Ad occhi aperti

Ad occhi aperti

di Maria Grazia Carnazzola

1. Cose della vita.

La vita è una cosa seria, molto spesso tragica, qualche volta comica. I Greci dell’età classica avvertivano profondamente e coltivavano il senso tragico della vita. I Romani, in genere più pratici, non ne facevano una tragedia ma la consideravano una cosa seria: di conseguenza tra le qualità umane apprezzavano in particolare la gravitas e tenevano in poco conto la levitas”. Così l’incipit del pamphlet “Allegro ma non troppo” di Carlo M. Cipolla. Quello che significa tragico non è difficile comprenderlo; così come non è difficile capire cosa vuol dire serio. Meno facile trovarsi d’accordo sul significato di levitas, un termine che ha connotato gli anni del recente passato: tutto doveva essere eisy, smart, friendly… leggero, divertente, non impegnativo. Poi è arrivata la pandemia, largamente preannunciata, mai presa in considerazione per via di quell’illusione di onnipotenza che accompagna la percezione distorta dei fatti narrati dai media e dai social, dove l’opinione- anche quella chiaramente interessata- è sinonimo di verità scientifica, e così ogni “levitas” sembra sparita. Come sia potuto succedere, verrebbe da chiedersi. Succede perché la formazione strategica, quella che permette di confrontarsi con serietà e lucidamente con l’imprevisto, con i problemi che questo genera per risolverli- o quanto meno per ridefinirli- di immaginare situazioni nuove per non farsi travolgere dall’onda degli accadimenti, si è persa di vista. Lo vediamo anche nelle vicende che riguardano la Scuola e l’Università. Cambiano i ministri, poco altro. Si continua a parlare di attività in presenza/ a distanza, di fondi da assegnare alle scuole, di edifici più funzionali. Tutte cose importanti, ma quasi mai ci si chiede che cosa ci vanno a fare bambini e ragazzi a scuola. Serve cambiare paradigma, avere una visione sistemica che permetta di modificare i piani quando non funzionano, ma per farlo bisogna monitorare, verificare, valutare (e lo si fa rispetto alle biforcazioni inattese), mostrando ai ragazzi come si fa. Tra poco è tempo di esami, può essere un momento in cui recuperare la dimensione della serietà senza tragedie: lo dobbiamo ai ragazzi, lo dobbiamo alla società di domani.

2. Investire per il domani.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è lo strumento con il quale l’Italia intraprenderà l’azione di rilancio del Paese, azione connessa alle tre priorità strategiche concordate con L’Europa: digitalizzazione e innovazione- transizione ecologica- inclusione sociale, indicando i nodi strutturali su cui intervenire. Gli assi portanti del Piano saranno investimenti e riforme che il Governo, sulla base delle linee guida europee, predisporrà e presenterà nei termini previsti, indicando gli specifici interventi su Digitalizzazione, Innovazione, Competitività e cultura; Rivoluzione e transizione ecologica verde; Infrastrutture per una mobilità sostenibile; Istruzione e ricerca; Inclusione e coesione; Salute. Tocca alle generazioni adulte, come è ovvio, definire il progetto e creare le condizioni perché il Paese possa ripartire. Ma toccherà ai giovani realizzare quel progetto con gli strumenti, le conoscenze, le competenze necessarie che solo un sistema di formazione-istruzione efficace può fornire in modo diretto o indiretto. Un progetto per sua natura, richiede logiche, tecniche e strumenti che è bene esplicitare, a se stessi in primis, per aver chiaro un possibile percorso e poterlo curvare e/o modificare se ci si accorge che l’ipotesi iniziale non risponde, o non risponde più, agli obiettivi e ai risultati attesi, da accertare con puntualità e da valutare in modo attendibile. Dovranno essere nel tempo punti di attenzione critica, per tutto il percorso:

  • l’attualità, nel corso del tempo, della qualità logica e tecnica del progetto declinata nei diversi aspetti;
  • la fattibilità in relazione alle situazioni future che si verranno a creare, le risorse disponibili, i collegamenti col territorio, le opportunità e criticità dei contesti…;
  • la rispondenza del progetto, nel suo sviluppo, con i bisogni che lo hanno generato e con le inevitabili trasformazioni;
  • la coerenza interna del percorso progettuale nel tempo, per eventualmente aggiustare scelte di metodo, di articolazione, di monitoraggio, di rilevazione dei dati, della rilevazione di elementi non previsti, di validazione, di valutazione. Ma, prima ancora, un progetto- a partire dal presente- postula il desiderio di realizzarlo e la disponibilità al lavoro, alla fatica, alle tensioni legate all’incertezza, dimensione insita nel concetto di futuro. Un buon progetto tiene conto di tutti questi elementi, della loro coerenza interna e del senso/significato in relazione ai tempi di realizzazione. Questo gli adulti devono insegnarlo. Occorre, però, che i giovani abbiano il desiderio e la volontà di impararlo.

3. Abitatori dello spazio/abitatori del tempo

Un sistema fermo da quasi due anni scolastici/accademici causa pandemia, ma che già mostrava vistosamente le sue carenze in precedenza, cosa può fare? Si fa un gran parlare- accennavo prima- di edilizia, di fondi… tutte cose importanti, ma l’educazione è qualcosa di più. Servono sì strutture edilizie adeguate, strumenti e tecnologie efficienti, ma ancora prima e di più ci vogliono docenti efficaci, curricoli situati e valutazioni orientanti. La scuola è importante occasione di vita di relazione, per obiettivi comuni da concretizzare nei risultati da conseguire individualmente e come comunità. Se gli obiettivi hanno a che fare con il futuro e il futuro ha a che fare con il desiderio, non bastano i buoni sentimenti o le buone intenzioni, occorre educare al futuro, non indicando una via ma fornendo gli strumenti per prefigurare le vie possibili e scegliere quella più adeguata al proprio desiderio e al proprio passo; a considerare che non sempre quella più diretta o più veloce è la migliore per modificare la qualità dell’esistenza individuale e sociale, consapevoli che ci si può distrarre al bivio. L’educazione non riguarda solo i problemi scolastici tradizionali come il curricolo, le verifiche e i voti, sosteneva Bruner; quello che un Paese decide di fare della scuola va letto all’interno del contesto e degli obiettivi che una società si propone, che non riguardano solo l’ampiezza e la profondità degli oggetti culturali, ma anche le narrazioni attraverso le quali una cultura fornisce modelli di identità e capacità di azione ai suoi giovani; volontà di azione che si impara facendo. Quale identità si è costruito chi, limitate la possibilità di uscire e di incontrare gli amici, si limita a “prodursi” sui social- come dice Byung-Chul Han- anziché produrre: il concetto di identità soggettiva si combina con quello di identità culturale e fonda il processo formativo. E ancora: se l’identità personale si costruisce anche sui rimandi-conferme e disconferme-degli altri, figure adulte in primis, che rimando si dà quando si abbassa continuamente il livello delle richieste, quando non si chiede alcuno sforzo, quando ci si limita a proporre un insegnamento conservativo basato su contenuti e procedure convenzionali, su compiti sequenzialmente definiti? Già i componenti del Club di Roma nel 1979 hanno messo in evidenza che questo è un tipo di apprendimento necessario ma non sufficiente: funziona perfettamente quando le situazioni sono chiuse e i processi rimangono invariati, ma nelle situazioni impreviste e imprevedibili non funziona perché è basato essenzialmente su processi analitici riconducibili a regole. Un esempio: l’apprendimento conservativo permette di condurre perfettamente l’auto e di regolarsi quando il semaforo è rosso o è verde, ma quando è spento per un guasto ciò che ho appreso non basta. In questi casi serve un apprendimento innovativo che integri e sintetizzi le nuove soluzioni per applicarle a situazioni aperte e a stimoli dissonanti a vari livelli, focalizzando l’attenzione sui cambiamenti necessari piuttosto che su algoritmi da ripetere, spingendo il pensiero a ricostruire i quadri di realtà unificando e non frazionando. Se ci pensiamo bene, nessuno dei problemi globali che ci toccano e che ci toccheranno ancora di più in futuro, può essere compreso o affrontato da una singola scienza, una singola disciplina di insegnamento o essere circoscritto dentro un problema chiuso. Per questo l’insegnamento non può limitarsi all’apprendimento di procedure definite per affrontare problemi consueti, la cui soluzione è valutata dalla comunità scientifica o amministrativa che li propone. Prima si imparano le soluzioni, poi viene la comprensione e da ultimo l’accettazione da parte di tutti. Nella vita reale non funziona così: spesso le soluzioni vengono giudicate prima di essere adottate, mettendo in evidenza l’importanza dei processi decisionali, centrali tanto quanto la convalida della fattibilità tecnica. Quando parliamo di sviluppo delle competenze disciplinari, trasversali o di cittadinanza, parliamo anche di questo. Parliamo di una scuola chiamata ad utilizzare le discipline di studio, i saperi che fondano la cultura e la conoscenza, come strumenti per promuovere lo sviluppo delle competenze necessarie alla comprensione del mondo e della realtà di oggi per potersi pensare nel futuro, assumendosi le responsabilità dei propri errori.
Nelle società sviluppate, come è la nostra, sono incalzanti e impegnative le richieste che alla scuola- e al mondo della formazione in genere- arrivano e arriveranno dalla politica, dai mondi del lavoro e delle produzioni, dalla vita sociale. A queste richieste è necessario rispondere, tenendo fermo lo specifico della scuola che è quello di chiedersi se queste richieste sono motivate da esigenze di crescita e di sviluppo delle persone, della loro autonomia, delle loro capacità di scelta responsabile per un futuro costruito da ciascuno e non per ciascuno. Da qui l’urgenza di formare menti in grado di costruire risposte innovative, di usare il pensiero critico per mutare i quadri concettuali quando necessario, di affrontare problemi vecchi in situazioni nuove che non consentono la sola ripetizione di quanto appreso e conosciuto, ma che deve essere conosciuto così bene da poterlo montare e smontare per adattarlo alle situazioni nuove. Credo significhi questo “formare” per il futuro, vale per chi apprende e per chi insegna: in questo non ci sono maestri e allievi, ma persone che con ruoli e funzioni diverse, e a livelli diversi, cercano di comprendere la multiforme realtà esistenziale utilizzando gli strumenti culturali che quella realtà propone. È l’epoca della complessità, si suole sostenere; la complessità, contrariamente alla complicazione, non si può semplificare, va affrontata in toto senza confondere i fatti con le opinioni, i concetti scientifici con quelli sociologici che devono essere indagati prima separatamente per poterli coniugare.

4. Rituali di chiusura: l’esame di Stato.

Anche per questo anno scolastico l’esame di Stato per la secondaria di secondo grado-come pure quello conclusivo di primo grado, si svolgerà solo in forma orale. Il ministro Bianchi, nel viedeomessaggio rivolto agli studenti, ha sottolineato l’importanza dell’esame, da intendere come momento di passaggio e come diritto ad essere valutati. Ho particolarmente apprezzato queste parole, dopo anni di gioco al ribasso e di mistificazioni. I ragazzi hanno diritto a un rimando corretto, a sapere- rispetto a criteri conosciuti- come si posizionano, quali sono i loro punti di forza e di debolezza restituiti dallo sguardo di adulti di cui si fidano. È un dovere degli adulti aiutare i giovani a trovare una via. La cultura del nostro tempo vuole occhi aperti e solo gli adulti possono aiutare a vedere oltre l’intorno per prefigurare nuove qualità della vita, nuovi modelli di esistenza e di cittadinanza sociale. Quando parliamo di sviluppo sostenibile, parliamo anche di questo. Mi auguro che l’elaborato che sarà assegnato dal Consiglio di classe permetterà a ciascuno di misurarsi, per dimostrare quello che sa fare evitando un semplice copia-incolla. L’Agenda 2030 può rappresentare un elemento di riferimento centrale per l’individuazione dei temi/ focus di ricerca e di argomentazione, circoscritti ma generativi. Per i docenti un’occasione per rileggere i saperi disciplinari alla luce dei problemi dell’oggi. Per i ragazzi una sfida vera che, riproducendo un inizio e una fine, commisurando la durata allo scopo, ritualizza il compito e il tempo dell’impegno e della responsabilità, della distinzione tra ciò che si è, ciò che si sa, ciò che si fa e si può fare. “I riti sono nella vita quello che le cose sono nello spazio” per dirla con A. de Saint-Exupéry, danno una struttura stabile al tempo, lo aggiustano, lo organizzano rendendolo abitabile, evitando che il presente si esaurisca in una sequenza di episodi che precipita in avanti senza significato né senso. Non sono solo parole. Basterebbe pensare a come il tema delle terre rare può portare a una rilettura della tavola degli elementi di Mendeleev, a una rilettura in chiave sociopolitica dello sfruttamento delle risorse, stimolando e supportando i ragazzi a un lavoro serio di conoscenza in profondità, per comprendere …per fare un esempio.

BIBLIOGRAFIA

Cipolla C.M., Allegro ma non troppo- Le leggi fondamentali della stupidità umana, Il Mulino, Milano 1988; Bruner J., La cultura dell’educazione, Feltrinelli Editore, Milano1997;

J.W Botkin, M.Elmandjra, M.Malitza, Imparare il futuro: apprendimento e istruzione-Settimo rapporto al Club di Roma, Mondadori, Milano 1979;

B. Chul-Han, La scomparsa dei riti, Nottetempo Edizioni,Milano 2021; E. Morin, La via per l’avvenire dell’umanità, Cortina, Milano 2012;

M.I. Ordinanza n. 53- Esami di Stato nel secondo ciclo di istruzione- 3 marzo 2021.