Il rapporto Moody’s: anche l’istruzione incide sui rating degli Stati sovrani

da Il Sole 24 Ore

di Giuliana Licini

L’istruzione influisce anche sull’affidabilità del credito sovrano e la risposta alle sfide lanciate dal Covid-19 sarà ancora più decisiva. A sottolinearlo è Moody’s. In un rapporto l’agenzia evidenzia come nei prossimi anni il modo in cui gli Stati Ue riusciranno ad adattare i sistemi scolastici ai cambiamenti strutturali dell’economia causati dalla pandemia sarà un elemento chiave per il loro merito di credito. L’istruzione, che Moody’s classifica tra i sei fattori di rischio sociale in materia Esg, incide sui rating sovrani tramite il canale economico e quello fiscale, puntualizza lo studio. La capacità dei sistemi scolastici di rispondere alle richieste del mercato del lavoro è un elemento decisivo per l’occupazione e la produttività, mentre da un punto di vista dei conti pubblici l’istruzione è un settore che in media assorbe il 10% della spesa nella Ue, ma i «costi di breve termine sono accompagnati da implicazioni positive nel medio termine considerando il ruolo del capitale umano nel sostenere la crescita potenziale». Come rileva Olivier Chemia, vice-president di Moody’s e autore del rapporto, «il cambiamento del mercato del lavoro, l’aumento della digitalizzazione e le disparità di istruzione saranno sfide cruciali per i sistemi scolastici europei. La pandemia ha reso la questione ancora più urgente, perché la crisi ha colpito maggiormente i giovani».

Italia in chiaroscuro
Su queste premesse, Moody’s passa in rassegna la situazione scolastica nella Ue ed analizza le posizioni dei singoli Stati. Un esame da cui l’Italia non esce bene: secondo l’agenzia ha “risultati contrastanti”. Da una prospettiva ‘sovrana’ rispetto ai loro sistemi di istruzione, i migliori della classe sono i Paesi nordici, la Polonia e la Slovenia, sia per le competenze degli studenti nelle materie principali nei test Pisa/Ocse, sia per le basse percentuali di abbandoni scolastici. Grecia, Cipro, Bulgaria e Romania hanno, invece, i risultati peggiori. Dal punto di vista delle richieste del mercato del lavoro, Germania, Austria e i Paesi nordici hanno le migliori posizioni grazie ai loro efficienti programmi di istruzione professionale e formazione terziaria. Sul fronte della digitalizzazione la palma va nuovamente ai Paesi nordici e all’Estonia, mentre l’Italia è in coda per le competenze digitali degli adulti, ha una partecipazione degli insegnanti alla formazione Ict sotto la media ed è penultima per l’accesso al pc da casa da parte dei bambini, essenziale in tempi di scuola ‘online’. La Penisola è poi nel plotone di coda per la percentuale di laureati (22,2%) assieme a Romania e Ungheria, è a metà classifica per i risultati dei test Pisa/Ocse (18esimo posto) e per gli studenti che non raggiungono la sufficienza nei test, ma ha una quota di abbandoni scolastici maggiore della media (13,5%). La Penisola è poi all’ultimo posto sui 27 Paesi Ue per l’incidenza della spesa scolastica sulla spesa pubblica totale (8%) ed è nelle ultime posizioni per la spesa rispetto al Pil (3,9%) e ha il tasso di occupazione più basso dei giovani a tre anni dalla conclusione degli studi (50,9%).

Rischio educativo da neutrale a basso
Nell’insieme, comunque, l’Italia si trova tra i Paesi che dal punto di vista Esg hanno un’esposizione al rischio educativo da ‘neutrale a basso’, come la Germania e la Francia. Ma come sottolinea Moody’s, i risultati conseguiti nell’istruzione hanno un impatto chiave sul mercato del lavoro, inclusa la sicurezza del posto e i salari e l’occupazione tende a salire con il livello di istruzione. Per questo, i sistemi di istruzione hanno un’influenza chiave sulle disparità, che possono ampliare o ridurre, con ricadute sia politiche sia sociali.