Non siamo maturi per l’Autonomia

NON SIAMO MATURI PER L’AUTONOMIA

di Gian Carlo Sacchi

 

Il termine della legislatura impone uno stop a tutti i provvedimenti, ma la ripresa dell’attività parlamentare potrebbe essere abbastanza rapida; un lasso di tempo utile ad un’approfondita riflessione in merito a quanto si è registrato sulla stampa e nei movimenti dell’opinione pubblica, soprattutto giovanile, da consegnare magari ad altri parlamentari per proseguire un lavoro indispensabile all’ammodernamento della governance degli istituti scolastici.

Un armamentario burocratico fermo a più di quarant’anni fa, centrato sulla rappresentanza, ma non sull’autonomia, che in tutti questi anni si è dimostrato sempre più carente nella reale partecipazione.

Lo scorrere del tempo ha visto il riconoscimento dell’autonomia scolastica con il conferimento della personalità giuridica alle scuole, che tuttavia necessitano ancora di adeguata rappresentanza; la riorganizzazione della funzione dirigenziale come ruolo di garanzia pubblica, tra la comunità e l’istituzione (se il dirigente scolastico deve essere un leader educativo nessuno lo nega, ma trattasi di un problema pedagogico); il riordino costituzionale del sistema in senso decentralistico fino ad arrivare al federalismo fiscale.

Insomma la scuola rimane una parte della Repubblica, presente nella riforma del titolo quinto della Costituzione, svolge la sua “funzione” sul versante della promozione culturale e della crescita delle persone, ma lo fa a partire dal territorio nel quale opera, integrandosi con le altre risorse educative presenti, ricercando soluzioni didattiche, organizzative, e di sviluppo professionale autonome, in grado cioè di ricercare efficacemente il raggiungimento degli obiettivi/standard istituzionali, per i quali verrà sottoposta a valutazione.

Abbiamo abbondantemente sperimentato che l’uguaglianza delle opportunità non vuol dire omogeneità nell’azione, il che nel nostro Paese ha contribuito ad aumentare la disequità. Autonomia dunque non è ulteriore squilibrio, il che si otterrebbe con la privatizzazione, ma è il tentativo di andare verso un riequilibrio se lo Stato svolgesse compiti di indirizzo e di verifica, stabilendo i “livelli essenziali delle prestazioni”, e lasciasse la gestione alle realtà del territorio: al “sistema delle autonomie” locali, sulla quale innestare una robusta professionalità garantita dallo stato stesso ma amministrata dalle regioni e degli “organici di istituto” e di rete.

E’ qui che ha preso forma la proposta di legge sull’autogoverno degli istituti scolastici, con buone intensioni bipartisan, ben presto però abbandonata da tutti, approvata in sede legislativa dalla Commissione cultura della Camera. Non vogliamo prestarci ad inutili insinuazioni sulle etichette che le sono state attribuite (ex Aprea….), ma semplicemente far presente che la personalità giuridica si è rivelata insufficiente per garantire autonomia alle scuole e che è “l’autogoverno” il dispositivo che può consentire loro di poter interpretare ed agire nella realtà, rimanendo ben salde nel sistema nazionale, il quale però non ha provveduto ad applicare i nuovi indirizzi costituzionali.

E’ rischioso e complicato mettere le scuole in una prospettiva statutaria, ma perché allora si è fatta la battaglia a difesa dell’autonomia statuaria delle università contro il centralismo gel miniano: sono diversi gli obiettivi politici ? L’elaborazione di uno statuto non deve essere la copiatura un facsimile ministeriale, ma il rilancio della partecipazione, delle giuste garanzie a tutte le rappresentanze nell’orizzonte di una collaborazione per la realizzazione di un’efficiente comunità che sappia interagire con la più ampia comunità sociale e civile, come già avevano affermato i decreti del 1974. L’inserire persone esterne negli organi di governo fa parte di questo dialogo (si pensi al peso che dovrebbero avere i comitati scientifici nell’istruzione tecnica e professionale e le Fondazioni che stanno alla base degli Istituti Tecnici Superiori), così come ricercare risorse sul territorio, cosa peraltro che già avviene, in un regime anche di sgravi fiscali. Tutto ciò non turba gli equilibri interni, che rimangono ancorati alle componenti fondamentali della comunità stessa.

Lo Stato deve offrire la possibilità, con una legge che rientra in quelle che il predetto titolo quinto considera “norme generali sull’istruzione”; sono gli statuti a declinare l’identità ed a fornire l’indirizzo della scuola. L’inghippo purtroppo c’è ancora ed è dato dagli strumenti di controllo degli atti, di vigilanza sugli organi e dai vincoli di bilancio, questi fanno ancora parte dell’ancien regime.

E’ dall’interno della scuola che si deve agire non solo per garantire (criterio paritetico e presidenza dell’organo di indirizzo ad un rappresentanze dei genitori) ma per motivare le componenti al pieno esercizio delle loro prerogative, in primis favorendo la libertà di insegnamento ed investendo sulla qualità della stessa. Statuto e regolamenti fondano i presupposti per l’esercizio del “patto” educativo tra docenti, studenti, famiglie e comunità locale.

La possibilità di realizzare assemblee degli studenti stessi è prevista dall’art. 7 del provvedimento, insieme ad altre iniziative che già da oggi sono alternative ad esse, ma che comunque devono rimanere nel dominio degli organi di governo della scuola stessa.

L’organizzazione didattica è resa più flessibile, sia in sede di progettazione che di valutazione, in modo da ruotare più attorno agli alunni che non ad ipotetiche classi, alle competenze che non alla media dei voti delle discipline, in coerenza con le caratteristiche di profili in uscita previsti dallo Stato, presenti nelle indicazioni nazionali per i diversi gradi e indirizzi scolastici e sulla base delle linee didattiche, educative e valutative definite dal consiglio dei docenti.

Se pensiamo all’introduzione di nuclei di valutazione delle scuole e non semplicemente del servizio
dei docenti, allora bisogna davvero realizzare l’autonomia, altrimenti si otterranno delle sovrastrutture, mentre è necessario, proprio anche per le direttive che vengono fornite dallo stesso Governo per il sistema nazionale di valutazione, collegare la valutazione interna con quella esterna. Un rapporto ed una giornata di comunicazione dei risultati del lavoro scolastico saranno strumenti e momenti di un sempre più importante “bilancio sociale”.

La legge contiene per la prima volta nel nostro ordinamento un percorso che garantisce la rappresentanza delle scuole autonome, a livello locale e via via fino a quello nazionale. Il Capo secondo ci offre una modalità di rappresentazione e di funzionamento di un sistema integrato dove lo Stato, le Regioni e le scuole autonome mettono in atto relazioni di sostegno e sviluppo del nostro sistema nazionale, articolato sui territori, con l’impegno di tutelare la libertà di insegnamento, l’autonomia delle stesse istituzioni scolastiche e la qualità complessiva della scuola italiana. Da qui trae origine tutta la legislazione regionale “concorrente”, così come previsto dal più volte citato titolo quinto.

Si potrà in tal modo valorizzare il contributo delle associazioni delle scuola autonome, che già si sono costituite spontaneamente, con maggiore capacità propositiva delle semplici reti di servizio, controllate ancora dall’amministrazione scolastica.

Questo è il percorso che potrà offrire definitivo consolidamento all’autonomia selle scuole e le porrà in dialogo con le autonomie territoriali per quanto riguarda più in generale i servizi educativi, scolastici e formativi, in una prospettiva europea.

Certo migliorare è sempre possibile, ma speriamo che riparta tra breve l’iter per giungere ad una nuova governance. Sarà bene tuttavia non confondere questo problema particolare, ancorché di importanza strategica, con tutti i guai che oggi affliggono la nostra scuola e che sono state la causa scatenante di tante proteste nelle quali è entrata a fare bellicosa mostra l’ex Aprea.

Si è anche sentito sparare su questo testo e dire di volere l’autonomia, ma la contraddizione vera sta da un lato nel confondere autonomia con privatizzazione, che qui non si vuole, e dall’altro nell’indebolire la cultura delle autonomie locali, compresa quella scolastica, appoggiando la spending review del Governo che si consacra oltremodo centralista.

Attendiamo i nuovi parlamentari, ma a giudicare dai tanti pezzi di autonomia rimasti incompiuti si può pensare davvero che non siamo maturi.