Presidi e asinelli

Presidi e asinelli

di Maurizio Parodi

Vista la diffusione che lo scambio di battute avvenute su “La Repubblica” ha registrato anche nei social, ritengo opportuno condividere alcune riflessioni che ho sottoposto all’interessato, il celebre giornalista Francesco Merlo.

Trovo finalmente il tempo di riprendere il suo bizzarro commento a una mia nota, a lei incautamente sottoposta, che denunciava la situazione di grave disagio nella quale versano moltissimi studenti italiani subissati di compiti e verifiche per effetto di un accanimento docimologico ben poco attento alla condizione di malessere o disagio di cui molto si parla e ben poco ci si cura.

Dice di non credere alla mia “favola nera”: fa bene, perché si tratta di penosa realtà, denunciata da più parti con grandissima preoccupazione a lei del tutto estranea, suppongo per scarsa conoscenza dei fatti o limitata sensibilità sociale.

Tengo però a precisare che quella dei “presidi buoni e docenti sadici” è una sua illazione, palesemente gratuita, riconducibile forse a improvvide frequentazioni, ma che non può attribuire a me: non l’ho mai pensato e non l’ho mai scritto! Roba, anzi, robetta sua.

Quel che lei addebita, con furore tribunizio degno di miglior causa, a “noi presidi”, è del tutto privo di fondamento – questo sì va oltre ogni immaginazione: “il preside vorrebbe promuovere tutti”, per ragioni di “prestigio”, giacche “la scuola che meno boccia è più ricercata”; e ancora: “invece di garantire l’insegnamento, la trasmissione dei saperi e tutte le belle cose di cui è responsabile diventa il tenero difensore degli asinelli”.

Evidentemente non ha la più pallida idea di come funzioni la scuola italiana e di quali e quante complessità siano responsabili i dirigenti scolastici, ciò che peraltro non la esime dal pontificare con piglio inquisitorio, suscitando il plauso, assai compiaciuto, dei docenti più retrivi; non di coloro (per fortuna e merito ve ne sono) che dalla sua logica similpedagogica dell’insegnamento come trasmissione e selezione (superata già dai Programmi della scuola elementare del 1955), rifuggono sconcertati; coloro i quali si occupano con sensibilità e intelligenza, persino “tenerezza” (libero di inorridire), della didattica e anche del benessere degli studenti, dimensioni peraltro inscindibili.

Paradossalmente, le sfugge il dato essenziale: i guasti che lei attribuisce ai “presidi” (più masochisti che sadici, stando alla sua rappresentazione), a cominciare dall’analfabetismo funzionale di molti italiani pur ampiamente scolarizzati, per non parlare di dispersione, abbandoni, mortalità, sono il risultato della pedagogia cattedratica, selettiva, “nera”, appunto, cara a lei e agli emuli della professoressa alla quale scrissero, molti anni or sono, i ragazzi di Barbiana.

Purtroppo abbondano gli ostinati sostenitori di una scuola falsamente meritocratica, invero censitaria (e quella italiana eccelle in tal senso), che continua a funzionare come l’ospedale al contrario di cui parlava don Milani, dove si curano i sani e si respingono i malati: “Voi dite d’aver bocciato i cretini e gli svogliati. Allora sostenete che Dio fa nascere i cretini e gli svogliati nelle case dei poveri. Ma Dio non fa questi dispetti ai poveri. È più facile che i dispettosi siate voi”.

Ci sono alcuni “presidi” e docenti che (per fortuna e merito) ancora credono nella lezione del priore di Barbiana: “I care”, l’esatto contrario di “Me ne frego”.