Analogico e digitale

Analogico e digitale

di Maurizio Tiriticco

Leggo fugacemente sul web e non intendo approfondire, almeno per ora, che “nella Finlandia e negli Stati Uniti hanno detto addio alla scrittura incorsivo nella scuola primaria. E tutti in Italia – almeno,penso, le persone di scuola – ci chiediamo: ma possiamo fare davvero a meno dell’insegnamento di questa tipologia di scrittura? Leggo che “sembra che sia una scelta assolutamente pragmatica: perché nella scuola primaria lo stampatello è più veloce e più facile rispetto al corsivo. Ma sono fortissimi i dubbi” Ed il dubbio, ma molto forte, è anche mio!

Un po’ di storia. Ricordo che nella mia prima classe elementare – a. s. 1934-35 – la maestra mi insegnò a compilare pagine di a, e, i, o, u, e poi di consonanti, b, c ecc. Ed in seguito mi insegnò a comporle insieme: ape; eco; oca; uva; eco; inno. Quest’ultima non era una parola “difficile”, perché di inni fascisti era già piena la nostra testa. E, giorno dopo giorno, dalle parole più famigliari, semplici e brevi, si passava a parole più “difficili” e lunghe. Si tratta di un metodo che si basa sull’insegnamento delle singole lettere, vocali e consonanti, che vengono dapprima acquisite e memorizzate; e solo in seguito, pian piano, vengonounite per formare le sillabe. Poi ancora, sempre procedendo per gradi, si formano le parole e, per finire, frasi di senso compiuto.

In seguito, molti anni dopo, nella nostra scuola venne adottato il cosiddetto metodo globale ideato da Ovide Decroly, psicologo e pedagogista belga (1871-1932). Questo metodo prevede che l’insegnamento della lettura e della scrittura avvenga partendo da frasi compiute e non da singole lettere. Al bambino, quindi vengono proposte frasi intere, che solo successivamente vengono sezionate per estrapolarne le sillabe ed infine le singole lettere. E’ il metodo cosiddetto globale: il bambino memorizza una frase compiuta, ne comprende il significato, poi la scompone in sillabe, ed infine le suddivide in lettere. Si parte da un concetto complesso per giungere a concetti più semplici attraverso l’intuito. Concludendo, possiamo definire il primo metodo analitico, il secondo sintetico. Nel primo caso, si passa dal semplice al complesso, nel secondo dal complesso al semplice.

Tornando all’oggi: che differenza corre tra lo stampatello e il corsivo? Con il primo ogni lettera alfabetica “sta a sé”. In effetti io sto scrivendo digitando sulla mia tastiera – e potrei farlo anche con un solo dito – una lettera dopo l’altra, per comporre parole, proposizioni e periodi, intercalati dai segni della punteggiatura. Io non so quanto sia veloce nella mia scrittura né so quanto lo sarei se scrivessi con la penna, ovviamente biro o stilografica. Al proposito, mi piace ricordare che le prime penne che adoperai nella scuola erano quelle dotate di pennino, da intingere in un calamaio, incorporato sul banco. Calamaio che, a date scadenze, il bidello riempiva di inchiostro. Poi,dopo la composizione scritta, il tutto si asciugava con la carta assorbente! E solo gli alunni più bravi riuscivano a scrivere senza sporcarsi né mani négrembiule. Mi viene anche in mente il lavoro delle dattilografe di un tempo: il capo dettava, anche velocemente, e la dattilografa, altrettanto velocemente, scriveva con l’apposita macchina. La dattilografa poteva anche non comprendere il contenuto di ciò che scriveva! Di fatto era anche lei una “macchina”.

Le due pratiche rinviano a due concetti. Lo scrivere lettera dopo lettera, spaziando – come sto facendo ora, e lo spazio mi viene indicato da un puntino tra parola e parola – rinvia al DIGITALE. Se, invece,scrivessi con la penna, oggi una biro, una lettera sarebbe legata ad un’altra al fine di comporre una data singola parola, che – com’è noto – potrebbeessere: un nome, un articolo, un aggettivo, un pronome, un verbo, un avverbio, una preposizione, una congiunzione, una interiezione: la grammatica ci insegna che sono le cosiddette “parti del discorso”: le prime cinque variabili; le altre quattro invariabili. In questo caso, ogni parola significativa è scritta in continuum e rinvia all’ANALOGICO. Voglio essere più chiaro. Se scrivo “Antonio ama Maria”, la sequenza delle parole dà luogo ad un significato. Se, invece, scrivo “Antonio mangiare treno Maria tavolino marmellata”, la sequenza non dà luogo ad alcun significato. Il DIGITALE c’è, ma l’ANALOGICO no. Esiste, però, anche il linguaggio non verbale: una data espressione del volto può significare amore, oppure odio, od ancora, rabbia o stupore. Per non dire, poi, che noi umani siamo bravissimi nella simulazione. Il maschietto potrebbe esprimere non verbalmente un dolcissimo “ti amo” solo per raggiungere un dato risultato. Insomma ogni negoziante indora la merce da vendere.

Chi ora mi legge, può guardare l’orologio che ha al polso. Potrebbe essere ANALOGICO: ma le lancette che si muovono costantemente, anche se molto lentamente, non “diranno” mai l’ora precisa! Se, invece, è DIGITALE, quel minuto scritto è preciso! E dopo solo sessanta secondi appare il minuto successivo. Pertanto, è bene che gli insegnanti della scuola primaria dedichino molta attenzione a come gli alunni apprendono a scrivere, a come prendono la matita o la penna. Che va presa con un dato criterio, con l’incrocio delle prime tre dita, pollice, indice e medio. E devono assolutamente insistere che scrivano in corsivo e non in stampatello. Constato anche – e mi si smentisca se sbaglio – che a scuola le femmine tendono a scrivere con calligrafie tondeggianti; mentre i maschietti sembrano insofferenti alla scrittura manuale e tendono all’uso dello stampatello.

Qualcuno, o meglio il Prof. Gustavo Charmet,psichiatra e psicoanalista dell’infanzia e dell’adolescenza, ha detto che la scrittura è lo specchio dell’anima! Perché “mette in relazione la parte più profonda di noi con il segno che appare sulla pagina. Quante cose si capiscono dalla scrittura di un bambino. Il computer non esclude la penna o viceversa; i linguaggi convivono, non si annullano. E i bambini sono felici di imparare a scrivere, adorano matite, penne, colori, vedere i fogli che si riempiono di segni che corrispondono al loro pensiero. La scrittura ha qualcosa di sacro e di istintivo, sviluppa la manualità sottile, bella o brutta che sia, ed è assurdo pensare di non insegnarla più. I ragazzi alla scrittura ci tengono, eccome: basta ricordare quanto gli adolescenti si esercitano sulla loro firma. E vorrei fare un appello al Ministro della Pubblica Istruzione: far tornare a scuola le penne stilografiche. La stilo è un oggetto del desiderio. Anche per i bambini di oggi”.

Concludendo, è bene che il maestro di una prima classe primaria insista perché il bambino impari in primo luogo a prendere correttamente lo strumento per scrivere, matita e/o penna. Come un insegnante di violino insegna in primo luogo come si prendono lo strumento e l’archetto. Perché il violino? Perché è uno degli strumenti più difficili da imparare a suonare: la correttezza del DIGITALE come condizione della bellezza dell’ANALOGICO.