni degli aspetti che andrebbero considerati, anche per utilizzare al meglio i materiali che le piattaforme mettono a disposizione. In questo le neuroscienze possono essere di grande aiuto: quello che impariamo dipende dai cambiamenti dei circuiti cerebrali, legati alla diversa plasticità nei diversi periodi, e ai quattro pilastri a cui si è accennato più sopra: prestare attenzione, impegnarsi, affrontare la prova e consolidare quanto appreso. Mettere in moto queste quattro funzioni, insieme alla predisposizione sociale e al linguaggio, significa per un insegnante poter incidere sulla velocità e sull’efficienza dell’apprendimento del gruppo. Le tecnologie possono offrire risorse aggiuntive o essere di ostacolo; in ogni caso incidono sul modo di procedere.

4. Pensare il già pensato e il non ancora pensato per una continuità discontinua.

Si è davvero liberi di scegliere come insegnare quando si conosce l’intero repertorio delle strategie disponibili e il loro possibile impatto. Qualunque sia la scelta che facciamo, i quattro pilastri dell’apprendimento, per dirla con S. Dehaene, sono sempre gli stessi: l’attenzione, il coinvolgimento attivo, il riscontro dell’errore e il

consolidamento. Vale per l’insegnamento in presenza così come per l’insegnamento a distanza perché, come è già stato detto, e come le neuroscienze confermano, l’apprendimento è una dimensione personale, soggettiva. Insegnare significa prestare attenzione ai comportamenti degli allievi, scegliere i percorsi, gli argomenti, gli esempi, le parole più adatte perché le conoscenze di ciascuno si trasformino in sapere scientifico-disciplinare. Fissare obiettivi chiari per l’apprendimento è un passaggio importante: chi impara deve avere chiaro lo scopo dello sforzo che gli è richiesto, che cosa ci si aspetta da lui al termine di una lezione, di un percorso curricolare, perché l’obiettivo può orientare e facilitare il compito. Altrimenti di che cosa parliamo quando ipotizziamo l’autovalutazione da parte degli studenti? Sottolineando qui che facilitare l’apprendimento non significa rendere le cose più facili. In questo modo si veicola, piuttosto, la convinzione che quando non si riesce è perchè non si hanno le capacità: far sentire tutti” in grado di” è uno dei presupposti dell’azione didattica. Facilitare significa strutturare ambienti di apprendimento ricchi, seri, che sappiano catturare l’attenzione, rimuovendo nel contempo le possibili fonti di distrazione che aumentano il cosiddetto carico cognitivo estraneo. Entrano in gioco le teorie della mente sia di chi apprende, sia di chi insegna, gli aspetti metacognitivi dell’apprendimento e la consapevolezza che “qualsiasi relazione educativa sana deve essere fondata sull’attenzione, il rispetto e la fiducia in entrambe le direzioni” (S.Dehaene, Imparare, pag.213).

5. Innovazione/cambiamento/stabilità.

Istituzionalmente la scuola si trova a fronteggiare due esigenze contrapposte: rispondere alle richieste di cambiamento e di innovazione (entrambi i termini sono spesso usati usati impropriamente come sinonimi di miglioramento) da una parte, dall’altra a preservare la stabilità necessaria a garantire l’erogazione di un servizio efficiente nella gestione delle procedure ed efficace nel raggiungimento degli esiti, cercando di governare l’instabilità e le turbolenze che l’incertezza determina. Lo fa insegnando quello che appartiene al passato, con qualche incursione nel presente, in attesa che diventi passato per poterlo insegnare.

Torno ora al titolo, alla speranza espressa da Martin Luther King con la metafora del sogno, ripetuta otto volte nel discorso davanti al Lincoln Memorial il 28 agosto 1968 quando diceva che i processi di cambiamento e di sviluppo, come la democrazia e il progresso, nascono da un sogno. Il sogno di una Scuola che insegni non a volere il migliore dei mondi possibili, ma un mondo migliore di quello in cui viviamo ora, rendendo progressivamente prossima la conoscenza da raggiungere, usando ogni disciplina per formare un pensiero capace di pensarsi oltre il tempo presente e in situazioni diverse, raffigurando scelte e responsabilità. Una Scuola dove si va per imparare qualcosa di “scientifico” che, partendo dal sapere del senso comune, permetta di comprendere l’interazione tra fenomeni sociali e naturali; dove attraverso l’uso di solide categorie interpretative (rigorosi approcci disciplinari), si contribuisca a riflettere sul modo di stare insieme e sui luoghi dove stare insieme. Dove si pensi alla costruzione di una comunità con un obiettivo comune che dia senso allo stare insieme. Una Scuola dove lo stare insieme è caratterizzato dalla collaborazione, a tutti i livelli, per comprendere la differenza tra sopportare e affrontare per superare; dove si impara che la parità dei diritti va ben oltre il genere e la razza: ha a che fare con l’umano.

BIBLIOGRAFIA

Queneau R., I fiori Blu, Einaudi
Dehaene S., Imparare, Raffaello Cortina Editore, Milano 2019; Watzlawick, Guardarsi dentro rende ciechi, TEA Pratica Ed.,Milano 2018; Gardner H., Cinque chiavi per il futuro, Feltrinelli, Milano 2006;
Ausubel D., Educazione e processi cognitivi, Franco Angeli, Milano 1991; Bandura A., Self-efficacy: the exercise of control,Freeman, N.Y. 1997;