C’ERA UNA VOLTA LA PRIMA PROVA SCRITTA

C’ERA UNA VOLTA LA PRIMA PROVA SCRITTA

Ed era, tra tutte quelle del (fu) Esame di Stato, la più importante. Tanto importante che l’ avervi conseguito non si dice una votazione di eccellenza, ma anche una semplice sufficienza, assicurava di per sé il superamento dell’esame, anche a fronte delle altre prove scadenti. Perché l’ elaborato scritto appariva, come in effetti è, una rappresentazione della personalità del suo autore: sintesi di originalità e di regole, di capacità logiche, espositive ed espressive che si integrano a vicenda.
Rinunciarvi ha un sapore di abdicazione e insieme di resa alla didattica di marca anglosassone, quella – per intenderci – fondata sull’ assidua crocettatura di quadratini. E non si dica che tale rinuncia è una conseguenza obbligata dell’emergenza covid: gli istituti scolastici hanno spazi interni (palestre, laboratori) ed esterni, senza contare quelli che possono affittare per la occasione, perfettamente adeguati allo scopo, garantendo il distanziamento.
La decisione, dunque, appare chiaramente come l’opportunistico sfruttamento dell’ occasione offerta dalla pandemia (peraltro fortunatamente  in regressione) per mettere definitivamente in soffitta quello che i nostri pedagoghi anglofili chiamano storcendo il labbro “il temino”, bramosi di sostituirlo con modulistica varia.
Non è un’urgenza, è un progetto che viene da lontano, con buona pace delle rituali geremiadi dei docenti universitari che inorridiscono di fronte agli elaborati dei loro studenti, incapaci di scrivere frasi di senso compiuto scegliendo le parole con proprietà. Un po’ come i Ministri della Pubblica Istruzione.

Alfonso Indelicato

Responsabile della comunicazione di A.E.S.P.I.