Asperger, storia di Agnese e della sua ombra

Asperger, storia di Agnese e della sua ombra
Vita del 15/06/2021

Le ragazze Asperger hanno più probabilità dei ragazzi di essere diagnosticate erroneamente o di non esserlo affatto. Di loro si parla poco, e ancor meno le si studia. Agnese è una di queste: da quando è nata, sedici anni fa, la sua ombra le fa compagnia e tenta il possibile per disturbarla o metterla in difficoltà. Nel libro “Ragazza Aspy” racconta il suo personale percorso nel quale l’ombra, osservata e illuminata, si trasforma in un tesoro prezioso.

«Io, diversamente da voi, non sono solo Agnese: sono Agnese e sono sempre accompagnata dalla mia ombra, ovunque vada, qualsiasi cosa io faccia. Lei, la mia ombra, come la chiamo io, è uguale a me, ma è tutta nera e senza volto. È nata quando sono nata io, cresce e cambia con me. Sono poche le volte in cui si siede e fa da spettatrice alla mia vita, più spesso mi viene vicino e fa il possibile per disturbarmi e mettermi in difficoltà». Le parole, così dirette, sono di Agnese, una ragazza con profilo Asperger della Liguria. Le sue peculiarità, difficoltà, abitudini, eccellenze e limiti sono raccontate in un piccolo volume di meno di cento pagine, “Ragazza Aspy” (scritto da Irene Roncoroni, edizioni Erickson). Il libro non è una nuova favola di Peter Pan alla ricerca della propria ombra ma un percorso nel quale l’ombra, osservata e illuminata, si trasforma in un tesoro prezioso.

Un’ombra tra i Playmobil
Con parole molto semplici e dirette, che lasciano attoniti, forse per la miopia del nostro sguardo poco allenato, Agnese racconta di aver visto bene la sua ombra per la prima volta un giorno che, da piccolina, giocava con i Playmobil. «Mi sono accorta che mi mancavano le parole. Che la mia testa voleva inventarsi delle storie, desideravo dare nome e voci a tanti personaggi della mia fantasia, e invece la mia ombra mi rubava il modo per dirle. Mi zittiva. Mi lasciava senza parole e con un vuoto nella testa».
Crescendo, ha imparato a valutare l’ingombro e la maniera in cui funziona la sua ombra. Ma il percorso non è stato immediato, né concluso una volta per tutte. «Io credo di essere una «dislessica emotiva», racconta Agnese. «E’ un termine che ho inventato io, per descrivere una persona come me, che ha un disturbo specifico di linguaggio e dell’apprendimento e ha, inoltre, un livello di emotività più alto del normale, dovuto a un disturbo emozionale». In pratica, spiega «oltre alle difficoltà legate alla lingua, anche la mia sfera emozionale necessita di una cura e di un’attenzione particolare. Devo impegnarmi molto non farmi sovrastare dalla forza delle mie stesse emozioni».
Quando era bambina, fino ai sei anni, capitava che la sera venisse investita da onde di rabbia che doveva far uscire in qualche modo. «Succedeva per esempio a tavola, quando gli altri parlavano e io capivo le parole, ma non riuscivo a interagire. Non poter dire la mia mi rendeva frustrata». I suoi genitori allora raccomandavano ai fratelli: «Non la interrompete quando sta parlando! Fatela finire senza pressioni».

Le difficoltà a scuola
Proprio per via delle sue peculiarità, a scuola, le convivenza con i compagni e gli insegnanti per lei non sono mai state facili. Alle elementari, soprattutto, la sua ombra ha preteso sempre più spazio tra i banchi di scuola. E’ significativo il racconto che Agnese fa del suo primi giorno di scuola:
«In famiglia siamo in cinque. C’è papà, che per me è il colore azzurro, perché è molto alto e quando lo guardavo da piccola vedevo sempre il cielo dietro di lui. C’è mamma, che è rosa lana, come mi ricordo vestita tra le sue braccia, quando ci penso. E poi ci sono i miei due fratelli più grandi: Pietro, che è un bel blu intenso e mi dà un senso di protezione, ed Emma, color arancione luminoso, da sorella maggiore. Quella mattina la mia mamma rosa lana mi scatta la foto: il grembiule è nero e la mia testa, e soprattutto la pancia, dove da sempre si agitano mille emozioni, non sanno cosa aspettarsi»
Agnese

La scuola, spiega Paolo Cornaglia Ferraris, medico pediatra, è uno dei tasti dolenti nella vita di bambine come Agnese, perché le difficoltà sociali possono sfociare in episodi di bullismo che sono resi possibili dall’ingenuità delle Aspie Girls, le quali credono sempre a ciò che un altro dice, non sanno mentire, né ammiccare, né sottintendere, come fa la maggioranza delle persone normotipiche. «Loro non colgono battute, malignità o barzellette, non spettegolano, non capiscono forme gergali condivise dal gruppo dei coetanei. Per loro la parola è difficile da gestire, soprattutto quando vuol dire altro rispetto al suo significato letterale.
Imparare tutto ciò, allora, è difficile come apprendere la lingua cinese: un processo lungo e complicato. Talvolta a queste alunne vengono attribuite disabilità dell’apprendimento e viene loro proposto un insegnante di sostegno. «Ma lo stigma da handicap cognitivo non fa bene alla poca autostima di chi sa solo di essere diversa e non sa ancora quanto prezioso sia il suo mondo sensoriale e interiore», sottolinea l’esperto.

«In realtà le ragazze Aspy non dovrebbero avere bisogno del sostegno, ma soltanto di essere capite»
Paolo Cornaglia Ferraris, medico pediatra

Poco studiate, poco capite
Spesso però le bambine e le ragazze Asperger hanno più probabilità di essere diagnosticate erroneamente o di non esserlo affatto, per una serie di motivi. Il primo è prettamente statistico: «In linea generale potremmo dire che questa sindrome si manifesta in una femmina ogni 8 maschi», spiega il medico, ma in merito non esistono conferme. «L’unica certezza è che essendo meno studiate, queste bambine, ragazze e donne Aspy sono anche meno capite e le loro peculiarità sono difficili da identificare».
Questa difficoltà di diagnosi è favorita anche al fatto che le ragazze Aspy, pur sapendo di essere diverse, hanno un comportamento meno riconoscibile di quello dei maschi Asperger: sembrano piuttosto ingenue o immature, incapaci di adeguarsi spontaneamente alle norme sociali. «Molte di loro camuffano la propria confusione sociale, che si manifesta con fenomeni di ansia e senso di inadeguatezza, attraverso l’imitazione strategica, alterando la propria natura o rimanendo ai margini dell’attività sociale».

Le difficoltà in famiglia
Accanto alle difficoltà diagnostiche e a quelle a scuola, spesso si sommano anche quelle famigliari. Racconta ancora il pediatra che «Ciò che accade nella vita delle famiglie in cui nasce una bambina con autismo ad alto funzionamento è che le sue modalità di sentire (tatto, vista, udito, gusto, olfatto, equilibrio, sesto senso) e di pensare (memoria, interessi circoscritti, routine rassicuranti, stereotipie a compenso dello stress emotivo), di leggere o scrivere e di capire ciò che gli altri dicono o scrivono sono vissute dai genitori come deficit da superare e da normalizzare.
«Ma nessuna ragazza Aspy potrà mai «normalizzarsi», perché il suo cervello funziona in modo diverso da quello dei neurotipici. E’ assurda, dunque, ogni pretesa che il suo comportamento diventi “normale”», chiarisce ancora il medico, che dedica la prefazione del libro per aiutare le ragazze, le insegnanti e le famiglie a comprendere questo diverso modo di funzionare.

Per fare luce sulle persone Asperger
La tipica espressione clinica della persona Asperger fa parte dei disturbi pervasivi dello sviluppo. Secondo la definizione del manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali DSM-5, viene inquadrata come autismo di grado lieve. Il movimento Asperger Self Advocacy, nato negli USA e diffusosi altrove, contesta tale inquadramento e propone che la forma nota come sindrome di Asperger non sia né un disturbo né una sindrome né una malattia mentale, ma una differente modalità di funzionamento cerebrale e sociale. Chi difende tale posizione indica con il nomignolo Aspy se stesso, argomentando a favore di una propria originalità e valenza culturale e sociale.

di Sabina Pignataro