Quel che non è stato detto…

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Quel che non è stato detto e che il ministro attende di sentirsi dire

di Fancesco G. Nuzzaci

1. Nell’incontro tenutosi con il ministro Bianchi il 7 maggio, trasmesso in diretta streaming e riascoltabile su https://www.youtube.com/watch?v=NYJqDeuPz5w, le sigle sindacali FLC CGIL, Cisl Scuola, Uil scuola RUA e SNALS Confsal, come corpo unico e a una sola voce, gli hanno esposto le problematiche della dirigenza scolastica.

Si è parlato di rinnovo del CCNL, che dovrebbe realizzare il completamento della perequazione retributiva rispetto alle dirigenze di pari seconda fascia presenti nella composita area Istruzione e Ricerca e nell’area delle Funzioni centrali (dove sono collocati i dirigenti amministrativi e tecnici del Ministero dell’istruzione); delle questioni legate alla definizione degli organici (dovendosi assicurare a ogni istituzione scolastica un proprio DS e un proprio DSGA) e alla mobilità sia regionale che interregionale, per un celere rientro degli esiliati; della rivisitazione della normativa sulla sicurezza a scuola per sollevare i dirigenti dalle pesanti responsabilità per carenze e inadempienze degli enti locali proprietari degli edifici e tenuti alla loro manutenzione; delle molestie burocratiche riversate sulle scuole, costrette a defatiganti adempimenti impropri; del mancato supporto delle strutture periferiche dell’Amministrazione; e di altro ancora.

Nella replica il ministro ha evidenziato alcune misure già attuate e richiesto la propositiva collaborazione degli interlocutori sugli altri necessari percorsi da intraprendere per la soluzione delle segnalate criticità, tutti integranti il Patto per la scuola al centro del Paese, in via di sottoscrizione con le diverse confederazioni sindacali.

E proprio riguardo alla propositiva collaborazione ha egli manifestato la propria sorpresa per non essere stata profferita neanche una parola su due argomenti di non poco momento: i collaboratori dei dirigenti scolastici, altrimenti detto Middle Management, e il reclutamento e formazione del personale, includenti i dirigenti scolastici. E dunque attendendosi che una parola ci sia, su un articolato testo scritto e in tempi brevi.

Le sollecitate sigle sindacali presumibilmente vi provvederanno entro i quattro giorni richiesti. Ma intanto proviamo a ri-dire la nostra sui due temi e invertendone l’ordine a mero scopo espositivo.

2. Confortati dalla lettura delle linee programmatiche del suo ministero, che il prof. Bianchi ha esposto nell’audizione tenutasi il 4 maggio u.s. davanti le commissioni VII di Camera e Senato congiunte, restiamo fermi su alcuni punti basilari.

2.1. Una pubblica amministrazione efficiente – e pubblica amministrazione è ogni singola istituzione scolastica, ex art. 1, comma 2, D. Lgs. 165/2001 – senza dubbio richiede di attivare e implementare organici sistemi di reclutamento, conformi a Costituzione e senza scorciatoie o sanatorie variamente camuffate e finanche in assenza dei titoli di studio prescritti dalla legge, ora richiamandosi a ragione giustificante l’emergenza; seguiti da mirati percorsi di formazione e ricorrente aggiornamento di tutto il personale: dai dirigenti ai collaboratori scolastici e ulteriori figure di affiancamento e supporto, perché possa compiutamente adempiersi ai sempre più eterogenei compiti significati dalla normativa.

In particolare, per chi deve dirigere le istituzioni scolastiche, vanno rivisti i requisiti di accesso, pur mantenendosi la provenienza dalla docenza, evidentemente finché piaccia al Legislatore assicurare la confidenza con i processi educativi, l’affinità di linguaggio con i professionisti della formazione che si devono coordinare, la familiarità con i peculiari contesti organizzativi (P. ROMEI).

Al riguardo va ripristinato il sistema di reclutamento nazionale con affidamento al Ministero dell’istruzione, inteso nella sua struttura centrale, di certo non fondato su quiz a risposta multipla o su quesiti la cui soluzione sia contenuta entro un tot righi e in tempi cronometrati.

Già  previsto dal decreto legge 104/2013 e legge di conversione 128/2013, sperimentato nell’ultimo concorso, lo si è poi  improvvidamente restituito al livello regionale dal decreto legge 126/2019  e legge di conversione 159/2019, col solo effetto d’irrigidirlo, senza alcuna esigenza di sistema,incardinandolo negli uffici scolastici regionali: e con il fondato rischio  di dover ri-registrare le abnormi difformità dei criteri di valutazione e di conseguenti graduatorie chilometriche (magari poi trasformate in permanenti) ovvero talmente esigue da non poter coprire i posti – localmente – messi a concorso, in disparte la reviviscenza di possibili spinte clientelari e/o di veri e propri fenomeni corruttivi.

2.2. Ancor più grave, seppure non immediatamente percepibile, è lo svilimento della dirigenza scolastica – la più gestionale tra le dirigenze pubbliche – per essere stata sottratta a ogni rapporto, quanto meno nella formazione, con la Scuola Nazionale dell’Amministrazione, dotatadi expertise nelle materie di carattere manageriale, di sviluppo delle risorse umane, di innovazione e digitalizzazione, nonché finanziarie-economico-statistiche, e in senso lato riferibili alle scienze dell’organizzazione: tutte attingenti quelle competenze di regola non adeguatamente possedute da chi proviene dalla funzione docente e nella cui nuova veste non gli si richiede di essere – riduttivamente – un semplice coordinatore della didattica.

Se si condivide l’assurdità di collaboratori scolastici che diventano, per contratto o per semplici intese, assistenti amministrativi e assistenti amministrativi che diventano DSGA, si stimerà che non è meno assurdo pensare, e pretendere, che ora un “semplice concorso per titoli ed esami” – com’è scritto nella relazione tecnica al menzionato decreto legge 126/2019 – basti a formare un dirigente “a tutto tondo e onnisciente, che deve cioè sapere di pedagogia, di organizzazione aziendale, di psicologia, di contabilità, di relazioni sindacali, di gestione del personale, di anticorruzione, di gestione dei sinistri scolastici, di polizze assicurative, di gare e appalti, di finanziamenti comunitari, di contratti pubblici, di relazioni con gli enti locali poco collaborativi (e sovente latitanti e arroganti), di accesso agli atti e trasparenza, di privacy, di gestione di dati sensibili, oltre a relazionarsi ogni giorno con docenti, alunni e genitori sempre più invasivi”(V. TENORE, Il  dirigente scolastico e le sue competenze giuridico-amministrative, Anicia, Roma, 2017, p. 27 ).

2.3. Accanto al reclutamento e alla formazione si pone l’irrisolto – e pare irresolubile –  problema della valutazione. Sul quale le quattro sigle sindacali hanno completamente glissato.

L’ultimo organico intervento legislativo in materia – D. Lgs. 150/2009, c.d. riforma Brunetta, sulla valutazione della performance sia individuale che della struttura organizzativa e sull’attribuzione di meriti e premi – esclude (art. 74, comma 4) “il personale docente della scuola”, nella a tutt’oggi vana attesa di un decreto della Presidenza del Consiglio, di concerto con i ministeri dell’Istruzione e delle Finanze, che detti i limiti e le modalità di applicazione dell’apposito dispositivo rispetto alla disciplina generale: presumibilmente con riferimento implicito all’articolo 7, comma 2 del D. Lgs. 165/2001, c.d. testo unico del pubblico impiego, a tenore del quale “Le amministrazioni pubbliche garantiscono la libertà di insegnamento e l’autonomia professionale nello svolgimento dell’attività didattica, scientifica e di ricerca”.

Ma il coriaceo, presunto impeditivo, mantra della libertà d’insegnamento non può significare la sottrazione delle prestazioni professionali dei docenti a ogni forma di apprezzamento, in positivo o in negativo. Anche, e soprattutto, perché essa non si configura affatto alla stregua di diritto soggettivo assoluto (ius excludendi alios), essendo all’opposto, per legge, qualificata in termini di funzione (art. 395, D. Lgs. 297/1994) e tale figurando nello stesso contratto collettivo nazionale di lavoro (art. 27 CCNL per il triennio 2016-2018), vale a dire come complesso di facoltà, che combinano diritti e doveri, obbligatoriamente – e correttamente –  esercitabili per la realizzazione di un diritto altrui.

Siamo sempre convinti che questa persistente omissione deve essere sanata, dopo che si è sostanzialmente dissolto il surrogato – sperimentale, ad tempus – costituito dal c.d. bonus premiale, messo a punto dalla legge 107/2015 con non poche dosi d’improvvisazione.

Per contro, non esiste e non è prevista una norma speciale per la valutazione del personale amministrativo-tecnico-ausiliario, che può agevolmente essere condotta assumendo a canovaccio il mansionario contrattuale; mentre per la dirigenza scolastica è imposta dalla legge, come per tutta la dirigenza pubblica, ma tuttora inattuata e sostituita da cervellotici iperconcettuosi caravanserragli eternamente sperimentali e scientemente costruiti per farli fallire, perché aventi il duplice fine di legittimare a tempo indeterminato esperti o presunti tali – anche ex colleghi annidatisi nelle comode stanze di viale Trastevere, comprensibilmente  restii al rientro nell’anonimato della ben più faticosa e meno remunerata trincea – e nel contempo di suggellare con l’indelebile marchio di una dirigenza dimidiata quella che, ipocritamente, si ammanta  di sublime specificità.

È perciòpienamente legittimo, e indilazionabile, pretendere che i dirigenti scolastici siano valutati in base alle generali coordinate prescritte dalla normativa primaria esistente, con gli aggiustamenti di stretta indispensabilità affinché non la snaturino; che dovranno figurare nel provvedimento d’incarico e annesso contratto individuale di lavoro. Per cui il Ministero poteva, e può, sempre e per tempo formalizzare la proposta di un modello di valutazione e su cui far seguire l’immediato – serio, secondo le modalità codificate nel CCNL – confronto. Di modo che la retribuzione della dirigenza scolastica, così come avviene per tutte le altre dirigenze pubbliche, oltre a dover essere perequata nella posizione di parte variabile, possa completarsi con la voce accessoria della remunerazione di risultato se in esito a una valutazione positiva: una voce a tutt’oggi amputata e sostituita da una mancia con criteri di mero automatismo, quantificata – si fa per dire! – con riferimento alla fascia di complessità dell’istituzione scolastica cui si è preposti (criterio invece legittimo, e sensato, per determinare l’importo della poc’anzi menzionata posizione di parte variabile) e di consistenza così infima da essere corrisposta in un’unica soluzione annuale.

3. Parimenti, non è più procrastinabile, nella riconfigurazione dell’intera governance delle istituzioni scolastiche, l’incardinamento nelle medesime – per legge, anche recuperando i contenuti di non poche proposte affacciatesi nell’ultimo ventennio – di un middle management fin qui accanitamente osteggiato in nome di una malintesa unicità della funzione docente, ovvero istituzionalizzare figure intermedie di comprovata specifica professionalità, in luogo di quei labili surrogati, varie ed eventuali, abusivamente introdotti nei contratti collettivi nazionali di lavoro del comparto scuola.

Un middle management va primariamente impiantato sul versante della didattica, per esercitare precise funzioni, con ampi poteri istruttori e correlate responsabilità, nel quadro dell’unità d’indirizzo del dirigente scolastico, che così potrà azionare i suoi poteri di impulso-coordinamento-controllo sulla prestazione fondamentale – l’insegnamento: recte, l’organizzazione dell’insegnamento – senza disperdersi in dettagli operativi, di spicciola o minuta manutenzione, nelle quotidiane urgenze rappresentategli e sempre per la decisione di ultima istanza. E senza potersi rifugiare – anche volendolo – in quel mostro della burocrazia difensiva.

Occorre, insomma, superare il modello a pettine: un vertice cui formalmente è intestato ogni potere decisorio, con relative responsabilità, a fronte di una massa indistinta e fungibile che non si assume nessuna specifica responsabilità e non ne risponde, potendo in qualunque momento tirarsi liberamente fuori.

Indubbiamente, un passo avanti, lungo un percorso da sempre accidentato, si è avuto con la citata legge 107/2015, il cui comma 83 consente al dirigente scolastico di costruirsi uno staff di supporto sia alla didattica che, estensivamente, all’organizzazione, impegnando sino al 10% dei docenti dell’organico dell’autonomia. Ma non c’ènessuna garanzia che ogni istituzione scolastica abbia le figure di cui necessita, né che le stesse posseggano adeguate competenze, anche per l’assenza di differenziati, e istituzionalizzati, percorsi formativi ad hoc.

Un’autentica inversione di tendenza occorre invece nei riguardi della stessa legge sulla Buona scuola, che, in concorso con la legge 190/2014, ha desertificato il personale ATA, nel mentre è imprescindibile rinforzarlo e qualificarlo, a cominciare dal DSGA. Devesi infatti considerare che la gestione amministrativa e contabile e i correlati adempimenti inerenti la contrattualistica, la gestione della sicurezza, l’attuazione della trasparenza e dell’accesso agli atti…, che assorbono il dirigente, solo coadiuvato dal DSGA, non è la soluzione più idonea per il corretto funzionamento gestionale delle scuole autonome. Trattandosi di ambiti involgenti non improvvisate competenze professionali, queste dovrebbero essere presidiate da una tecnostruttura servente sotto la diretta responsabilità del DSGA, vincolato agli indirizzi e alle direttive di massima del dirigente scolastico, e che si avvale di personale appositamente selezionato per concorso: dai prefigurati, e rimasti virtuali, coordinatore amministrativo e coordinatore tecnico, ai riqualificati assistenti amministrativi e assistenti tecnici, sino ai collaboratori scolastici il cui profilo dovrebbe parimenti essere rivisto.

Liberato dalle tante incombenze improprie, ma pure necessarie della burocrazia, il dirigente scolastico potrà concentrarsi sull’organizzazione dell’attività educativa e didattica nei luoghi istituzionali predisposti dall’ordinamento: nel Consiglio d’istituto, nel Collegio dei docenti, nei consigli di classe e nei dipartimenti, ovvero nei gruppi di progetto o nei gruppi di studio, di ricerca-azione; e potrà seguire in maniera sistematica la suddetta attività didattico-educativa per apprezzarla sulla scorta di coordinate di natura tecnica-professionale deducibili dalle fonti normative, siccome contestualizzate e formalizzate nei documenti programmatici e progettuali dell’istituzione scolastica. Così dandosi tra l’altro un innegabile senso alla sua obbligata provenienza dalla funzione docente.

Va inoltre considerato che l’introduzione, a livello di sistema, del middle management aprirebbe prospettive di carriera (non solo) ai docenti, atteso che non pare che abbiano poi tanto interesse per l’unico percorso oggi disponibile, se ai concorsi a dirigente scolastico – non ingannino i numeri, all’apparenza straripanti – fa domanda di partecipazione meno del 5% della potenziale platea, e tra i vincitori – ultimo e inusitato fenomeno – non pochi rinunciano appena hanno contezza della difficoltà e delle responsabilità nell’essere gli unici dirigenti universali nel panorama della restante dirigenza pubblica e peraltro a fronte di una retribuzione di neanche la metà di quanto percepito dai colleghi dirigenti amministrativi, felicemente generici e non specifici, e dai dirigenti tecnici di pari seconda fascia e dipendenti dal medesimo datore di lavoro (Ministero dell’istruzione), benché, in quanto soggetti non apicali di pubbliche amministrazioni, privi della congerie di responsabilità che invece incidono, e sommergono, i figli di un dio minore.