Gli esami di Stato e le tre C – 3

Gli esami di Stato e le tre C: conoscenze, competenze, curriculum

di Gabriele Boselli

Puntata n.3 – Leggere i curricula come romanzi di formazione

La valutazione del candidato all’esame, già detto di maturità, prevede la lettura del curriculum della persona ma dovrebbe comprendere anche quella della storia e del progetto culturale della scuola. Si tratterà a quel punto di vedere con quale partecipazione il ragazzo abbia aderito al cenno magistrale di tutte le figure educative presenti nella sua breve storia. Esame dunque anche come momento di autocoscienza della scuola. Il voto finale sarà un voto per tutti, non solo per il giovane.

Parole chiave: storicità, esperienza, formazione, coscienza, idea, discipline.

Il curriculum come diario del formarsi di una coscienza

L’esame di Stato non fu in origine concepito come la fotografia di uno stato (con la minuscola) ma come la rappresentazione da parte di un organo ufficiale di una dinamica plurale di processi di coscienza e conoscenza. Si cercava di mettere a contatto le idee derivanti dalle storie degli esaminatori con quelle provenienti dal curriculum, scolastico e non, dei ragazzi. Dunque esame di Stato nato quasi cento anni fa da lombi gentiliani come sintesi di un romanzo di formazione.

Ancora un secolo prima, nella tradizione del Bildungsroman (Agostino, Goethe, Lessing…), tra il 1806 e il 1807, Hegel, ancora professore in un liceo di Jena portava a termine la prima delle sue due opere magistrali: quella Fenomenologia dello spirito che egli stesso definisce “storia romanzata della coscienza”. Quella dello Hegel di Jena può essere letta come una teoria (racconto di un procedere) del conoscere, delle vicende e dei modi in cui la coscienza dell’umanità nella sua ricerca di verità sostanziali cui affidarsi giunge ad accorgersi che queste sono accessibili solo attraverso la soggettività conformatrice  dell’esperienza, creatrice non del mondo (come recita l’idealismo da barzelletta) ma di una concreta e tendenzialmente universale scienza del mondo. Per essere concreta questa scienza deve incarnarsi in un soggetto (individuale e collettivo, ma soprattutto collettivo); per essere universale essa deve essere espressione non di frammenti del sapere ma del sapere nella sua interezza; dev’essere icona non di un sapere/fatto ma in atto, refolo di quel vento che nella storia muove il pensiero.

Il conoscere non è solo la risultante di una serie di letture di libri di testo e del’ascolto di lezioni. E’ l’esito dei una storia, di una totalità di storie, un condensato di storicità. Nell’esame si cerca di capire come una coscienza continui entrare in una relazione più razionale (inquadrata dall’attività “legislatrice” del sapere costituito) con il mondo.

Esperienze di formazione di una coscienza nei passaggi attraverso

Il progetto scolastico della scuola di provenienza avrà avviato il ragazzo a farsi una propria visione del mondo? O prospettato alla coscienza della persona campi attraverso cui prendere ulteriore coscienza di sé e in cui esprimersi? Chiamo “coscienza” l’atto oscillante ma sempre originario e intenzionale dell’avvicinarsi e del prender le distanze da se stessi e dalle cose per guadagnare un razionale (relativamente stabile e puntualizzato) sentimento di sé e una forza di protensione che faccia guadagnare un inserimento autonomo nel mondo. Per lunghe vie la coscienza potrà pervenire a farsi scienza (ancora Hegel, Fenomenologia, 1807).

La coscienza del ragazzo e , in trasparenza, quella dei suoi docenti) appare vocata a conoscere,  è il definirsi di un volto che non può che attivamente volgersi ad altro? Al colto non-lettore delle cm ministeriali degli ultimi vent’anni non interessa la cosa della maggior parte degli psicologi e dei docimologi ; in pedagogia fenomenologica il conoscere non è materia “fermabile” (il movimento gli è essenziale), oggettivabile in un voto.

La lettura del curriculum potrebbe mostrare come la coscienza attraverso le esperienze si stia volgendo in conoscenza, e non come un fatto ma come un evento.

La coscienza avvia alla conoscenza quando trattiene il soggetto dal non perdersi nei fatti decentrandosi da sè fino a perderne nozione; quando lo fa riflettere sugli atti, assumere consapevolmente  nuove disposizioni, autoeducarsi  attraversando gli eventi e le discipline come plurali campi di esperienza.

Prima di leggere il curriculum del ragazzo bisognerebbe aver letto il  progetto della scuola. Era atto a generare autonomia intellettuale, morale ed estetica? O il mondo vi era posto solo come lo scenario precostituito di una conoscenza “oggettiva” ovvero prescindente da ogni coscienza, senza storia , prefabbricata, epistemica, astorica, artificiosa, strumentale? Un elenco di dettagliati e pertanto insignificanti (che non accennano ad altro) obiettivi da raggiungere?

Anno 2125: preziosa e consapevole intenzionalità delle storie

Nelle scuole integrate nella pedagogia ministeriale e nelle università di obbedienza confindustriale si è soliti presentare un quadro di conoscenze epi-stemiche, che stanno sopra il fluire delle storie personali e dell’attività rappresentatrice dei soggetti individuale e collettivi.  Vi si inscena un sapere astratto strappato dal terreno delle storie. L’ancor prevalente didattica tardomoderna (quella dei PM, i programmi ministeriali) pretende invece che il soggetto dimentichi se stesso per apprendere senz’altro la verità senza soggetto delle discipline senza discepolo.

Nell’auspicabile esame di Stato del 2125, recuperata la tradizione idealistica,  ogni domanda e ogni risposta son sempre domanda e risposta consapevolmente di qualcuno, e questo qualcuno va posto onestamente, disinteressatamente in discussione insieme al suo dire. Ma in quell’anno occorre anche non esaurire l’impegno nel soggetto della domanda, se non altro perché anche il nostro modo di guardarlo è soggettivo e potrebbe essere viziato da necessità di autogiustificazioni; soprattutto perché, oltre a noi e al nostro interlocutore, forse il mondo attende di essere conosciuto, attende da sempre (e attenderà per sempre) di svelare con un’idea il mistero della sua verità originaria. Penso che ogni atto di conoscenza -e ogni conoscenza intesa come stratificazione storica di conoscenze, disciplina- sia derivato dalle proprie radici, partigiano, intenzionato e intenzionante. Soprattutto quando vi sia l’ingenua convinzione di esser di fronte alla “cosa in sé” (fenomeno rappresentativo in rapporto a un contenuto, costituito essenzialmente da una direzione verso un oggetto e poco d’altro). L’atteggiamento docimologico, epistemico dunque non epistemologico, fa smarrire coscienza e conoscenza.

L’intenzionalità pedagogica è nel tendersi verso l’oggetto su di una linea di trascendenza; nel trascendersi il soggetto non può lasciare indietro se stesso ma senza l’atto del trascendersi un se stesso autentico non può nemmeno avere autenticamente luogo

In ambito pedagogico il lasciar vedere si sviluppa nel lasciar essere, che non è lasciar perdere ma costruire un orizzonte di attesa che il soggetto avverta come chiamata a esperire se stesso nel confronto con scenari di evidenze senza consistenza, e di evidenze più consistenti, dove però mai l’evidenza sia posta come indipendente dalla storia del soggetto che l’avverte e/o la presenta come tale.

Gli esami di Stato e le tre C – Puntata n. 1

Gli esami di Stato e le tre C – Puntata n. 2