Identità e diversità

Identità e diversità

di Maria Grazia Carnazzola

1. Diritto di nascita.

Alcino a Odisseo “Dimmi il nome con cui ti chiamano tuo padre e tua madre e quelli della tua città e coloro che vivono intorno”. “Sono Odisseo, figlio di Laerte”. In quell’universo raccontato nell’Odissea, che rappresentava se stesso e consentiva a ciascuno di rappresentarsi al suo interno, bastava il riferimento all’origine per connotare l’identità: un’identità data per intero alla nascita e immutabile fino alla morte, declinata nel paradigma dell’appartenenza. Il progetto esistenziale di ciascuno non dipendeva dalle volontà dei singoli, ma era controllato dalle tradizioni, dall’appartenenza familiare e sociale…con qualche rara eccezione, come ad esempio nell’antica Roma durante le feste decembrine in onore di Saturno, o in occasione del carnevale, feste che consentivano un travestimento e in cui la maschera era il veicolo della temporanea trasformazione. I carnevali e le maschere li abbiamo anche oggi, ma non si limitano a qualche periodo dell’anno. Oggi ciascuno ha, quasi sempre, la possibilità di essere l’artefice della propria identità, attingendo a un mercato di opzioni che possono condurre a continui e a volte paradossali modificazioni del corpo, della mente e dei comportamenti. Qualche volta può essere difficile scegliere, perché ogni scelta può tramutarsi in rimpianto; sappiamo che l’identità non è un “fatto” definitivo, ma un processo di continua ridefinizione delle combinazione di diverse componenti presenti contemporaneamente- familiare, etnica, religiosa, professionale, di gruppo- che possono interagire per diventare un progetto di vita- o esistenziale( Nietzsche, Heidegger…) , oppure diventare una successione di trasformazioni intercambiabili non finalizzate, fini a se stesse, con il rischio di adottare uno stile di vita frammentato che sfocia nella precarietà.

2. Gli elementi costitutivi.

L’elemento più problematico del concetto di identità è che con un’unica parola ci si riferisce contemporaneamente a ciò che è uguale a sé e a ciò che è diverso dagli altri: una persona ha caratteristiche proprie che la rendono differente da altre persone perché l’identità nasce dal rapporto dell’individuo, e della sua storia, con gli altri. Si possono individuare quattro grandi aree concentriche a cui fanno capo le identità. L’area dell’individualità a cui afferiscono i progetti e gli interessi personali; quella della socialità primaria (famiglia, scuola, lavoro…) che incide fortemente sui nostri atteggiamenti e comportamenti. C’è poi l’aspetto che identifica ciascuno di noi come membro di un macro-soggetto collettivo: identità etnica, religiosa, nazionale…, che costituiscono l’dentità secondaria, che si sovrappone a quella primaria; da ultimo, siamo parte di “una parte” di mondo- cultura occidentale, Europea…- e della specie umana. L’interrogativo che connota la prima area è “chi sono io”, domanda a cui solo l’individuo che se la pone può dare una risposta. Per le altre tre l’accento si sposta perchè sono largamente riconducibili alle domande “chi sono io per gli altri e chi sono gli altri per me”, in questi casi ciascuno risponde a seconda del peso che attribuisce alle diverse appartenenze: sono italiano, europeo, straniero, cattolico…

William James, il primo ad affrontare in modo sistematico il tema dell’identità, in una felice metafora sosteneva che l’identità è un torrente che ha confini ben netti nei confronti dell’ambiente che lo circonda, ha continuità nella sua lunghezza, si muove autonomamente sotto il proprio peso e impeto. La perdita di uno o più di questi aspetti del senso di identità genera disagio, senso di depersonalizzazione, ansia, a volte panico. In questo senso l’identità costituisce uno sforzo costante per trasformarsi senza contraddirsi, cosa non proprio facile.

3. No alla discriminazione, ma anche no all’ostentazione.

Zigmunt Bauman ne “La società dell’incertezza”, riprendendo un’affermazione di Richard Sennet, sostiene che “ … un uomo o una donna possono divenire nel corso della loro esistenza come stranieri a se stessi, assumendo atteggiamenti o percependo sentimenti che non si adattano al quadro di riferimento della propria identità fornito dai caratteri sociali apparentemente fissi della razza, classe, età, genere o etnia”. Nel corso della vita può capitare di perdere un’identità e di acquisirne un’altra: è un percorso complesso che ciascuno compie a partire dai primi anni di vita e che inizia ancora prima della nascita nell’immaginario dei genitori. L’abbozzo della propria identità avviene mentre si impara a riconoscersi come individuo distinto, apprendimento che avviene inizialmente attraverso il corpo dove si localizzano le tensioni, le sensazioni e le emozioni. Con l’emergere dell’identità corporea compare anche quella di genere e l’interesse per i modelli di femminilità e di mascolinità che si incontrano. Quello che avviene a livello motorio, sensoriale ed emotivo, avviene anche a livello cognitivo, in un movimento di relazioni fatto di opposizioni e di avvicinamenti, di aperture e di chiusure, di assimilazioni e di differenziazioni. Il ruolo dell’identificazione (con familiari in primis, altri adulti, amici, coetanei, con gli ideali culturali…) è fondamentale per l’interiorizzazione di norme e di modelli di comportamento che permettono dapprima di definire un “noi” e successivamente di riconoscere la propria identità, intesa come espressione della propria singolarità, nel pieno rispetto della singolarità dell’altro. I diritti sono i diritti civili uguali per tutti, non sono i privilegi. Gli stranieri, gli omosessuali, le persone con disabilità sono uomini e donne con le loro particolarità, cittadini e non specie protette come a volte alcune iniziative di questo o di quel partito possono far pensare. Così come le tutele giuridiche non sono sinonimo di uguaglianza sostanziale che può essere garantita solo attraverso l’educazione; e la prima istituzione educativa rimane la famiglia, nell’accezione più larga del termine. Ho letto e riletto il testo del DDL Zan, di nuovo rispetto a quanto contenuto nella Costituzione ho trovato solo parole. Wittgenstein aveva riconosciuto che il linguaggio non è isomorfo al mondo: aggiungere parole non è arricchire la realtà, così come modificarle o toglierle non significa cambiarla, ma con le parole si narra, si rappresenta una realtà che può essere diversa da come viene narrata. In questo caso specifico mi pare si confondano le cose, a discapito di persone che forse non intendono esibire le proprie specificità ma vogliono proteggere la propria privacy e vivere la vita come è diritto di tutti. Maschio e femmina sono evidenze biologiche; uomo e donna sono identità soggettive che riguardano il percorso individuale in un contesto culturale che situa la memoria e la storia di ciascuno, percorso che va rispettato e garantito sempre. Solo la conoscenza e l’educazione possono renderlo possibile. È evidente che nella collettività deve crescere il senso di rispetto e di responsabilità dei comportamenti, perché non si generino pensieri infausti di discriminazione o di darwinismo inconsapevole, o, ancora, di sgretolamento progressivo dei valori perché ciascuno guarda il suo cortile e si sgancia dalla comunità. Il DDL Zan potrebbe rappresentare un’occasione di riflessione per tutti e non occasione di ostentazione, in un senso e nell’altro, perché da una parte ci possono essere discriminazioni e offese vere, dall’altra l’eventualità di doversi discolpare senza prova della colpa, creando di fatto lo scontro di due diritti. Ovviamente non si può costringere alla responsabilità, ma si può insegnare a vedere nella responsabilità un guadagno per tutti.

4. Identità soggettiva e identità culturale.

Il concetto di identità soggettiva- conscia e inconscia- si combina con quello di identità culturale che è forse il primo aspetto fondante di ogni percorso di educazione-formazione-istruzione. Tornando alla citazione di Sennet, è evidente che l’insegnamento deve confrontarsi con la trama del concetto polimorfo di identità che si costruisce in contesti storici, geografici, culturali, con le dimensioni esistenziali delle esperienze soggettive e collettive, con il sistema dei valori e dei simboli. Per dirla con Claude Lévi-Strauss “il tema dell’identità si situa al punto di confluenza non di due semplicemente ma di più strade insieme, interessa praticamente tutte

le discipline” perché la cultura include i saperi, le credenze, l’arte, la morale, il diritto il costume e ogni altro aspetto che riguarda i membri di una società. Affrontare “scientificamente” i dibattiti presenti nella società permette ai ragazzi di comprendere il significato e il senso di quanto accade intorno per farsi un’idea che permetta loro di operare delle scelte e di assumersi impegni e responsabilità, nei confronti di sé e degli altri. Intraprendendo quel passaggio dalla totale accettazione dei valori parentali, alla fase di diffusione dell’identi, a quella di moratoria e di giovane adulto (E. Erikson) che consente di fare scelte strategiche, compromessi, transazioni, di accogliere tensioni e conflitti chiedendosi sempre “perché”. Di impegnarsi nello sforzo di realizzare una continuità nel cambiamento: da quello che si era a quello che si pensa di essere nei progetti per il futuro, preparandosi ad assumere il ruolo che altri, intorno a lui, già ricoprono. Percorso non semplice in questo tempo che è fondato più sul consumo (anche delle identità) che sulla produzione: quando si è convinti che la propria identità possa essere cambiata, aggiustata, modificata, allora si può diventare ansiosi perché non sicuri di aver fatto la scelta giusta e si avverte il bisogno di ottenere il riconoscimento degli altri e la validazione dell’identità esibita.

5. L’impercettibile erosione dei principi democratici.

Rendersi conto di chi si è, di dove si vive, di quello che succede e di ciò che si fa è il primo passo, ma non basta: mostrarsi inclusivi per definirsi progressisti, non significa esserlo realmente. C’è la necessità di allargare e approfondire il discorso attraverso il confronto e la mediazione, per una visione “dall’alto” che permetta di guardare gli eventi del reale nella loro complessità. Il rischio è di far sempre più posto al sensazionale a discapito del normale, presentando come nuove cose che nuove non sono e disorientando con l’eccesso e l’incalzare insostenibile delle informazioni. La sostenibilità non riguarda solo l’ambiente: è per noi, per la vita. Verifichiamo ogni giorno come l’ambiguità eroda impercettibilmente i principi democratici e la fiducia nelle Istituzioni. Si può normare tutto, sanzionare- giustamente- comportamenti offensivi, ma il rispetto e la responsabilità sono valori che passano attraverso l’esempio, sono frutto e oggetto dell’educazione. Insegnare ad essere “pro” e non “anti” potrebbe essere un inizio, ma per insegnarlo bisogna saperlo fare: i pavidi, gli indecisi, possono insegnare il coraggio?

Che la Scuola debba contribuire all’educazione è pacifico: sul cosa insegnare probabilmente siamo quasi tutti d’accordo, il problema rimane il come, per “costruire” la consapevolezza;

– che la bontà di una legge non si giudica dalle intenzioni di chi la propone, ma dagli effetti che produce; che gli effetti sono le conseguenze fattuali e non sono gli obiettivi; che i fatti – in sé- non sono né morali né amorali. Che il diritto dovrebbe rappresentare il punto di equilibrio tra posizioni sociali anche contrapposte, indipendentemente dal peso del partito o gruppo di riferimento; che una sentenza riguarda il diritto e non la morale;

– che la scuola stessa è un bene pubblico e come tale deve essere pensata e gestita. Si fonda su un patto sociale e politico, sulla condivisione mediata di principi e di paradigmi che connotano “un sistema” che sarà gestito su una linea di continuità dall’alternanza degli schieramenti di partito, finchè quei principi saranno proficuamente praticabili;

– che le parole rappresentano il mondo e che più parole usiamo, maggiori possibilità di rappresentazione e di scambio informativo abbiamo. Usiamo parole per identificare evidenze scientifiche (maschio, femmina, sesso, razza) e altre parole che appartengono all’universo delle scienze umane (uomo, donna…) e che a usare le parole si impara. Che l’informazione è importante ma non deve essere settoriale se vuole “dare una forma” al dibattito, comprensibile a tutti;

– che bisogna dare ai ragazzi gli strumenti per una cittadinanza attiva da praticare, insegnando ad utilizzare le fonti, come ad esempio i motori di ricerca, per orientarsi – verificandone l’attendibilità- distinguendo i fatti dalle opinioni, per non farsi prendere nei meccanismi della bolla.

BIBLIOGRAFIA
Baumann Z., La società dell’incertezza, Il Mulino, Bologna 1999;
Mead C. H., Mente, Sé e Società, Ed. Giunti, Firenze 1968;
Lévi-Strauss C., L’identità, Sellerio, Palermo 1980;
Erikson E., Identity: Youth and crisis, Norton, New York 1998;
Morin E., L’identità umana, Raffaello Cortina Editore, Milano 2002; Jung C.G., Tipi psicologici, Bollati Boringhieri, Milano 1977;
James W., Principi di psicologia, Società Editrice Libraria, Milano 1901;