Compensi accessori

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Sull’ultima nota del Ministero dell’Istruzione relativa ai compensi accessori

Francesco G. Nuzzaci

1. La perdurante emergenza pandemica che ha impegnato il Ministero dell’istruzione in ben altre priorità è la spiegazione più plausibile del ritardo con cui il Capodipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione ha emanato la nota prot. 594 del 20.04.2021 sull’accesso delle associazioni sindacali ai nominativi dei fruitori di compensi a carico del fondo d’istituto; che riprende, in termini più distesi rispetto alla precedente n. 2165 del 18.01.2021, sempre il parere del Garante per la protezione dei dati personali (reso con nota prot. U0049472 del 28.12.2020).

E, secondo quella che è pur sempre un’Autorità amministrativa, non sussiste per le associazioni sindacali un immediato e generale diritto di accesso ai compensi accessori percepiti dal personale della scuola in regime di contrattazione integrativa d’istituto; alle quali, “sotto il profilo squisitamente contrattuale”, potrebbe essere reso disponibile il solo ammontare complessivo della somma effettivamente corrisposta, ripartita per fasce o qualifiche, senza comunicare i nominativi e gl’importi erogati individualmente. Ciò perché – e per l’appunto –  il vigente CCNL di comparto 2016-2018, applicabile ratione temporis, nell’articolo 22 ha regolato ex novo le materie oggetto di informazione, non figurandovi più i nominativi del personale utilizzato nelle attività e progetti retribuiti con il fondo d’istituto, come invece sanciva l’articolo 6 del precedente CCNL del 29 novembre 2007.

Con il cheil Garante ha dato mostra, se non d’ignorarla, di attribuire una valenza minimalista alla sentenza del Consiglio di Stato n. 4417 del 20.07.2018, che esprime l’opposto principio di carattere generale a far leva sull’interesse e sulla legittimazione dei sindacati di avere tutte le informazioni sui compensi accessori nominativamente attribuiti al personale siccome strumentali alla sua piena tutela.

Tale principio, per il supremo giudice amministrativo, è fondato su un’interpretazione sistematico-teleologica delle disposizioni contrattuali, che riconoscono al Sindacato, così come ai soggetti collettivi che rappresentano in loco i lavoratori, la piena disponibilità delle informazioni necessarie a consentire loro “la verifica dell’attuazione della contrattazione integrativa d’istituto sull’utilizzo delle risorse”,  chiarendo qui che “nel conflitto fra il diritto di accesso e il diritto alla riservatezza deve essere data prevalenza al primo”.

Sulla scia di quello che può definirsi diritto vivente, e che presumibilmente orienterà le decisioni dei giudici di lavoro direttamente aditi per sentirsi pronunciare dichiarazioni di comportamento antisindacale, Il TAR per il Friuli Venezia Giulia, con sentenza n. 42 pubblicata il 03.02.2021, ha statuito che il fatto per il quale nel vigente CCNL 2016-2018 non sia stato previsto alla lettera il diritto dei sindacati – e della RSU d’istituto – a prendere cognizione piena dei dati personali inerenti i compensi percepiti a carico del fondo d’istituto non può considerarsi dirimente. Ciò perché il suddetto diritto ben può essere inferito in via interpretativa per l’indubitabile nesso di causalità esistente tra le “informazioni e l’esercizio (pieno) delle relazioni sindacali”.

Né può fungere da ostacolo alla completa discovery documentale la presenza di nomi dei lavoratori coinvolti, che vedrebbero compromesso il loro diritto – non assoluto – alla  riservatezza; poiché sui soggetti sindacali graverà pur sempre l’obbligo, per l’innanzi proprio dell’istituto scolastico che custodiva la documentazione richiesta, di non divulgarne/diffonderne il contenuto, se non nelle sedi istituzionali e a misura di stretta indispensabilità per il perseguimento dei fini figuranti nel proprio statuto (ex art. 24, comma 7, legge 241/1990).

2. In via incidentale – ma ben potendo ricorrere l’evenienza – quanto reso poc’anzi con obbligata sintesi non vale se la richiesta di avere cognizione analitica di nominativi e compensi accessori, o della loro pubblicazione, venga avanzata da sigle sindacali non rappresentative. Ciò perché, pur portatrici di interessi pubblici o diffusi, difettano qui dell’interesse diretto, concreto e attuale ad accedere agli atti siccome funzionalmente collegati alla “verifica dell’attuazione della contrattazione integrativa d’istituto sull’utilizzo delle risorse”: in ordine alla quale sono prive di titolo per interloquire con l’Amministrazione. Sicché l’eventuale istanza di accesso documentale è inammissibile, mancando i presupposti necessari per poterla corrispondere.

Né possono, le sigle sindacali non rappresentative, avvalersi della disciplina dell’accesso civico, di cui al D. Lgs. 33/2013 e integrato dal D. Lgs. 97/2016 sull’accesso civico generalizzato, noto con l’acronimo FOIA (Freedom of Information Act); che esclude dalla pubblicazione, ai sensi dell’articolo 24 della legge 241 del 1990, oltre ai documenti protetti dal segreto di Stato e dal segreto d’ufficio (tassativamente indicati), anche quanto attiene alla protezione dei dati personali ex D. Lgs. 196/2003.

Ciò è a dire che l’accesso civico non può essere surrettiziamente utilizzato per superare i limiti della legge 241/1990 sull’accesso documentale, ovvero per pretendere di controllare in modo indistinto, generalizzato e generico l’azione della pubblica amministrazione, siano presenti o meno meri intenti emulativi.

3. Venendo al punto conclusivo e prioritario, ci si domanda come deve allora determinarsi il destinatario di una richiesta di tutta la documentazione sui compensi accessori erogati al personale e inerenti nominativi, che provenga da singole associazioni sindacali aventi titolo alla contrattazione integrativa d’istituto o dalla Rappresentanza sindacale unitaria dell’istituzione scolastica nella sua dimensione collegiale.

La risposta è fornita dalla stessa nota ministeriale ultima, nel punto in cui riporta nella sua parte finale il parere del Garante che comunque “fa salva l’applicazione della ordinaria disciplina che regola la conoscibilità degli atti amministrativi e, in particolare, il ricorso agli istituti dell’accesso agli atti di cui alla legge 241/1990 e al d. lgs. 33/2013 (che però qui c’entra punto o poco: ante), nei limiti e in presenza dei presupposti di legge, la cui valutazione è rimessa a ciascuna istituzione scolastica”. Quindi la procedura che suggeriamo ai dirigenti scolastici è:

  1. acquisire formale richiesta di accesso agli atti da parte del sindacato e/o della RSU;
  2. ricevutala, disporre il canonico avviso ai soggetti controinteressati, ovvero coloro cui siano stati attribuiti compensi accessori, incluso il bonus premiale ex legge 107/2015;
  3. attendere che si consumino i dieci giorni di tempo perché questi possano far pervenire eventuali opposizioni;
  4. consentire l’accesso non oltre trenta giorni dalla richiesta, motivando il perché abbia disatteso le predette eventuali opposizioni (ex art. 3 del D.P.R. 184/2006, regolamento di attuazione della legge 241/1990 in materia di accesso agli atti).

Certamente, è ben possibile che le associazioni sindacali locali – autonomamente o su pressione della RSU d’istituto, previa diffida al dirigente scolastico per un accesso diretto e immediato e non corrisposto nei tempi significati – lo denuncino per comportamento antisindacale davanti al giudice del lavoro, ai sensi dell’articolo 28 della legge 300/1970.

In tale ipotesi – tutt’altro che improbabile e non del tutto priva di fondamento giuridico – è però pur vero che chiamato in causa è il Ministero dell’istruzione (arg. ex art. 14, comma 7-bis del D.P.R. 275/1999 e s.m.i.), senza che poi possa esercitare alcuna azione di rivalsa né di natura disciplinare, potendo il dirigente scolastico dimostrare di essersi semplicemente rimesso alle indicazioni della propria Amministrazione.