Apprendimento e narrazione in Bruner

Il processo di apprendimento e il tema della narrazione in Jerome S. Bruner

di Pietro Boccia

Negli anni Sessanta del Novecento si sente il bisogno, negli Stati Uniti, di superare la concezione della pedagogia attivistica.
Jerome S. BRUNER assume il compito di offrire, superando l’educazione sociale, alle nuove generazioni una formazione, basata sul potenziamento dell’intelligenza e sull’arricchimento della conoscenza.

Egli ha, tra l’altro, scritto:

  • Il pensiero, strategie e categorie (1956).
  • Dopo Dewey. Il processo di apprendimento nelle due culture (1961).
  • Il conoscere. Saggi per la mano sinistra (1962).
  • Verso una teoria dell’istruzione (1966).
  • Studi sullo sviluppo cognitivo (1966).
  • Il significato dell’educazione (1971).
  • La ricerca del significato (1990).
  • Il linguaggio del bambino (1991).
  • La mente a più dimensioni (1993).
  • La cultura dell’educazione (2000).
  • La fabbrica delle storie (2002).

Per Jerome S. BRUNER è necessario superare l’attivismo pedagogico; non è, infatti, per lo studioso americano, più sufficiente porre l’insegnamento sull’esperienza delle cose che si manifestano e sul processo di socializzazione, ma è di vitale importanza che ognuno diventi costruttore della propria conoscenza (costruttivismo) e che il programma di ogni disciplina sia finalizzato a comprenderne, in modo approfondito, i principi costitutivi della struttura .

Nel libro Verso una teoria dell’istruzione, Bruner chiarisce che mentre la teoria dell’istruzione è prescrittiva quella dell’apprendimento è una teoria descrittiva. La prima (teoria dell’istruzione) presenta quattro carattaristiche, ovvero:

  • la predisposizione dell’apprendimento per scoperta in tre fasi (attivazione, mantenimento, direzione);
  • la struttura ottimale per una pronta comprensione (economia della struttura, produttività della struttura, potenza della struttura). Una “struttura ottimale” si riferisce ad un insieme di proposizioni da cui può essere generato un piú vasto insieme di cognizioni. La formulazione di tale struttura dipende dallo stato di progresso di un particolare campo della conoscenza;
  • la sequenza (indicazione della progressione ottimale, con cui va presentato il materiale che deve essere appreso);
  • la conseguenza (specificazione della natura e del ritmo delle ricompense e delle punizioni nel processo dell’apprendimento e dell’insegnamento).

“La struttura di ogni campo del sapere – ha scritto BRUNER in Verso una teoria dell’istruzione – può essere caratterizzata secondo tre criteri, ciascuno dei quali influisce sulla capacità da parte del discente di dominare un determinato campo: il modo in cui viene rappresentata, la sua economia e la sua effettiva efficacia. Modo, economia ed efficacia variano riguardo alle diverse età, al differente ‘stile’ dei discenti e alle diverse materie.

Ogni campo del conoscere, vale a dire ogni problema all’interno di tale campo, può essere rappresentato in tre modi:

  • mediante un insieme di azioni atte al raggiungimento di un certo risultato (rappresentazione attiva);
  • attraverso un insieme di immagini riassuntive o di grafici che rappresentano un concetto senza definirlo completamente (rappresentazione iconica);
  • tramite un insieme di proposizioni simboliche o logiche derivate da un sistema simbolico, governato da regole o leggi per la formazione o la trasformazione di proposizioni (rappresentazione simbolica)”.

Ogni rappresentazione non è, per BRUNER, una semplice conservazione degli eventi memorizzati, ma concernente i processi di codificazione delle informazioni e delle regolarità dell’esperienza con cui esse si conservano in memoria e possono essere facilmente recuperate.

Le forme di rappresentazione sono tre:

  • la prima si basa sull’azione;
  • la seconda sull’immagine;
  • la terza sul linguaggio.

Il curricolo didattico deve essere a spirale e avvalersi, utilizzando di volta in volta quella più adeguata a comunicare le conoscenze al soggetto che viene educato, di diverse forme di rappresentazione. Dalla nascita all’adolescenza, l’essere umano, infatti, attraversa tre forme di rappresentazione, che si diversificano per il mezzo con cui vengono costruite. La scuola deve favorire, senza privilegiarne alcuna, simultaneamente tutte e tre i tipi (attiva, iconica e simbolica) di rappresentazione. Le categorie mentali, che, per BRUNER, costituiscono le strutture della mente umana, devono riprodurre le strategie cognitive con cui un soggetto possa comprendere il mondo reale. Questo può essere conosciuto con gli strumenti di una mente, che è plasmata dal contesto culturale. L’influenza culturale si concretizza grazie alle relazioni sociali che il bambino stabilisce precocemente con chi si prende cura di lui e in cui il ruolo dell’adulto viene caratterizzato come scaffolding.

Questo si realizza attraverso:

  • il modelling – modellamento (l’insegnante o l’adulto svolge il compito mentre l’allievo osserva);
  • il coaching – allenamento (l’allievo viene sostenuto e aiutato dall’insegnante o dall’adulto;
  • lo scaffolding – assistenza (l’allievo prova a eseguire il compito guidato dall’insegnante o dall’adulto);
  • il fading – allontanamento (l’insegnante o l’adulto limita il sostegno e fornisce soltanto suggerimenti).

L’educazione non può, dunque, trasmettere a chi deve apprendere la conoscenza ma facilitare, attraverso i processi di comprensione della realtà, la costruzione, concepita come attitudine a organizzare in forma narrativa l’esperienza. Questa deve essere colta attraverso tutti quei fattori stimolanti, che, espandendosi in rapporto ai bisogni del momento e alle conoscenze pregresse, producono cultura con significati emotivamente connotati.

Il libro di BRUNER, che, negli anni Sessanta, ha influenzato l’opinione pubblica americana e soprattutto gli operatori scolastici, è The Process of Education (Il processo educativo dopo Dewey).

In tale testo sono presenti quattro aspetti di importanza fondamentale, vale a dire:

  • la struttura delle discipline;
  • il curriculum a spirale;
  • il confronto tra pensiero analitico e intuitivo;
  • la valutazione dell’allievo.

La concezione, che in The Process of Education, si ha del bambino, come risolutore di problemi, pur andando contro la cultura dominante, ha molto successo. Il bambino è un soggetto sociale; egli è competente non solo a relazionarsi con gli altri ma anche a elaborare le proprie esperienze e a costruire, impiegando la “narrazione” e il contesto culturale, l’apprendimento. In seguito, BRUNER accentua l’interesse per il pensiero narrativo, interpretato come opportunità per organizzare l’esperienza in maniera diversa rispetto all’atteggiamento del pensiero scientifico e logico-matematico. Il pensiero narrativo non si oppone a quello scientifico, perché, narrando e raccontando, è, infatti, possibile dare uniformità, senso e significato all’esperienza.
Nel libro Acts of Meaning (La ricerca del significato), egli ha, nel 1990, affermato che “la rivoluzione cognitiva, com’era stata originariamente concepita, comportava la possibilità che la psicologia cooperasse con l’antropologia, la linguistica, la filosofia e la storia, e anche con le discipline giuridiche”. La prospettiva psicologica e culturale nell’educazione diventa, per BRUNER, centrale nel libro The Culture of Education (La cultura dell’educazione). La tesi del libro “è che la cultura plasma la mente, ci fornisce l’insieme degli attrezzi mediante i quali costruiamo non solo il nostro mondo, ma la nostra concezione di noi stessi e delle nostre capacità”. Tale tendenza suppone che l’attività della mente umana sia sempre dinamica e mai statica. Un soggetto non percepisce, quindi, la realtà in maniera oggettiva, ma secondo come le sue strutture mentali, in continua trasformazione, la colgono. Ciò che, invece, esce dalla visione, di cui il soggetto fa esperienza, non ha valore cognitivo e non produce apprendimento.

Nell’età infantile e nella scuola dell’infanzia, la valorizzazione della vita di relazione e la valorizzazione del gioco sono dimensioni di fondamentale importanza. Il gioco simbolico e cognitivo è uno strumento per il concreto e integrale sviluppo del bambino, con il quale egli riesce a esprimere creatività e ad acquisire le prime regole sociali e morali. Ogni bambino, attraverso il rapporto con gli altri, regola le sue emozioni e mostra, mediante il dialogo continuo e la mediazione didattica, bisogni, desideri e sentimenti. È da considerare, poi, che tra le strategie di insegnamento/apprendimento, sia utilizzata nella scuola dell’infanzia la tecnica della narrazione. Soprattutto nell’Infanzia, l’impiego delle fiabe si qualifica per il suo essere un vero e proprio ambiente di apprendimento, capace di favorire molte abilità. Secondo lo psicologo e pedagogista statunitense BRUNER ascoltare le fiabe permette lo sviluppo del pensiero narrativo, vale a dire della capacità cognitiva con cui ognuno struttura la propria esistenza, organizza la propria esperienza e costruisce i significati condivisi. La narrazione di una fiaba non è per BRUNER solo un dilettevole svago, collegato al periodo dell’infanzia, ma è anche processo mentale fondamentale per un soggetto, perché è un mezzo di trasmissione di valori e di ideali. Di solito si tende a pensare la fiaba e la favola come se fossero la stessa cosa. Si tratta, all’opposto, di generi ben diversi, perché l’una (la favola) è un testo molto corto, avente come protagonisti, in genere, animali dal comportamento antropomorfizzato o esseri inanimati; la trama è, anzi, condensata in avvenimenti semplici e veloci con intenti allegorici e morali molto chiari. La discriminante maggiore fra la favola e la fiaba è la presenza dell’elemento fantastico e magico; tale elemento è presente nella fiaba e spesso assente nella favola. La fiaba è una narrazione, contrassegnata da racconti centrati intorno ad avvenimenti e personaggi fantastici (fate, orchi, giganti e così via), che vengono coinvolti in storie di solito con un intento anche implicitamente formativo o di crescita morale. Nella favola, invece, l’intento allegorico e morale è esplicito. Per BRUNER, infatti, il genere narrativo si caratterizza per la sua capacità di coinvolgere fortemente la dimensione affettiva, motivazionale ed emotiva dell’ascoltatore. In tal modo ognuno riesce a costruire le mappe emotive e cognitive, funzionali a una crescita consapevole e responsabile. Le narrazioni introducono i bambini nel mondo reale, poiché l’uomo ha una naturale predisposizione a strutturare le esperienze di vita secondo i criteri della narrazione e le sue caratteristiche spazio-temporali.

L’insegnante, a tal proposito, “accompagna narrativamente” i bambini nell’acquisizione dei saperi, e nell’esperienza educativa; egli è attento nel cercare di tradurre la vicenda scolastica in una crescita cognitiva, emotiva e relazionale, condivisa con i compagni.
La narrazione, di conseguenza, oltre a incoraggiare lo sviluppo delle funzioni linguistico- cognitive, rende comprensibile anche il fatto che i racconti possono aiutare i bambini a riconoscere e a imporre un nome alle emozioni vissute, a costruire un vocabolario per parlare dei sentimenti e a illustrare i diversi modi in cui ognuno reagisce, ad esempio, all’ira, alla paura e alla tristezza.

Lo psicanalista Bruno BETTELHEIM assegna, infine, un ruolo catartico alla fiaba, come forma di narrazione radicata nella tradizione popolare, cui viene riconosciuto un rilevante ruolo formativo per il bambino.