Scrutini scuola Primaria: la nuova valutazione cambia la programmazione e il dialogo con le famiglie

da OrizzonteScuola

Di redazione

Rino Coppola, membro del direttivo de La Casa degli Insegnanti –  Molte voci infastidite si sono alzate a commento delle nuove norme sulla valutazione introdotte nel corso di questo disgraziato anno scolastico. Le critiche maggiori si riferivano alla scelta del momento, in cui l’attenzione e l’impegno erano catalizzati dalla pandemia.

Maliziosamente la si potrebbe definire una riforma strisciante, scivolata tra formazione emergenziale e rischi di chiusure, ovvero attraverso angoscia e incertezza che non sono parenti della lucidità.

Lentamente la fisionomia della riforma, dapprima confusa e controversa, è emersa qualificandosi come un sistema coerente ed estraneo al vecchio meccanismo dei voti o della sufficienza e dell’insufficienza.

Durante il primo quadrimestre abbiamo continuato a dare voti numerici mentre si diffondevano le informazioni sulla nuova valutazione.

Molte scuole hanno tentato la quadratura del cerchio pubblicando tabelle di conversione dei voti in giudizi e/o livelli, per rendere la transizione più semplice e comprensibile.

Molti insegnanti si sono aggrappati alla tabella come fosse la Pietra di Rosetta, senza rendersi conto che quel che occorre non è una corrispondenza tra voti espressi in lingue diverse, ma l’indagine e la comprensione di un’altra modalità comunicativa e di un diverso significato di valutazione.

Come è accaduto per la DAD anche in questo caso possiamo cogliere dei vantaggi da questa vicenda che coinvolge direttamente la Primaria, ma pone interrogativi e problemi alla funzione docente nel suo insieme

Nel caso della DAD, dopo lo smarrimento iniziale e le prime sperimentazioni, abbiamo scoperto che c’erano once preziose al fondo del setaccio: competenze digitali, dispositivi, applicazioni, posture mentali, capacità di sintesi… sono solo alcuni degli aspetti su cui abbiamo registrato miglioramenti.

Nel caso della modifica del sistema di valutazione della Primaria, dopo mesi di limitazioni e difficoltà imposte agli studenti dalla pandemia, è stato ufficialmente chiesto di non respingere nessuno a fine anno, e si sono cercate agevolazioni, semplificazioni, espedienti didattici per compensare, aiutare, supportare.

La parola d’ordine era non traumatizziamo ulteriormente i bambini con i “brutti voti”. In questo clima da sospensione del giudizio o di amnistia docimologica, la nuova valutazione ha sì, suscitato perplessità, malesseri, critiche e sarcasmo, ma non una reale opposizione, e ha potuto implementare il sistema scolastico, condizionare le segreterie, arrivando a interloquire con le famiglie per farsi accettare e legittimare.

Abbiamo accolto le Linee Guida, seguito i webinar e adeguato le “pagelle” impegnandoci a organizzarci meglio per il secondo quadrimestre e l’anno prossimo. Ho l’impressione che tutto ciò sia avvenuto senza entusiasmo, ma più di questa comprensibile indifferenza emozionale temo le cattive interpretazioni.

Molti hanno assunto il gattopardesco approccio del “che tutto cambi perché nulla cambi”, come dire: bisognerà valutare usando meno frecce nella faretra (con i voti dal 4 al 10, compresi i +, i -, e i 1⁄2 , si disponeva di 25 possibili scelte: 4, 4+, 41⁄2 … anzi c’era chi raddoppiando i – aggiungeva un livello, e chi superava di un respiro il 61⁄2 assegnando 6/7.

Ora invece abbiamo dei gradoni, ma se nulla cambia basterà mettere tutte le insufficienze nel “Non Ancora Raggiunto”, le sufficienze nel “Parzialmente Raggiunto”, i risultati buoni nel “Raggiunto” e le eccellenze nel “Pienamente Raggiunto”. Semplifichiamo molto, ma non cambia il senso della valutazione: disamina dell’elaborato o ascolto della prova orale e assegnazione di un valore. No. O meglio, non solo.

Dicevo, in apertura, che occorre l’indagine e la comprensione di un’altra modalità comunicativa e di un diverso significato di valutazione, e per farlo occorre partire dagli obiettivi che ogni insegnante indica nella propria programmazione e, di conseguenza, in pagella.

Generalmente si tratta di enunciati di massima, frasi pescate dalle indicazioni, descrizione di competenze molto ampie… che fanno da titolo al nostro lavoro quotidiano, da elegante cappello a una serie di attività, esercizi, prove. Il loro linguaggio e utilizzo è secondario, sottinteso, spesso neppure menzionato accanto al lavoro proposto.

Fanno parte di una doverosa compilazione di documenti che può anche completare e concludere l’attività di un anno scolastico: la consegna dei registri santificati dal resoconto degli obiettivi perseguiti.

Questa nuova valutazione ci chiede di esplicitarli, a noi e agli allievi (cioè alle famiglie), nel corso dell’anno, ad ogni esercizio o laboratorio, traducendoli in messaggi comprensibili, trasformandoli in patti, quasi quotidiani, in base ai quali illuminare e descrivere il lavoro.

Ma non basta.

Bisogna farlo in anticipo rispetto all’attività. Bisogna che la programmazione torni ad assumere il senso e la valenza che dovrebbe avere etimologicamente. Le due ore di programmazione di cui solo i docenti della primaria dispongono, non sono lo spazio per le correzioni dei quaderni, per la riflessione comune sui casi speciali o difficili, per il racconto di episodi e aneddoti, per la socializzazione tra colleghi.
Questi aspetti sono marginali rispetto alla pianificazione armonica, tra diverse discipline, di compiti e attività utili a conseguire obiettivi esplicitati.

Sono il tempo e lo spazio in cui si decide come e cosa comunicare agli allievi rispetto alle settimane (una o due) seguenti.

Solo se troviamo l’automatismo, la tempistica e la giusta progressione nel presentare le difficoltà e i nodi alla classe, acquista significato affermare che l’obiettivo sia stato (più o meno, nelle 4 declinazioni in uso) raggiunto.

Ecco perché non ci servono più le decine di sfumature di voti numerici.

Dare 6, 6+, 61⁄2, 6/7, 7=,7-… non ci aiuta a capire se abbiamo raggiunto lo scopo, mentre dire che l’obiettivo è stato parzialmente raggiunto, se accompagnato dalla esplicitazione degli aspetti ancora carenti, offre al futuro indicazioni preziose per riprogrammare le attività, per differenziare il lavoro, per insistere o modificare l’approccio.

Ovviamente anche i voti in decimi hanno permesso di lavorare bene, di progettare e valutare, di misurare i livelli individuali e collettivi di progressi e mancanze, ma si prestano, specie in virtù della predisposizione (anche prevista dai registri elettronici) alla media matematica a cristallizzare la prova, a farne un’opera finita, a costruire elementi condizionanti per la crescita (Sì, adesso l’ha capita, ma non posso dargli l’8, ha preso due 6 all’inizio dell’anno!) piuttosto che un’informazione utile alla programmazione. Tendono a costruire classifiche piuttosto che trampolini da cui saltare.

Questo aspetto dell’intreccio tra nuova valutazione e programmazione non è stato, a mio avviso, sufficientemente indagato. In esso si spiega gran parte del merito e del valore di questa nuova modalità.

Ma il titolo di questo articolo comprende le famiglie: il cerchio si chiude se il processo di insegnamento-apprendimento trova anche questa sponda, perché l’aiuto consapevole e puntuale a casa è l’arma in più di ogni insegnante per conseguire risultati migliori, che coincidono con la crescita formativa e culturale di ogni allievo.