Gli esami di Stato e le tre C – 2

Gli esami di Stato e le tre C: conoscenze, competenze, curriculum

di Gabriele Boselli

Puntata n.2  – L’insostenibile noia per le competenze

Nell’ordinanza del  03 03 21 la precedente ossessione per le competenze pare finalmente attenuarsi. Il degradarsi delle conoscenze esigite in termini di competenze utili al sistema economico avrebbe dovuto, stando ai desiderata ufficiali espressi nell’ultimo ventennio, rappresentare il fine da perseguire e l’oggetto principale di valutazione. Dalle competenze “richieste dall’Europa” (invero solo per l’istruzione tecnica e professionale) alle “competenze di cittadinanza” al più sensato caso delle “competenze digitali”, l’intero campo teleologico delle circolari ministeriali disegnato nei modelli di PTOF e PCTO e richiamato nelle OM precedenti era occupato dal rilevamento di competenze a scapito del conoscere. Poichè i cambiamenti culturali sono indotti anche dai sovrappieni, si ponevano le condizioni per vere e proprie implosioni cognitive.

L’ammasso delle richieste di competenza rivolte alla scuola da alcune organizzazioni del sistema economico e dai suoi rari ma attivissimi scherani annidati da decenni al MIUR (ultimo prodotto il PNRR) stava determinando una pressione che, non fosse per la resistenza di molti docenti e di alcuni dei rari ispettori d.o.c. rimasti, avrebbe potuto determinare processi di fusione del conoscere ed esplosioni di ignoranza. Esiste per fortuna una ripresa della perenne teleologia programmatica che assegna invece alla scuola finalità di alto profilo, importanti in tutti gli ordini di scuola: la preparazione a una nuova qualità della vita, il conforto alla maturazione dell’identità, soprattutto la conquista dell’autonomia intellettuale e morale.  Sarà adesso meno difficile tutelare le discipline dall’approccio competenziale, economicistico, da un’azione in vista del raggiungimento di obiettivi e traguardi che tende a far emergere solo la prestazionalità senza curarsi troppo di aiutare la formazione del pensare il mondo, dell’interrogarsi nel confronto con gli eventi. Per i docenti dell’inter-rogarsi con i ragazzi e farsi inter-rogare da loro.

L’enfasi sulle competenze -la battaglia è tutt’altro che vinta- implica il trascurare la capacità di conoscere ed esprime una subalternità della scuola al mondo dell’economia. Si tratta ancora per lorSignori di far sì che i soggetti sappiano rispondere alle esigenze di un settore economicamente produttivo che chiede alla scuola di formare individui che sappiano adattarsi al mercato (vedi la stessa accentuazione su alcuni valori quali la flessibilità, che avviene non a favore dello sviluppo intrinseco della persona ma in funzione dell’economia).

La declinante centrazione sulle competenze (con attenuata messa in silenzio dei saperi e della capacità di conoscere) appare fortemente riduttiva perché enfatizza  un aspetto periferico e strumentale del sapere;  la competenza  non può collocarsi al centro e rappresentare la prevalente prospettiva  di impegno pedagogico. Ci si augura che venga sempre meno proposta dai documenti ministeriali quale prestazione misurabile e certificabile.  Le conoscenze sarebbero in questa prospettiva ridotte a “apparati serventi”; il loro esercizio asservito pertanto alla produzione di risultati. Conta l’esito, il raggiungimento del traguardo…..

“Traguardi”? A nostro parere, il rischio è quello di offrire una traccia pretenziosa ma nel contempo molto debole del processo di crescita, soprattutto nelle età più intensamente evolutive della vita. Decisamente parziale e miope soffermare l’attenzione solo su ciò che è osservabile. Il processo di crescita e maturazione non sempre è graduale e progressivo; i tempi possono essere lunghi, differenziati e i sanzionamenti rischiano di ridurre le motivazione ad apprendere.  Millenni di pedagogia come scienza filosofica portano al contrario a pensare all’ educazione quale apertura al possibile; va allora data  importanza, attraverso un paradossale atteggiamento di attesa attiva, all’inatteso.

E’ la conoscenza (e il modo in cui si interagisce con essa)  che consente alla mente di formarsi. Si tratta di aiutare il ragazzo a costruirsi disposizioni affettive,  cognitive,  relazionali, modi di guardare il mondo che abbiano valore di tipo generativo-trasformazionale.

 Sul piano epistemologico, nell’esame di Stato conta  l’essere un momento della costruzione della conoscenza, contano i saperi: le competenze sono loro effetti secondari , moderatamente perseguiti  possono essere graditi ma secondari, in quanto capacità di applicazione dei saperi.   Sono derivati della conoscenza,  a volte scorie, conseguenti a un percorso di conoscenza.  Un soggetto addestrato a tendere alla competenza ignorerà ogni quadro teorico ( teoria come processione verso ) in grado di render ragione dei fenomeni culturali e fisici nella loro complessità  e interezza.

Non quel che va sotto il termine competenza sia disprezzabile in assoluto; è anzi necessario per le scuole che prevedono un immediato sbocco professionale. E’ fastiodioso per gli altri ordini e gradi di istruzione, laddove vale il conoscere, la pura e indifferenziata capacità di conoscere maturata nella pratica delle discipline. Discipline come atti del conoscere, saperi dei discenti che stanno sui banchi in dialogo con gli altri discenti, quelli adulti, quelli che siedono in cattedra. Così anche durante gli esami di Stato.

Gli esami di Stato e le tre C – Puntata n. 1