I Like sono voti?

I Like sono voti?

di Maria Grazia Carnazzola

1. Una “festa” per il lavoro che non c’è.

Il monologo di Federico Lucia, detto Fedez, il 30 aprile sera- in occasione dello spettacolo a reti unificate per la celebrazione del 1 maggio- e la puntuale polemica che ne è seguita, hanno toccato sostanzialmente tre aspetti:

– libertà di parola e di opinioni;
– lottizzazione della RAI (Servizio Pubblico); – DDL Zan e diritti civili.

Nessun accenno alla perdita di più di un milione e mezzo di posti di lavoro, alle difficoltà- non solo economiche- di chi il lavoro lo ha perso, delle ricadute negative sulla qualità della vita di molti, dei tempi lunghi per la ripresa economica…; ma ciascuno è libero di scegliere gli argomenti di cui vuole parlare, assumendosi la responsabilità di quello che dice, riconoscendo a chi ascolta la simmetrica libertà di un giudizio.

La vicenda ha amplificato il parallelo politicizzazione dello spettacolo/ spettacolarizzazione della politica, fenomeni che hanno in comune l’intrattenimento, lo stupire, l’esibirsi, il narrare molto e l’argomentare poco. È un fenomeno che si ripete quotidianamente, basta pensare al continuo mescolamento che i media propongono quando sentono politici e persone di spettacolo su questioni/ fatti scientifici; o uomini di scienza e di spettacolo su questioni/ decisioni politiche. Non è da sottacere in tutto questo il ruolo di potere esercitato di fatto dai “mediatori”, giornalisti in primis, di quello che già Burke nel 1700 con una felice intuizione, definiva “quarto potere”. Ciò che ha stupito me, in questa vicenda, è stata la sostanziale convergenza della politica verso il partito degli influencer e il conseguente rovesciamento dei ruoli e della prospettiva. I politici, che per definizione dovrebbero essere dei leader, sono diventati follower. Confondere popolarità con consenso, però, delegittima la democrazia, anche se sappiamo perfettamente che il consenso dipende più dai sentimenti e dagli interessi che dalla logica.

La politica dovrebbe essere la mediazione di interessi e di visioni, garanzia di pluralismo e di decisioni tempestive e competenti; dovrebbe fare i conti con la complessità della società e della democrazia, complessità che deve essere resa accessibile in tempi congrui, con modi e riti che dovrebbero essere ben distanti dall’ intrattenimento e dalle modalità di comunicazione dei vari influencer. Sappiamo che, come tutti i media, anche i social hanno aspetti di degenerazione. Il servizio pubblico avrebbe il compito di in-formare, di dare forma a ciò che avviene nella società. E’un compito culturale che non si esaurisce negli aspetti normativi: il problema è centrale e l’equilibrio va cercato evitando che il pluralismo diventi lottizzazione. E’ una responsabilità della politica che deve decidere come esercitarla, focalizzando un progetto complessivo di grande intensità temporale e di largo respiro che comprenda tesi e antitesi.

2. I saperi dell’ influencer?

È una domanda provocatoria che serve ad alleggerire un po’ un discorso che rimane, però, serissimo. Ho sempre pensato che gli influencer fossero “esperti” in qualche settore- moda, acconciature, tatuaggi, settori scientifici come nel caso dei divulgatori (ma questi sono casi a parte)… Quello che è successo, durante lo spettacolo del 30 aprile scorso, mostra che, qualche volta, qualcuno si sente esperto di aspetti generali e mi chiedo: con quali basi? I numeri mostrano che le persone che seguono questi “personaggi” non sono solo

adolescenti e giovani: statisticamente non ce ne sono così tanti nel nostro Paese. Allora il fenomeno non può essere ignorato: potrebbe essere un’altra via per un rinnovato impegno sociale per il quale, però, servono discernimento, responsabilità e pensiero critico, servono istruzione, educazione e formazione continua. Si potranno così cogliere i complessi rapporti tra pluralismo e valori del consenso, del rispetto dei fatti, dell’imparzialità e dell’apertura al dubbio e alla critica, aspetti questi comuni e necessari alla crescita della conoscenza e al buon funzionamento della democrazia. Purtroppo la pratica mediatica a cui ho accennato più sopra, di mettere sullo stesso piano esperti e incompetenti, sdogana l’idea che l’impegno e lo studio non servano a nulla e portano a confondere competenza con arroganza. L’equiparazione tra competente e incompetente è molto diffusa ed è rafforzata dal continuo “prodursi” sui social che trascina con sé la coazione ad essere performanti. “….nella performance l’Io si rapporta solo a sé stesso, non produce un oggetto, bensì si riproduce”, sostiene Byung Chul Han. “Se produire” in francese significa, appunto, esibirsi.

3- Per valutare bisogna conoscere e comprendere.

Più sopra ho sostenuto che qualcuno sceglie le cose che dice e ne risponde. Chi ascolta sceglie (e non sempre consciamente) quanto e cosa accogliere di quello che viene detto- a voce o per iscritto- e cosa farne. Per poterlo fare deve avere conoscenze, saperi disciplinari e trasversali che gli permettano di comprendere quello che la società in cui si vive pensa sia bello, brutto, bene, vero, falso, giusto o ingiusto, per riflettere e agire secondo le proprie convinzioni. Ad esempio, e questo riporta il discorso alla formazione di cittadinanze attive, ascoltando narrazioni su un argomento, come ad esempio il ddl Zan, si dovrebbe essere in grado di chiedersi: “È credibile quanto viene detto; devo cambiare il mio atteggiamento; perché si sostiene questo?…”.Sapendo che su ogni argomento o questione ci sono pareri esperti, opinioni generiche, opinioni interessate che non possono avere lo stesso peso.

Non sempre è vero che uno vale uno – verità sacrosanta nella cabina elettorale- e neanche che uno vale l’altro: su questioni specifiche bisogna lasciar fare a chi sa fare, a chi possiede le competenze, evitando slogan, qualunquismi e suggestioni sociali perchè la lotta alle diseguaglianze è cosa diversa dalla protezione delle categorie, il bilanciamento di genere non è sinonimo di quote rosa, così come sostenere i lavoratori non è uguale a sostenere posti di lavoro.

È opinione comune che lo sviluppo dei media abbia portato rilevanti cambiamenti a livello culturale, sociale e politico, contribuendo in modo determinante al passaggio dalla società liberale alla società di massa. La transizione dalla carta stampata ai media elettronici ha cambiato radicalmente il modo di comunicare e di utilizzare l’informazione, ridefinendo l’organizzazione del tempo e dello spazio, il senso di appartenenza a gruppi sociali e a comunità- prima limitate spazialmente e lunghe nel tempo – e il modo di vivere emozioni e sentimenti, creando quel “mondo mediato”, come lo definiva J.B. Thompson, che plasma sia la nostra conoscenza del mondo, al di là di quello che sperimentiamo personalmente, sia l’idea della posizione che occupiamo e del ruolo che giochiamo. Informazione e conoscenza non sono sinonimi: l’informazione è la superficie, la conoscenza è andare in profondità. L’informazione compulsiva ha come focus l’atto dell’informare più che il contenuto oggetto dell’informazione; quello che interessa è lo scambio più che la sostanza; il criterio che orienta non è ciò che è “vero” ma ciò che affascina- per le ragioni più svariate- e che si può “vendere”. Il rimando è a Ermes, il messaggero per eccellenza, il dio alato della piazza e del mercato, campione di dissimulazione, di imbrogli e di illusioni, del fare per fare. Non ci si può riferire a Eracle che, avendo obiettivi precisi, deve riflettere con chiarezza e razionalità sulle cose, sulle azioni e sulle loro conseguenze per poter decidere. Eracle non può limitarsi a evitare i conflitti e rimanere amico di tutti, non può preferire l’immagine alla realtà sostanziale perchè decidere significa scegliere immaginando uno scenario dove occorre distinguere il possibile dal probabile, superando sia la visione lineare del tempo sia quella semplificata della complessità del reale. Occorre partire dai presupposti per anticipare le potenzialità, le contraddizioni, le incompatibilità, rispetto ai cambiamenti auspicati o temuti, di tutte le possibili “biforcazioni”.

4- Quando l’importante è vendere…opinioni.

Viviamo in un ambiente che non è più connotato da precise appartenenze: ognuno deve confrontarsi con esperienze molteplici, attraversare tempi e spazi per comprendere i legami sociali, la natura e la qualità delle relazioni tra uomini ma anche con l’ambiente fisico. Si moltiplicano gli ambiti sociali, a livello strutturale, e i codici e i modelli culturali di riferimento a livello simbolico. I media rappresentano l’ambiente di vita che dà forma alle esperienze cognitivo-emotive e socio relazionali, modificando il modo di percepire, rappresentare e rappresentarsi- gli altri e agli altri-, il mondo sociale, culturale, ambientale e di comunicarlo.

I media danno l’impressione di limitarsi a raccontare i fatti o a veicolare le immagini degli eventi, di essere una finestra sul mondo, di essere trasparenti. Non è proprio così: i media trasformano gli eventi, li curvano sui propri linguaggi, sui propri ritmi e obiettivi. Il nostro sguardo è vincolato a quello del “regista” e le parole e le immagini che sono scelte e contestualizzate per precise scelte di messaggi da veicolare, producendo quell’effetto di realtà così efficace sul piano della comunicazione. Si sa come accadono i fatti e si sa come si deve fare, non serve altro. In questo sta l’efficienza informativa dei media che porta, inevitabilmente, all’omologazione di pensiero e di azione. I media elettronici, che privilegiano più le immagini che le idee, sono accessibili a chiunque e disponibili in tempo reale, moltiplicandone l’efficienza informativa e donando l’impressione di vedere il mondo con chiarezza, generando ricadute sugli aspetti sociali. L’uso dei media elettronici rompe il legame tra luogo fisico e luogo sociale, si assiste- e si partecipa emotivamente- a eventi che accadono in ogni angolo del globo. Una disconnessione che McLuhan considerava una caratteristica del villaggio globale con ricadute, questa volta, sugli aspetti politici che riguardano il superamento del confine tra pubblico e privato, con la polarizzazione dei giudizi sull’immagine delle persone invece che sui discorsi e sulle posizioni che sostengono. Questo è particolarmente rischioso quando si tratta di personalità politiche o del mondo dello spettacolo perché l’immagine, lo sappiamo, non garantisce né una buona gestione della cosa pubblica né una competenza sul reale. Qui la questione diventa più strettamente culturale. La comunicazione assume, anche tecnicamente, una forma più interattiva dal momento che le nuove tecnologie permettono al pubblico di intervenire sulle informazioni veicolate, modificando il rapporto tra fonte e destinatario, la distinzione tra fatto e opinione, tra sapere scientifico e opinione pubblica. Se democrazia è anche la possibilità di esporre la propria opinione e di prendere posizione, questo in sé potrebbe essere un bene. I mezzi di informazione attuali hanno determinato, e determinano, importanti cambiamenti a livello politico e culturale, nel modo personale e sociale di costruire la realtà, modificando i confini esistenti tra vicino e lontano e tra pubblico e privato. Le tecnologie possono aggiungere alla conoscenza, personale e collettiva, informazioni sul loro funzionamento, ma, tenendo conto che la forma dell’informazione può cambiare il significato del contenuto, bisogna fare in modo che l’uomo conservi la sua capacità di pensiero e in particolare di pensiero critico, valutando le conseguenze di arricchimento della formazione contestualmente a quelle di impoverimento per un necessario equilibrio. Smettere di pensare criticamente, di chiedersi “perché”, sarebbe una tragedia per l’umanità. Nel libro “Brave New World”, Aldous Huxley sosteneva che non sarà quello che temiamo a toglierci l’autonomia, la cultura e la storia, ma sarà quello che amiamo perché la gente sarà felice di essere oppressa e adorerà la tecnologia che libera dalla fatica di pensare. Modificando profondamente il nostro modo di essere e la nostra vita, aggiungerebbe il filosofo Carlo Sini.

5- Conclusioni.

Martha C. Nussbaum ritiene che la crisi che l’istruzione mondiale sta attraversando, da ormai moltissimi anni, finirà per minare le basi della democrazia. I fenomeni culturali e sociali possono essere affrontati dal punto di vista normativo o descrittivo. La descrizione rappresenta il modo “in cui le cose stanno” e si riferisce ai fatti; la norma rimanda a come deve o come dovrebbe essere una cosa, riguarda il mondo dei valori e il modo in cui questi sono legati al mondo delle scienze. P.Kitcher ha sottolineato quanto il legame tra scienza, verità e democrazia sia profondo e in questo particolare momento ritengo che tutte le questioni andrebbero inquadrate in un contesto storico filosofico più ampio per essere comprese criticamente attraverso modalità e tecniche di ragionamento che tengano distinti i concetti di causa e di probabilità, pur correlandoli. Scienza e democrazia, nelle inevitabili differenze decisionali che le connotano (la composizione dell’acqua non si decide per alzata di mano), hanno come scopo la soluzione di problemi, secondo la prospettiva pragmatista evidenziata da Peirce e Dewey, prima e da Popper poi. Quale problema si voleva risolvere con il monologo del 30 aprile? E che peso avranno i like? Non è una domanda peregrina considerando la sovrapposizione che si è creata tra spettacolo e politica e l’equazione popolarità/consenso. Sappiamo che le soluzioni semplici ai problemi complessi raccolgono consensi, difficilmente risolvono i problemi della polis, restano populismi e gli scontri ideologici spesso coprono le inefficienze del sistema con proposte “ad effetto”. Sono curiosa di vedere come la proposta del voto a sedici anni gestirà il passaggio dai like ai voti.

BIBLIOGRAFIA

Byung-Cul Han, La scomparsa dei riti, Nottetempo, Milano 2021;

Dorato M., Disinformazione scientifica e democrazia, Raffaello Cortina Editore, Milano 2019;

Cassese S., Una volta il futuro era migliore, RCS Media Group S.p.A, 2021;

Nussbaum M.C., La crisi mondiale dell’istruzione, Internazionale n.870- 29/10/2010;

Kitcher P., Science in a democratic Society, Prometheus Books, Amherest N.Y.,2011;

Sini C., Del viver bene, Jaca Book, Milano 2015.

Huxley A., Il mondo nuovo, Mondadori, Milano ed. 1971